ECCO DOVE ABITANO I RAGAZZI PIU’ INTELLIGENTI DEL MONDO

martedì 17th, settembre 2013 / 16:11
ECCO DOVE ABITANO I RAGAZZI PIU’ INTELLIGENTI DEL MONDO
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Vengono da Finlandia, Polonia e Corea del Sud. Il perché ce lo spiega Amanda Ripley, nel suo ultimo libro “The smartest kids in the world”

The smartest kids in the world ( I ragazzi più intelligenti del mondo), titolo dell’ultimo libro di Amanda Ripley, giornalista investigativa della rivista Time, vivono in Finlandia, Polonia e Corea del Sud.
Ma il dato interessante è che non è stato sempre così. Nella Corea del Sud, che oggi vanta il 93% di studenti laureati, fino a sessanta anni fa la maggior parte della popolazione era analfabeta. Anche la Finlandia, fino agli anni ’70 se la passava maluccio. Poi, mise mano ad una massiccia riforma scolastica. In primo piano, la formazione degli insegnanti, area in cui il governo impose criteri di selezione più duri. Fu un provvedimento molto controverso ma oggi il sistema scolastico della Finlandia si classifica come migliore al mondo.
Passi da gigante anche in Polonia dove, fino a prima del 2000, il grado di istruzione della popolazione rurale arrivava alla scuola elementare. Oggi, secondo le indagini OCSE, la preparazione dei giovani polacchi in matematica e scienze (materie favorite dal mercato del lavoro) supera di gran lunga quella degli studenti statunitensi, anche se uno studente polacco costa molto meno al governo di uno studente americano.
Morale della favola, Finlandia, Polonia e Corea del Sud, in tempi relativamente brevi, hanno riparato le falle di un sistema scolastico poco (con)vincente, adeguandolo ad un mercato di lavoro e di relazioni che prevede una competizione a livello globale.
Come ci sono riusciti? Amanda Ripley è partita dalle analisi di carattere sociale che attribuiscono uno scarso rendimento scolastico al grado di povertà degli studenti. Prendiamo ad esempio la Finlandia. Gli studiosi americani del settore la descrivono come un paradiso in terra, con un tasso di indigenza che, a paragone con quello statunitense, è quasi inesistente. Ergo, per riparare la scuola, bisogna prima debellare la povertà. Ma se la teoria fosse fondata, come mai in Norvegia, che ha un tasso di povertà inferiore al 6% (il più basso nel mondo), ai test internazionali di lettura e scrittura (Literacy Test, 2009) i giovani norvegesi se la cavano tanto male quanto i coetanei d’oltreoceano?
Il problema è altrove, e la Ripley ha cercato le risposte in loco, grazie a Kim, Eric e Tom, tre coraggiosi quindicenni statunitensi che hanno accettato di trascorrere un anno scolastico rispettivamente in Finlandia, Corea del Sud e Polonia. Il libro parte dalla loro testimonianza e rileva i tre fattori che fanno dei giovani di questi paesi “The smartest kids in the world”. Fattori che, a ben guardare, rimandano ad una struttura socio-scolastica di una semplicità sconcertante. Quella stessa struttura che, nella caotica foga innovatrice, l’ Italia ha gettato nel rogo, in tempi relativamente brevi, tacciandola di essere conservatrice, sorpassata o controrivoluzionaria.
Fattore 1, il rigore. Le aspettative sul rendimento scolastico sono alte. I voti non si regalano. In Polonia, Tom nota che in classe, durante le lezioni di matematica, le calcolatrici non si usano. Al termine dei compiti in classe, l’insegnante annuncia pubblicamente i risultati di ogni studente. Il minimo è 1, il massimo è 5. Ma quel 5, nell’arco dell’anno, non lo prende nessuno. Crudele? Eppure, solo venti anni fa, nelle tanto riformate scuole italiane, l’8 o il 9 (su 10) erano mete altrettanto irraggiungibili. Già per il 7 dovevi sudare 7 camicie appunto. Ma per il 10, dovevi essere un prodigio. Il voto di “incoraggiamento” non era il 6 ma il 4.
Si partiva da un presupposto alquanto elementare: così non va bene, studia di più e aspira al meglio delle tue possibilità. Né più né meno di quello che ti chiede il tuo datore di lavoro più tardi nella vita. Sennò, te ne vai a casa.
Fattore 2, gli insegnanti. Gli insegnanti sono laureati con il massimo dei voti, scelti tra i migliori delle scuole di abilitazione all’insegnamento che, peraltro, prevedono una selezione durissima. Ma le fatiche sono premiate. I “prof” sono ben retribuiti e altamente rispettati. È una delle cose che nota Kim quando intraprende il suo anno di scuola finlandese. L’edificio scolastico in sè è piuttosto malmesso, niente iPad o lavagne interattive. Una semplice fila di banchi e una lavagna con il gesso. Ma gli insegnanti sono brillanti, ferratissimi, mostrano un’evidente passione per il loro lavoro. E forse, nessuno si sogna di chiamarli “prof”, sbuffando e lamentando noie tanto mortali quanto legittimate. Anzi, Kim si accorge che c’è qualcos’altro di diverso dalla sua scuola in Oklahoma. Un giorno prende coraggio e chiede a due sue compagne “ma perché ve ne frega così tanto? Cioè, che cos’è che vi spinge ad impegnarvi così seriamente nello studio? “.Le due ragazze finlandesi restano un po’perplesse, non capiscono la domanda. Una delle due risponde: “ questa è la scuola. In che altro modo potrei diplomarmi, andare all’università e trovare un buon lavoro?”. Fantascienza? Mica tanto. Anche in Italia, fino a venti anni fa, la funzione della scuola non la metteva in dubbio nessuno. Noia e fatica? Incluse nel pacchetto.
Fattore 3, I genitori. Questo farà infuriare i fan della new education, vagamente affetti dalla psicopatologia dell’onnipresenza genitoriale. Secondo i dati rilevati dalla Ripley, nei paesi citati, le scuole non prevedono il coinvolgimento dei genitori nella vita scolastica dei loro figli e nemmeno lo incoraggiano. I patti sono chiari. Gli insegnanti a scuola, i genitori a casa. A ognuno il suo ruolo e la sua competenza. E ancora una volta, non si può fare a meno di notare che anche in Italia, fino a un paio di decenni fa, il genitore veniva informato due, tre volte l’anno del rendimento del proprio figlio dal corpo insegnante. Nel mutuo accordo e reciproco rispetto dei ruoli. E se il malcapitato era intelligente ma… poteva fare di più (ma non lo faceva), la colpa non era del prof cattivo e cretino-chenoncapisceniente, della scuola che non funziona, del ministro che buonoquelloprendesolosoldi, del governo ladro, né di un non meglio identificato sistema che per caritàsoloquamadoveandremoafinire. No, la responsabilità era del malcapitato che non studiava e rischiava di giocarsi l’anno. Molto semplice. A ognuno il suo ruolo.
E viene allora il dubbio: ma per andare avanti, non basterebbe semplicemente guardare indietro? Di venti anni soltanto. Mica un secolo.

Elda Cannarsa

 

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