HO VISTO UN FILM: ROCCO SCHIAVONE UNO DI NOI. MA ANCHE PIUTTOSTO ANTIPATICO

Ieri sera è andata in onda su Rai 2 la seconda puntata di Rocco Schiavone, serie n.6, la fiction con Marco Giallini, ambientata ad Aosta, che sembra essere tra le più amate e seguite dal pubblico della Tv. E in effetti è innegabilmente fatta bene. Giallini è bravo e anche il testo, tratto dalle opere letterarie del giallista Antonio Manzini, è robusto.

Ma,  a costo di apparire impopolare, dico che a me il personaggio Schiavone, anche se per molti versi è di quelli che io sento dalla mia parte, non piace fino in fondo. Non perché sia un poliziotto sui generis e un po’ border line, con amici dall’altra parte della barricata, ma perchè ha atteggiamenti scostanti. Poco edificanti. Intanto perché fuma troppo. Fuma sempre. Lasciamo perdere le canne, che si fa anche di mattina, quelle non mi fanno né caldo, né freddo. Personalmente pur non avendo mai fumato uno spinello, sono per la liberalizzazione.  Quindi non è questo il punto. Le sigarette sì, invece, Troppe. Uno che respira tabacco non trasmette un bel messaggio. Due: il rapporto con la legge e con i colleghi. Non mi disturba il fatto che un poliziotto possa anche forzare le maglie dei regolamenti e delle “regole di ingaggio”, che abbia insomma atteggiamenti talvolta poco consoni, senza per questo essere un Ispettore Callaghan de noantri. Trovo normale che uno si arrangi coi mezzi che ha (pochi) e magari si serva pure di collaboratori occasionali come il giovane mago dei computer che poliziotto non è…  Mi disturba invece e non poco il fatto che il vicequestore Schiavone sia spesso freddo, scostante coi colleghi, che tratti male, talvolta molto male, i sottoposti. Soprattutto quelli più… deboli. Anche usando in questo senso l’autorità del proprio ruolo di dirigente. Impartisce ordini di servizio e manda a fare in culo gli altri con una facilità un po’ troppo plateale. Quasi a dire “io so’ io e voi nun siete un cazzo”  come diceva il Marchese Onofrio Del Grillo. Certo, il romanesco di Schiavone, anche se trapiantato ad Aosta in mezzo a questurini sardi, abruzzesi, toscani, siciliani, un po’ si presta. Ma somiglia troppo al gergo della banda della Magliana. E questo per i miei gusti un po’ stona. Con quei paesaggi innevati e freddi c’entra come il cavolo a merenda. Un po’ meno sarebbe sufficiente. E ansima troppo Rocco-Giallini, quando parla. E quando pensa. Biascica parole rese quasi incomprensibili dal troppo fumo. Sembra sempre un avventore di un bar dello sport di periferia, di quelli con il biliardo, di 40 anni fa… anche quando si trova in mezzo a un bosco o sotto i portici di Piazza Chanoux nel capoluogo della Vallée.

Detto questo, la serie Rocco Schiavone, però, è godibile. E propone temi non banali: l’arroganza dei figli di papà, ricchi di famiglia, ma soli, deboli, “incartati” in una vita di plastica.  Ma anche, per esempio, il gioco d’azzardo e la ludopatia o la pedofilia. In qualche frangente la narrazione ricorda la serie americana “Cold Case” (stessi temi scabrosi) per il fatto che il vicequestore Schiavone e la sua squadra si trovano ad affrontare casi irrisolti vecchi di anni, come quello di un bambino sparito a Ivrea di cui un camminatore ritrova casualmente i resti…  C’è dentro un po’ di tutto:  criminalità organizzata, balordi di periferia, imprese edili che invece riciclano telefonini e computer rubati, pedofili che sanno usare e usano il deep web e il dark web per scambiarsi informazioni, c’è l’amarezza consapevole di servitori dello Stato che fanno il possibile, ma vanno spesso a sbattere contro insormontabili muri di gomma.

In tutto ciò Rocco Schiavone-Giallini è “uno di noi”, sempre più disulluso, come tutti, e questo non lo nasconde. Ma non è proprio il migliore in assoluto. E su alcune cose risulta piuttosto antipatico e irritante come l’ortica. E’ anche vero però che ai poliziotti non è richiesto di essere simpatici.

m.l.