GUERRILLA GIRLS. ARTE, IRONIA E PROVOCAZIONE

Avvolte dal mistero delle loro identità, provocatorie, ironiche attiviste nel campo delle arti da trent’anni, le Guerrilla Girls non mollano la presa. La discriminazione sessuale nel mondo dell’arte è un problema che esiste tutt’oggi, e va affrontato. Nelle collezioni museali più importanti d’America (ma non solo), le opere delle donne artiste appaiono (quando appaiono) in numeri nettamente inferiori rispetto a quelle dei colleghi maschi. Questo il fulcro dell’intervista che le Guerrilla Girls hanno recentemente rilasciato al conduttore televisivo Stephen Colbert in un programma della CBS americana.
“L’arte è una delle espressioni della nostra cultura. Come tale, dovrebbe rappresentarne indiscriminatamente tutte le voci. Altrimenti, non possiamo parlare di storia dell’arte ma di storia del potere” ha dichiarato una delle Guerrilla Girls presenti in studio, conosciuta con lo pseudonimo di Frida Khalo.
Ma chi sono queste fantomatiche Guerrilla Girls? Vediamolo insieme, partendo dall’inizio.
Siamo nel 1984. Il Museum of Modern Art di New York presenta un’esposizione. Non una qualsiasi. È una mostra in grande, niente di meno che l’insieme delle opere di arte contemporanea più importanti del mondo.
In rassegna i lavori di 169 artisti, di cui solo 13 donne. Tutti Caucasici, come si dice ora perché bianco (o nero) non si dice più. La protesta da parte delle donne è immediata ma non desta alcuno scalpore. Incavolate nere per la scarsa risonanza della denuncia, e per l’evidente discriminazione numerica nonchè etnica, un gruppo di artiste donne fonda le Guerrilla Girls, autodefinendosi “la coscienza dell’arte”. Non è un po’ presuntuoso definirsi coscienza dell’arte? . “Certo che lo è”, risponderanno in un’intervista del 1995,” lo sanno tutti che gli artisti sono presuntuosi!”
Le GG iniziano quindi un lavoro di ricerca per capire quanto grave sia il quadro. I risultati sono peggio delle aspettative: quasi nessun museo o galleria di prestigio espone opere di donne.
Nel 1989 lanciano la prima provocazione di successo, tanto da essere citata ancora oggi: “Per entrare al Metropolitan Museum , le donne devono essere nude?”, una denuncia contro il fatto che meno del 5% degli artisti che espongono nella sezione di Arte Moderna sono donne, ma l’85% dei nudi in esposizione sono nudi …femminili.
Nel 2014, rilanciano il poster e la denuncia. Questa volta nel settore della musica: “perché le donne devono essere nude per entrare in un video musicale, mentre il 99% degli uomini è vestito?‘”
Chi sono nella realtà le Guerrilla Girls? In verità, non si sa. Dal dì della nascita del movimento, infatti, agiscono nell’anonimato, assumono psudonimi ( nomi di artiste donne non più in vita), e quando appaiono in pubblico indossano sempre una maschera da gorilla.
In virtù del loro anonimato, non si sa neanche quante siano. Molte sono le donne entrate e uscite dal movimento, fatta eccezione per due delle fondatrici, note con gli pseudonimi di Frida Khalo e Kathe Kollwitz, che sono tuttora attive e che hanno partecipato a ideazione e realizzazione di tutti i progetti dal 1989 ad oggi.
La scelta dell’anonimato, spiegano in una delle numerose interviste, ha due ragioni principali: il mondo dell’arte è piccolo. Le Girls non possono rischiare di mandare a monte la loro carriera di artiste. In secondo luogo, ma non meno importante, il loro obiettivo è quello di focalizzare l’attenzione sui contenuti e non sulle singole personalità.
Per dirla tutta, le Guerrilla Girls si dichiarano Femministe (già, pure femministe). “Usiamo l’umorismo per divulgare informazioni, sensibilizzare l’opinione pubblica, provocare la discussione e mostrare che le femministe possono essere divertenti” spiegano nel sito.
Non c’è proprio nessuno che conosca le loro identità? Alcune delle madri, pare, e qualche marito. Quelli che sicuramente le conoscono tutte, raccontano le Girls, sono i loro parrucchieri.
