LA DEMOCRISTIANIZZAZIONE DEL PD E L’ASSENZA DI UN SANO PARTITO SOCIALDEMOCRATICO. I SINDACI E IL LABORATORIO-CHIUSI

martedì 16th, marzo 2021 / 10:21
LA DEMOCRISTIANIZZAZIONE DEL PD E L’ASSENZA DI UN SANO PARTITO SOCIALDEMOCRATICO. I SINDACI E IL LABORATORIO-CHIUSI
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CHIUSI – Ricordo bene quando ad una iniziativa pubblica organizzata da Primapagina, cui partecipavano Marialina Marcucci, vicepresidente della Regione Toscana, Giuseppe Giulietti giornalista Rai e Rosy Bindi all’epoca esponente della Margherita e ministro del governo dell’Ulivo, ad una mia domanda proprio sui riferimenti politico-ideali dell’Ulivo, Rosy Bindi rispose: “non è necessario essere comunisti o ex comunisti, per essere di sinistra”. Lei infatti veniva dalla Dc. Ma si dichiarava di sinistra e aveva spesso posizioni più a sinistra di tanti dirigenti dei Ds… E più o meno la stessa cosa disse poi anche Marialina Marcucci, che veniva invece dal mondo imprenditoriale di stampo liberal. Anzi, proprio liberale, nel senso del Pli.
Sia nel cattolicesimo democratico, sia nella cultura laica e liberale ci sono sempre state figure non solo riformiste e attente alla questione sociale, ma anche “radicali” (si pensi a Gobetti o a Ernesto Rossi o per la parte cattolica a Don Milani). E la forza dell’Ulivo, in quel momento era proprio l’obiettivo di allargare il campo progressista, ora che il più grande partito comunista d’Europa si era sciolto dando vita ad una formazione diversa con una quercia nel simbolo al posto della falce e martello e stava ulteriormente cambiando…
Poi è cambiato tante volte. Fino a diventare, nel 2007, il Pd. Ovvero la somma algebrica e a freddo tra ciò che rimaneva dell’ex Pci e ciò che rimaneva della ex Dc. A me personalmente, l’Ulivo era sembrata una scommessa interessante, una prospettiva avanzata che riprendeva certe intuizioni di Berlinguer (e anche di Gramsci). Il Pd no. Non mi ha mai convinto. Perché è stato una “fusione a freddo” tra due mondi che si erano combattuti anche se entrambi avevano contribuito a riconquistare e poi a far crescere la democrazia italiana. Ma soprattutto perché, il Pd nasceva e si prospettava come un partito ibrido, un contenitore senz’anima. Un po’ come le damigiane, che a differenza delle botti e delle bottiglie, non danno mai l’idea che il vino che contengono sia eccellente.
Il Pd metteva la parola fine – dal mio punto di vista – alla storia gloriosa del Pci e nello stesso tempo escludeva, per costituzione e marchio di fabbrica, la possibilità che in Italia potesse nascere finalmente un grande partito socialdemocratico, progressista, laico, libertario, con dentro componenti diverse, più moderate e più radicali, ma tutte con un chiaro riferimento ideale, come l’Spd in Germania, o il Labour Party in Gran Bretagna.
“L’Italia è l’unico Paese in Europa a non avere un grande partito di sinistra, un grande partito socialdemocratico.
All’interno dei partiti socialdemocratici europei si sono alternate stagioni diversissime, talvolta con inversioni di rotta radicali (come nel caso del passaggio dal blairismo al corbinismo nel Labour party), ma in nessun altro luogo al mondo è stato compiuto il mostruoso esperimento italiano. Solo qui c’è stata la fusione a freddo del partito erede del PCI con il partito erede della DC. E’ così iniziata una vicenda del tutto peculiare e anzi unica, la cui parabola è limpida: la componente socialdemocratica e di sinistra è stata soffocata fino a soccombere e il partito è divenuto compiutamente un partito liberaldemocratico. E’ proprio in quel vizio originario, in quella anomalia, che risiede la causa profonda dell’attuale irriformabilità del PD. Ciclicamente c’è chi avanza nobili propositi di riforma del partito che oggi definiremmo ‘corbinisti’ ma, siano autentici o meno, essi sono inevitabilmente destinati a fallire proprio a causa della peculiare genesi del PD, un partito-contenitore la cui storia non è in alcun modo assimilabile a quella della SPD o del Labour party”. Così ha scritto ieri Tommaso Fattori, leader della lista di sinistra alle recenti regionali in Toscana. Ed ha ragione, è andata esattamente così.
Fattori ci ricorda che anche Enrico Letta, il neo segretario nazionale del Pd, rientra a pieno titolo in quell’area liberaldemocratica che ha scalato e fagocitato il partito e che anche con Letta “il PD continuerà purtroppo ad essere un partito liberaldemocratico in competizione elettorale con altre formazioni liberaldemocratiche, mentre la componente socialdemocratica non potrà che mantenere un ruolo marginale”.
