COME STA L’ECONOMIA LOCALE (6), LINO POMPILI: “MANCA IL CONFRONTO E QUINDI IL PROGETTO. RICOMINCIAMO A DISCUTERE!”
CHIUSI – Tra i chiusini che hanno o hanno avuto di recente incarichi di rilievo nazionale oltre a Giannetto Marchettini (Confindustria) e Simone Canestrelli (Assopetroli) c’è sicuramente anche Lino Pompili che fino a pochi anni fa è stato dirigente di primo piano provinciale e regionale poi vice presidente nazionale della Cna e presidente di Artigiancassa, la banca delle associazioni di categoria degli artigiani. E questo senza aver alle spalle studi bocconiani, ma solo una lunga esperienza, prima come socio di una concessionaria Olivetti dove ha appreso non solo le logiche del mercato, ma anche la filosofia olivettiana, poi come manager e cofondatore di una azienda informatica che da concessionaria di provincia è diventata in una trentina d’anni una holding nazionale, un marchio conosciuto e riconosciuto, con prodotti leader nel campo del software specifico per specifici settori, con ramificazioni importanti anche nell’ambito della formazione professionale.
Rispetto a Marchettini e Canestrelli è di un’altra generazione. Ha 77 anni, portati bene. Ha diretto la Finanziaria Senese di Sviluppo e EuroBic di Poggibonsi e tra gli anni ’70 e ’80 (precisamente dal 1972 al 1987) ha fatto pure l’assessore al Comune di Chiusi. Per il Partito Comunista. Gravita ancora nell’area Pd, ma senza troppi entusiasmi, con qualche rimpianto e non poca nostalgia per periodi migliori, più fecondi e più proficui sotto l’aspetto del “confronto politico” e della produzione culturale.
Nonostante sia in pensione non ha abbandonato il campo del lavoro, ma non avendo incarichi specifici ha più tempo libero e partecipa volentieri alle iniziative pubbliche, quando capitano. Lino Pompili è sicuramente un imprenditore che si è fatto da solo e ce l’ha fatta. E anche per questo in passato ha vestito spesso i panni dell’ottimista. Adesso lo è molto meno.
Ma non ci sta a fare il pensionato. Né tantomeno il vecchio saggio. Ha voglia di dire la sua. E d confrontarsi con altri. E così riprendiamo con lui, la ricognizione sullo stato dell’economia locale avviata qualche mese fa con le interviste a Giammarco Bisogno, Giannetto Marchettni, Silvano Nocchi, Simone Canestrelli, Palmiro Giovagnola.
Prima domanda. Qual è il quadro attuale del territorio, economicamente parlando?
Laa situazione mi pare problematica, pesante, per non dire bloccata. E non si vede via d’uscita. Il tessuto produttivo è praticamente scomparso, quello terziario si è assottigliato, il commercio pure, il turismo non decolla.
A cosa è dovuta questa stagnazione, secondo te?
La crisi generale ha inciso, naturalmente. Ma ci sono anche fattori locali. La scarsa propensione all’innovazione per esempio. La mancanza di iniziative nuove, anche nate da processi di spin-off (creazione di nuove imprese nell’ambito di un’impresa più grande, ndr) e start up guidate… Ma anche l’assenza di un “progetto” complessivo e soprattutto la mancanza di un confronto tra operatori istituzioni, politica, in sostanza tra i gruppi dirigenti. Un confronto che potesse mettere in luce le peculiarità e gli elementi positivi di quelle aziende che sono riuscite a crescere (e ce ne sono) e allo stesso tempo potesse individuare delle direttrici di intervento condivise… Per esempio, oltre alla demolizione dell’ex centro carni, credo che sarebbe opportuno pensare anche ad un riutilizzo e riqualificazione di alcuni comparti industriali e commerciali, anche di grandi dimensioni, dismessi e fermi da anni… Forse una discussione ampia e aperta su questo tema avrebbe consentito soluzioni più avanzate. Non lo dico per polemica, ma come constatazione, facendo una considerazione da imprenditore…
Questo territorio negli ultimi 40 anni ha puntato molto sull’edilizia come fattore trainante. Ora non si vede una gru in piedi. E’ definitivamente finito un modello?
