PROGETTO ACEA, I CETONESI NON VOGLIONO QUELL’IMPIANTO AL CONFINE

martedì 19th, novembre 2019 / 12:40
PROGETTO ACEA, I CETONESI NON VOGLIONO QUELL’IMPIANTO AL CONFINE
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CETONA –  E adesso è certificato: anche Cetona dice No al progetto Acea.  L’assemblea pubblica, anche in questo caso autoconvocata da alcuni cittadini tra cui l’ex presidente della Pro Loco Massimo Mercanti  che ha fatto gli onori di casa e ha letto la relazione introduttiva, ha registrato una partecipazione numerosa e ha sancito, senza ombra di dubbio, che i cetonesi di quell’impianto al confine con il loro territorio non ne vogliono sentir parlare. Ma questo si era intuito, e già il volantino di invito all’iniziativa di ieri sera, presso la sala S.S. Annunziata, riportava come titolo “NO AL CARBONIZZATORE! il che lasciava pochi dubbi e margini di manovra circa gli intenti della serata. Obiettivo raggiunto quindi da Mercanti e chi lo ha coadiuvato.

L’assemblea, come quella del Comitato Aria a Chiusi il 31 ottobre scorso, ha provato a fornire elementi tecnico-scientifici a sostegno della tesi del NO, ma anche di pura informazione, con l’ausilio degli ingegneri Augusto Bazzocchi e Luca Marrocchi, ma il sentimento generale che aleggiava in sala era quello di un NO  a prescindere, senza se e senza ma e senza discutere più di tanto.

Tra gli argomenti principali portati dall’ing. Bazzocchi il fatto che l’impianto proposto da Acea sarebbe del tutto fuori contesto rispetto al territorio; sarebbe basato su una tecnologia non testata e anzi rifiutata da altri territori; non trova altri riscontri simili se non uno a Valencia e uno nella zona carbonifera di Nottingham-Sheffield  in Inghilterra, ovviamente molto diversa dall’area Chiusi-Cetona; infine il transito di automezzi in entrata e uscita su strade già oggi molto provate e non adeguate e le maleodoranze che non saranno evitabili.

L’ing. Marrocchi invece ha fatto ragionamenti più tecnici e specifici riguardo la tipologia dell’impianto e il processo produttivo affermando quella che secondo lui è una verità inconfutabile: “Non esistono impianti a emissioni zero”. E a questo proposito ha spiegato molto dettagliatamente quali e quante sarebbero le emissioni dell’impianto Acea e anche i sistemi che verrebbero adottati per abbatterle, ha parlato delle caratteristiche dei due prodotti che ne uscirebbero fuori, la biolignite e la frazione liquida da utilizzare come base per fertilizzanti e anche di come avverrebbe il processo produttivo. Sotto questo aspetto l’esposizione è apparsa completa precisa.

Entrambi i tecnici hanno spiegato, anche in risposta ad alcuni interventi, che l’impianto dovrebbe trattare fanghi di risulta dalla depurazione di acque reflue urbane, di matrice biologica. E che “salvo azioni illegali non potrà trattare altre componenti come il percolato di discarica” che invece viene trattato dell’attiguo depuratore ex Bioecologia, anche quello rilevato da Acea. Questo significa che i fanghi prodotti dal depuratore esistente (che, ricordiamolo è più grande e autorizzato per una quantità maggiore dell’impianto che Acea vuol realizzare) non potranno essere trattati nel cosiddetto Carbonizzatore.