Ma la parabola del Pd è stata ed è anche un’altra. Ed è quella di una progressiva democristianizzazione. Oggi il Pd somiglia molto di più alla Dc che non al Pci anche se si riunisce, quando può, nelle vecchie sezioni comuniste ri-imbiancate…
Basta vedere l’organigramma di vertice: Il segretario Enrico Letta viene dalla Dc e dalla Margherita, così come il capogruppo alla Camera Del Rio e il capodelegazione Pd nel Governo Dario Franceschini. Il capogruppo al Senato, Andrea Marcucci (fratello della citata Marialina) prima di entrare nel Pd era deputato del Pli.
La fotografia, per la sinistra Pd, cioè per la componente ex Ds, è impietosa. Tutte figure sfuocate e fuori quadro…
In periferia, soprattutto laddove la cultura e la tradizione  Pci-Pds-Ds era più forte e più radicata la parabola è stata meno evidente, più lenta, ma alla fine questo è successo quasi ovunque. Con gli annessi e connessi: in Umbria il Pd è deflagrato per lo scandalo concorsopoli nella sanità, che ha travolto non solo i vertici regionali, ma anche l’allora segretario regionale del partito: Gianpiero Bocci, ex Dc (e di che tinta!).  In Toscana la segretaria del partito è Simona Bonafè, più giovane, ma anche lei una ex Margherita…
Il Pci non esiste più da 30 anni, difficile trovarne traccia nei gruppi dirigenti, ma per rilevare qualche esponente con un pedigree di sinistra conclamato, per storia personale, negli organismi dirigenti locali ci vuole il cane da tartufi. E di quelli bravi.
I sindaci stessi, sia delle grandi città che nei territori, compreso questo territorio, sono spesso figure emerse quasi casualmente, non per storie pregresse, e più per l’attitudine “al fare” rispetto alla collocazione politica vera e propria.  Alcuni sono “nativi Pd” senza esperienze precedenti alle spalle, usciti dal guscio sull’onda della rottamazione renziana anche se poi, magari ne hanno preso le distanze.
Se a livello nazionale, dentro il Pd, il “partito dei sindaci” chiede spazio e più potere decisionale, perché è la parte che sta più a contatto con la gente e con le situazioni spinose (vedi la gestione della pandemia), nel territorio un partito dei sindaci non esiste e non ha mai alzato la voce. In questa zona non sono neanche tanti i sindaci Pd (molti comuni il Pd li ha persi), ma per lo più sono rimasti finora allineati e coperti: da parte dei vari Michele Angiolini, Francesco Landi, Edo Zacchei, Giacomo Grazi, Matteo Burico, Giulio Cherubini… mai una parola controvento rispetto al partito e ai livelli superiori (è sfuggita a me?). Ci ha provato Bettollini a Chiusi, come ci provò più timidamente anche Fausto Scricciolo due anni fa a Città della Pieve. Entrambi sono stati fatti fuori senza troppi complimenti. A Città della Pieve sappiamo come è andata a finire, a Chiusi si voterà in autunno e oggi la possibilità che finisca alla stessa maniera è molto concreta. Scricciolo è stato considerato per 5 anni un corpo estraneo dal partito che lo elesse nel 2014; Bettollini uno troppo intraprendente, troppo ingombrante, un elemento incontrollabile.
Personalmente considero Enrico Letta una brava persona e un dirigente capace e corretto. Una mente lucida. Ho solo l’impressione che con un “grande partito della sinistra” c’entri poco. Non so se avvierà davvero il “processo rifondativo” del Pd, aprendo porte e finestre e provando a far tornare chi se n’è andato o è uscito in silenzio o si è perso per strada. Pur non avendo mai votato Pd, mi auguro che lo faccia e l’operazione gli riesca. Perché di qualcosa di meglio a sinistra c’è bisogno. Questo Pd non svolge la funzione.
In un partito democristianizzato fin nel midollo sono tollerate le correnti, ma non le alzate d’ingegno, l’autonomia di pensiero e di azione. L’abitudine alla Messa dove parla uno solo e gli altri fanno il coro, ha disabituato il partito alla dialettica politica, al confronto. E ogni discussione è vissuta male, come la frattura di un femore. C’è sempre chi teme e ritiene che sia non solo dolorosa e pericolosa, ma anche letale… E infatti evita di discutere, ma non riesce ad evitare di dividersi.  Oggi è il 16 marzo: 43 anni fa, il 16 marzo vene rapito Aldo Moro, mentre andava a presentare un nuovo governo con l’appoggio del Pci… Poi le Br (ma non solo loro) lo uccisero 55 giorni dopo. Con l’invenzione del Pd, forse Veltroni & C. pensavano di ricucire le ferite del Paese, della guerra fredda e anche la ferita lancinante prodotta da quell’attacco al cuore dello Stato  nel ’78, superando anche le suggestioni dell’Ulivo…  La creatura però non è venuta bene. Ed è cresciuta male.
Il rinvio delle elezioni amministrative di Chiusi all’autunno, offre un’occasione a livello locale, per provare, laddove c’è una esigenza particolare e imminente, a rimettere in piedi un laboratorio della sinistra, che vada un po’ oltre quei due “forum” aperti on line da Pd e Podemos. Perché, con tutto il rispetto, c’è il rischio che entrambi, più che laboratori, finiscano per essere la botteguccia di 4 amici al bar con qualche apprendista stregone a dettare l’agenda… Purtroppo l’emergenza covid non favorisce gli incontri faccia a faccia. Ma così è davvero troppo poco.
m.l.
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