Elda Cannarsa
arte contemporanea, attivismo, guerrilla girls
a volte la guerriglia è arte… e l’arte è guerriglia.
Non male questa definizione che ritengo vera e la prima cosa che mi viene in mente nella storia moderna è un nome ; Vo Nguyen Giap,ma chiaramente ci sono stati anche tanti altri, nell’altra risposta di nomi se ne potrebbero dare a iosa . da Caravaggio a Marc Chagall,da Josephine Baker a Germaine Krull, da Kenneth Kaunda a Nelson Mandela.Tutti a loro modo ”uomini e donne contro”, che hanno espresso il proprio pensiero affidandolo all’arte ed alla prassi di essere liberi..La storia è piena di tali nomi.Persone che non hanno vissuto invano.
Grazie Carlo, spero di vederti all’incontro con Andrea Baffoni, “La donna nell’arte” , oggi alle 17.00 a Palazzo della Corgna, Città della Pieve:)
La guerriglia di Giap però non era propriamente arte, ma guerriglia vera fatta da guerriglieri armati di mitragliatori e non si pennelli e così la resistenza di Mandela… La “guerriglia” artistica delle donne senza nome o di figure come Marina Abramovic diciamo che si ferma alla provocazione, e il sangue al massimo è usato come colore…
Ti ringrazio dell’invito Edda ma per precedenti impegni presi con il Comune, alla stessa ora oggi ho dovuto essere presente alla presentazione della mostra di Ivan Meacci a Paciano sul Muro di Berlino..Diversamente sarei senz’altro venuto.
Beh chiaramente Giap non usava pennelli e nemmeno i francesi o gli americani, ma perchè è rimasto alla storia non tanto nel senso della sconfitta delle forze avversarie ben più munite di lui con armi moderne? La sua strategia basata sulla conoscenza di come avevano interpretato quel mondo dove i francesi si muovevano, soprattutto ha fornito spazio alle sue mosse che a guardate a distanza di anni hanno stupito gli strateghi di tutto il mondo, poichè non si sarebbe mai pensato che i suoi cannoni celati e trasportati nel folto della jungla si fossero trovati vicini alle postazioni francesi di Dien Bien Phu.Questa teoria applicata risultò determinante e vincente, ma mai nessuno avrebbe potuto concepire tale possibilità.Mai i generali francesi avrebbero concepito che uno sforzo tale sarebbe stato possibile e Navarre stesso riconobbe l’alto grado interpretativo che determinò la strategia che poi fu vincente.In quel senso lì io dicevo quello che ho detto citando a Giap come stratega rivoluzionario.Ugualmente quando ho nominato Mandela che veniva da una situazione di prigioniero politico dei Sudafrica dei bianchi.La mosssa strategica che spiazzò i contendenti da una parte fu quella che Mandela ebbe a prevedere l’uso progressivamente calato nella società degli Afrikaneers di elemti di democrazia non dirompenti delle loro regole ma stabilendo regole per le quali si arrivasse ad uno stato indipendente e governato dall’ANC senza ritornare ai vecchi conflitti e scontri con migliaia di morti da parte dei coloured..Non è arte pittorica ma intelligenza politica perchè riusci a gettare le basi di un processo che difficilmente sarebbe ritornato indietro e non avrebbe rimagiato se stesso come invece era già successo in altre nazioni.La strategia, forse anche quella politica può essere paragonata benissimo ad una forma d’arte, ma che deriva dall’intelligenza, dall’interpretazione e dall’applicazione delle vicissitudini materiali.D’altra parte il pensiero umano è poliedrico anche e soprattutto nell’esprimersi nella materialità delle condizioni e quando riesce a trovare strade per concretizzare i suoi scopi può benissimo farsi largo attraverso condizioni che mai altri avrebbero concepito in quelle occasioni.Si tratta sempre di vedere le cose dove altri non sono arrivati e le possibilità di realizzare le idee.E’ lì che ha sede anche l’interpretazione fantastica prima di tradurla in realtà. La .”Guernica” di Pablo Picasso interpretata in quel modo,resterà imperituramente nella mente di chi la osserva e fornirà dei valori ben precisi che trasportati nella realtà si colorano non di evanescenza ma di un contenuto valoriale grande,come appunto le poesie di Kaunda o di Senghor.E loro le hanno applicate con successo.