Sgombrato questo aspetto, l’ing. Marrocchi ha però sottolineato che l’impianto Acea per il trattamento fanghi produrrà emissioni in atmosfera per 118 Tonnellate/anno e 53.000 tonnellate di acqua trattata che in parte verrà riutilizzata nel ciclo produttivo e in parte finirà in una apposita vasca, con canali di sfioro che immettono su un fosso presente nell’area. Non solo: Marrochi ha anche puntato il dito sull’utilizzo nel processo produttivo di 5.300 tonnellate/anno di Acido Nitrico, sostanza piuttosto pericolosa, che dovrà essere trasportata con almeno un camion al giorno…

Secondo i due tecnici tutto sarà fatto stando nelle norme (ci mancherebbe altro!), ma vanno comunque messi nel conto e tra le possibilità, peraltro probabili, malfunzionamenti, guasti, errori, quindi sversamenti, perdite, fughe di materiale, incidenti, anche dei mezzi di trasporto, tutte cose che nell’industria non soltanto possono capitare, ma capitano con una certa frequenza e quasi assoluta certezza.

Se gli organizzatori dell’assemblea e i due tecnici hanno mostrato interesse e fiducia nell’Inchiesta Pubblica in corso a Chiusi (più Marrocchi che Bazzocchi) alla quale tutti parteciperanno, la platea è sembrata più scettica. Massimo Mercanti ha presentato una lettera indirizzata al Presidente della Regione Rossi e ai sindaci del territorio; il consigliere di opposizione Niccolucci ha proposto una azione congiunta di tutti i sindaci e i consigli comunali contro Bettollini. Il sindaco di Cetona Roberto Cottini che ha partecipato “perché quando c’è movimento e mobilitazione dei cittadini un sindaco deve ascoltare e farsi carico delle istanze di quel movimento” è sembrato anche lui scettico sull’utilità dell’impianto Acea e al contrario molto convinto che sarebbe una presenza estranea e un errore strategico rispetto alle caratteristiche e vocazioni del territorio.

E’ servito a poco l’intervento del presidente della Commissione Ambiente del Comune di Chiusi Simone Agostinelli, il quale ha provato a spiegare che nulla è deciso, che il Comune di Chiusi ha solo venduto un’area industriale con un bando, che se il progetto dovesse saltare non dovrà restituire i soldi pagati da Acea per l’acquisto del terreno; che il Comune ha sempre detto che “se ci sarà anche il minimo dubbio il progetto non verrà approvato”, che l’inchiesta pubblica dovrà chiarirli tutti i dubbi. E ha detto anche di più, adombrando pure una exit strategy, legata ad uno strumento determinante che ha in mano il Comune di Chiusi: l’approvazione o meno della variante al Piano Operativo per consentire o meno l’insediamento di industrie insalubri di classe 1, variante chiesta da Acea.

L’.ing Bazzocchi l’ha vista come una apertura importante. La platea invece ha fatto finta di non sentire, rumoreggiando, ferma nel NO a prescindere e senza  discussioni.

Agostinelli è stato anche accusato da esponenti del Comitato Aria e dal consigliere chiusino Luca Scaramelli, di presentarsi adesso, dopo due anni, e di averlo fatto a Cetona e mai a Chiusi. Da apprezzare però il coraggio di presentarsi e parlare in una assemblea che in quel momento era una sorta di uno contro tutti.

A questo punto diventano fondamentali le sedute dell’inchiesta pubblica di sabato prossimo e di sabato 30. Lì Acea, coi suoi tecnici, dovrà rispondere alle domande e ai dubbi sull’impianto, dovrà spiegare bene la storia delle emissioni e tutto il resto. Perché se i dubbi non verranno fugati, se i dati forniti dai tecnici che si sono espressi per il NO (e le loro perplessità) non verranno confutati in maniera chiara e inequivocabile non ci sarà bisogno neanche di arrivare alla seduta finale dell’inchiesta. Il Comune, secondo quanto sempre dichiarato, non potrà dare l’ok.

La Variante al P.O richiesta da Acea è un altra possibilità per dire NO, considerando il fatto che a poche decine di metri c’è già un’altra Industria Insalubre di Prima Classe che è la Metalzinco. Oltre al depuratore ex Bioecologia.