Direi di sì. Negli anni ’70 avevamo fatto previsioni di Piano forse sbagliate e troppo ottimistiche, ma furono anche fatte operazioni importanti. E alcune non potemmo portarle avanti per l’opposizione proprio dei costruttori. Nel periodo delle vacche grasse più che il progetto prevalse una logica di speculazione. Si preferiva acquistare terreni a 4 soldi e poi costruire ex novo piuttosto che puntare sul recupero dell’esistente, che richiedeva una professionalità diversa e era nell’immediato meno remunerativo. Va detto però che la crisi dell’edilizia è un fatto non solo locale, ma nazionale e internazionale. Chiusi, la Valdichiana e dintorni non sono eccezioni…
Il turismo, secondo te, può rappresentare il nuovo volano di sviluppo per Chiusi e per la zona?
In qualche paese della zona già lo è. Perché lì sono stati capaci di individuare un filone e investire su quello, o hanno avuto qualche colpo di fortuna (i film, le fiction tv ecc..). Chiusi non ha trovato una sua identità, una sua specificità. E invece ce l’avrebbe e dovrebbe puntare decisamente su quella. Abbiamo gli Etruschi. Quella è la specificità di Chiusi e allora tutto, dal “marchio” della città alle varie iniziative, dovrebbe essere riferito agli Etruschi. Invece di fare una festa medievale come ce ne sono altre 1000, perché non fare una “festa etrusca”? e perché il progetto start up lanciato dal Comune non prova a favorire la nascita di piccoli laboratori che possano ricreare e rilanciare i prodotti etruschi? Penso alla ceramica, penso al vetro, all’oro… Dico di più: secondo me il Museo Nazionale che è un valore assoluto, dovrebbe diventare sempre più motore di iniziative, non solo contenitore di tesori e si potrebbe pensare alla creazioe di un vero e proprio “borgo” in cui si riproduce la vita quotidiana ai tempi degli etruschi. Potrebbe essere un modo più moderno e più efficace di attrarre e incuriosire i visitatori… E anche questo non lo dico in polemica. Lancio una riflessione… Poi sempre sul piano turistico, credo che Chiusi più di altri paesi potrebbe puntare anche su un filone diverso: quello del turismo religioso. La cattedrale, il museo della cattedrale e le catacombe sono scrigni preziosi che pochi hanno…
La crisi Montepaschi ha inciso secondo te sulla crisi locale?
Su Siena tantissimo, sul nostro territorio meno. Perché qui il Monte è sempre stato presente e operativo, ma non ha mai avuto una funzione dominante. Quella l’ha avuta la Bcc…
Dopo la fusione con Montepulciano la nuova Bcc Valdichiana ha annunciato un bilancio in perdita, piuttosto pesante, e ha stretto i cordoni della borsa… Da imprenditore come la vedi? Sei preoccupato?
Per il bilancio in perdita no. In situazioni di questo tipo può capitare. La banca mi sembra solida e in grado di ripianare la perdita che si è determinata facendo le ‘pulizie di Pasqua’… Il Cda ha deciso di farle in tempi rapidi invece di diluire l’operazione nel tempo… Tutto qui. Mi preoccupa se mai la possibilità che la Banca possa perdere quel ruolo di soggetto attivo e partecipe che ha avuto in passato, per attestarsi su un ruolo puramente burocratico di erogatrice di credito. La banca locale deve mantenere la funzione di analisi del quadro economico-sociale che ha sempre avuto e deve partecipare alla discussione sul che fare… Questo è il nodo. La fusione stessa sta dentro una logica irreversibile di ristrutturazione del sistema bancario e non finirà qui, si va sempre più verso banche totalmente diverse. Anche Artigiancassa si è strutturata da anni in maniera molto agile, utilizzando le strutture della associazioni di categoria coinvolte e ha funzionato alla grande…
Quando eri assessore in Comune, negli anni ’70-80, il territorio provò a darsi una connotazione unitaria, nacque l’idea della “Città Valdichiana”, poi nel 2000 il Patto territoriale… Adesso si parla molto di fusioni dei comuni, ma il “disegno unitario” sembra scomparso…
Sì, le fusioni dei Comuni sono come quelle delle banche. Saranno necessarie, obbligate dalla impossibilità di gestire certi servizi nei singoli municipi. E’ un processo irreversibile che però va governato e non subìto o imposto dall’alto… Ed è vero che il “disegno unitario” degli anni 70-80 si è sgonfiato e oggi non c’è una eguale tensione a mettere insieme idee, progetti, risorse… E’ un passo indietro a mio avviso… I comuni del territorio devono riuscire a proporsi all’attenzione nazionale ed europea, e questo – inutile nasconderlo – non possono farlo muovendosi ognuno per conto proprio. Se non si capisce questo è un guaio…
Quindi, come se ne esce?