Se invece dall’inchiesta pubblica emergesse un quadro diverso, e cioè l’assoluta sicurezza dell’impianto, l’assenza di emissioni nocive,  il fatto che si tratti di un impianto ecologico, che davvero propone una soluzione green al problema (che va affrontato comunque) dello smaltimento dei fanghi di depurazione, allora a quel punto verrebbe sgombrato il macigno delle paure e resterebbe sul tappeto solo il nodo dell’opportunità di farlo se mai in quelle dimensioni. E anche il nodo del “sentire comune” cioè il peso di un’opinione pubblica che in larga misura (dire a larghissima maggioranza è forse improprio) a Chiusi e non solo a Chiusi si è espressa in modo contrario. Opportunità, dimensioni e “sentire comune”, tutte cose non secondarie che attengono alla politica e vanno oltre gli aspetti meramente tecnico-scientifici-industriali.

Non c’è molto da aspettare. Tra dieci giorni il quadro sarà chiaro. Il confronto in sede di inchiesta pubblica adesso è l’unico test veramente valido. Quello dirimente.

La mobilitazione di queste settimane – al di là delle posizioni espresse e del modo in cui sono espresse – resta una fatto importante, straordinario. La gente che ritrova il gusto e la passione di partecipare e di dire la sua è una ricchezza, un valore. Può diventare un boomerang, però, se la partecipazione è indotta da paure ancestrali e incontrollate e sfocia in crociate fondamentaliste.

Il clima da vandea e da guerra civile mediatica che si è creato intorno a questa vicenda non aiuta. Qualcuno può anche sperare che ciò condizioni l’inchiesta stessa e la orienti in una certa direzione. Il presidente designato dalla Regione, professor Alessandro Franchi, nella seduta di apertura e insediamento è sembrato arbitro imparziale e determinato, consapevole del ruolo, ma anche della materia del contendere. A noi è apparso come una garanzia. E come una figura poco condizionabile.

Cercare, come taluni fanno, di sminuire il valore dell’inchiesta, adombrando scenari precostituiti e giochi già fatti, descrivendo gli enti preposti a pareri e controlli come soggetti inaffidabili e soggiogati alle politica, la Regione e il Comune come enti venduti che hanno svenduto il territorio al colosso Acea non è il “sentire comune”,  è una chiara linea politica, un attacco alla credibilità delle istituzioni, in sostanza una “picconata” al sistema democratico, un tentativo di forzare i processi decisionali a furor di popolo…

Così come con l’inchiesta pubblica verranno presto al pettine i nodi tecnici, verranno presto al pettine anche i nodi politici.

E alla fine dell’inchiesta pubblica si capirà anche chi si è mosso correttamente o meno, chi ha provato a fare ragionamenti, chi si è sottratto, chi ha posto dubbi legittimi e argomentati, chi invece ha alzato polveroni o  ha fatto terrorismo psicologico a buon mercato.

E’ vero che la Regione Toscana è arrivata raramente a fare l’inchiesta pubblica. Questa di Chiusi – come abbiamo già scritto in altro articolo – è la terza. E’ vero che ci è arrivata anche per le pressioni dei consiglieri regionali di minoranza, per le Osservazioni dei Comitati, ma crediamo lo abbia fatto anche perché la norma prevede che si faccia qualora ci sia un clima di forte contrasto in loco e quando gli aspetti tenici del progetto proposto non sono del tutto chiari… A Chiusi, il caso Acea presentava aspetti poco chiari e un forte contrasto in loco. Non si poteva non convocare l’inchiesta pubblica

A nostro avviso è anche bene che si faccia adesso e non in avvio di procedimento, perché adesso sono disponibili più dati e più passaggi: il progetto del proponente è più definito, ci sono le osservazioni dei Comitati, ci sono gli atti approvati nel frattempo dal Comune, ci sono le varianti chieste o adottate e ci sono state anche numerose iniziative sul tema, dalle assemblee alle lenzuolate… Insomma ci sono tutti gli elementi per una valutazione oggettiva seria, che all’inizio non c’erano. Adesso l’onere della prova ce l’ha Acea. Adesso è Acea che deve dimostrare dati alla mano la bontà del progetto. E non è detto che basti.

m.l.

 

 

 

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