Partendo dal problema principale: la mancanza di confronto. E quindi ricominciando a discutere, a ragionare tutti insieme. Penso alle aziende più forti e più innovative che potrebbero mettere in circolo le loro idee, far sapere come si sono mosse, come hanno potuto raggiungere determinati obiettivi… Ma penso anche alle istituzioni, alle associazioni di categoria, ai sindacati, alle associazioni del volontariato che muovono migliaia di persone, penso ai partiti e a chi fa informazione. Parlare oguno al proprio popolo serve a poco. La situazione complessiva è drammatica e va affrontata con uno sforzo straordinario. Ma senza dibattito, senza confronto è difficile che possa uscir fuori un progetto di lungo respiro. Per esempio la discussione di qualche giorno fa sulla cultura, promossa da Possiamo, se resterà lì, se non avrà continuità, se non si arricchirà di nuovi capitoli rischia di rivelarsi del tutto vana, come le giornate organizzate dal Comune. E questo vale anche per l’economia, non solo per la cultura…
In sostanza proponi di ricominciare a far politica… Ma i partiti ci sono ancora?
I partiti che abbiamo conosciuto noi (io e te) non ci sono più, da un bel pezzo. Ma da qualche parte bisogna pur comiciare. Nei nostri paesi ci si conosce tutti, al di là dei partiti e delle appartenenze, non dovrebbe essere poi così difficile mettersi intorno ad un tavolo a ragionare… Io comincerei immeditamente senza perdere tempo. Alzi la mano chi ci sta…
m.l.
Artigiancassa, chiusi, Cna, ecomimia, Lino Pompili
“…Ed è vero che il “disegno unitario” degli anni 70-80 si è sgonfiato e oggi non c’è una eguale tensione a mettere insieme idee, progetti, risorse…” Una volta riconosciuto che quel disegno unitario è fallito per l’incapacità dei “governanti” dell’epoca passiamo ad altro…a progetti lungimiranti… che non ripetano ERRORI. Oggi, i figli di quella governance propongono le “fusioni” e le vedono come processo ineluttabile dovuto a un falso progetto politico di accentramento che ha già devastato con i tagli le risorse nei piccoli comuni. Mi chiedo se in questi anni ci sia stata la capacità di creare una nuova classe imprenditoriale nonostante modelli di persone che con la loro capacità personale si sono contraddistinti e in qualche modo elevati a un “rango” rispettabile tale da qualificarli come interlocutori “eccellenti” per una previsione di prospettive future. Forse varrebbe la pena “fondere” le idee per progetti lungimiranti avendo una visione più generale senza perdere il senso di appartenenza al territorio con le sue peculiari caratteristiche comunali…Mettiamo le idee nella rete d’intenti che accomunano l’identità delle comunità non nella sacca porta selvaggina…
Conosco Lino Pompili da più di 40 anni e non sempre mi sono trovato in sintonia con le sue posizioni. Ma in questo caso sono d’accordo. Riconquistare l’abitudine a parlare, a confrontarsi, a ragionare sulle idee e sui progetti possibili sarebbe già un bel passo avanti.Del resto è la stessa cosa che da queste colonne tentiamo di dire da tempo e che abbiamo ribadito anche di recente. I “tavoli” di confronto sono roba superata? Bene. Chiamiamoli in altro modo, troviamo una diversa modalità, ma proviamoci. Come dice Pompili, alzi la mano chi ci sta…