29 DICEMBRE 1890: IL SOGNO DI ALCE NERO E I CANNONI AMERICANI

Oggi è il 29 dicembre. Il 29 dicembre del 1890, 125 anni anni fa negli Stati Uniti ci fu un massacro. Qualcuno la chiamò battaglia. Ma non fu una battaglia, fu un massacro a sangue freddo. In una pianura innevata oltre 150 Sioux Lakota, radunati in quel luogo dal 7° reggimento di Cavalleria dell’esercito statunitense furono sterminati a cannonate, solo perché si misero a danzare. Forse per il freddo, forse per lanciare un messaggio non violento e di pace. Le giacche azzurre comandate da un certo generale George A. Forsyth si innervosirono, ebbero paura di quella danza degli spiriti e aprirono il fuoco. Ma maggior parte degli indiani erano donne e bambini che dovevano essere deportati in una riserva.
Forse ebbero paura i soldati americani, O forse vollero semplicemente vendicare la sconfitta cocente subita 13 anni prima a Little Big Horn ad opera dei Sioux Lakota di Cavallo Pazzo e Toro Seduto proprio dal Settimo Cavalleggeri, comandato da un altro George A. George Armstrong Custer. Quella era rimasta una ferita aperta e c’era chi allora scriveva frasi come “La nostra sicurezza dipende dallo sterminio totale degli indiani. Dobbiamo cancellare dalla faccia della terra queste creature non addomesticate né addomesticabili”. Frasi che ricordano quelle che oggi molti pronunciano quando si parla dell’Isis, della minaccia islamica… E che alla fine dell’800, praticamente negli stessi anni di Wounded Knee, in Italia pronunciavano i “padroni delle ferriere” che invocavano i cannoni dell’esercito per fermare l’avanzata (o la resistenza) del quarto stato, del proletariato che cominciava ad avere rappresentanza nel socialismo nascente… E i cannoni non tardarono a tuonare a Milano nel 1898, agli ordini del generale Bava Beccaris…
Gli indiani, Sioux, Cheienne, Navajos, Apache, Piute, Nez Perces o Mescaleros non erano terroristi, né usurpatori. Né rivoluzionari o sovversivi.
Erano semplicemente gli abitanti originari di quelle terre. Erano loro gli americani. E furono prima costretti alla fame con lo sterminio scientifico dei bisonti (loro principale fonte di sussistenza), poi fiacccati con la diffusione (anche quella scientifica) delll’alcol e delle malattie, ma anche con azioni di guerra. All’epoca del massacro di Wounded Knee, alla fine del 1890, però le guerre indiane erano ormai alla fine, la resistenza dei pellerossa era stata quasi completamente annientata. Per questo quella carneficina fu ancora più insensata e inutile, salvo a ratificare la supremazia dei visi pallidi, la vittoria finale del loro “progresso” sull’economia selvaggia e “fuori tempo” dei nativi, sulle loro penne, sulle loro danze..
“Non sapevo in quel momento che era la fine di tante cose. Quando guardo indietro, adesso, da questo alto monte della mia vecchiaia, ancora vedo le donne e i bambini massacrati, ammucchiati e sparsi lungo quel burrone a zig-zag, chiaramente come li vidi coi miei occhi da giovane. E posso vedere che con loro morì un’altra cosa, lassù, sulla neve insanguinata, e rimase sepolta sotto la tormenta. Lassù morì il sogno di un popolo. Era un bel sogno… il cerchio della nazione è rotto e i suoi frammenti sono sparsi. Il cerchio non ha più centro, e l’albero sacro è morto.”
Così Alce Nero ricorda la strage di Wounded Knee. Un episodio che è stato raccontato in maniera magistrale, così come tutta la “conquista del west” in un libro: Seppellite il mio cuore a Wounded Knee di Dee Brown. Il libro racconta la strage di Wounded Knee come l’ultimo episodio delle guerre indiane, ma lo fa senza retorica, senza orpelli, senza nemmeno cedere al buonismo nei confronti dei pellerossa. Un libro che quando uscì divenne un best seller e costrinse l’America a fare i conti con la sua storia.
E’ del 1970, uscì in piena guerra del Vietnam e leggendo dello sterminio dei bisonti, veniva alla mente la distruzione della giungla vietnamita con il famigerato diserbante “Agente Orange”. In entrambi i casi, si distrusse un intero ecosistema per piegare un nemico. Gli Americani usarono quaranta milioni di litri di Agente Orange, sperando di snidare i guerriglieri Vietcong. Per oltre 40, la gente di quelle zone ha continuato a morire di tumore e i bimbi a nascere con malformazioni.
Ecco, oggi, 29 dicembre, con tante minacce e tante stragi in giro, ci sembra giusto, doveroso e politicamente corretto ricordare il massacro di Wounded Knee, che vuol dire ginocchio ferito. Solo che in quella pianura imbiancata dalla neve non fu ferito solo un ginocchio. Fu uccisa definitivamente un’epoca, fu messo il sigillo ad una operazione di pulizia etnica e di sterminio fatta in nome del progresso, della civiltà occidentale e del mercato.
Non è un segreto per nessuno che gli Stati Uniti d’America siano giustamente considerati uno dei paesi più violenti al mondo.Non mi ripeterò sulla loro storia passata di maggior agente della violenza in tutto il mondo,di cui parlavi tu Marco,ma fin dalla loro nascita tale carattere è stato ciò che li ha contraddistinti.Ancora oggi
nelle scaramucce verbali fra americani ed anti-americani,gli anti americani non si stancano di ripetere a chi hanno di fronte additandoli come ”British Penal Colony”.Quindi la genetica non tanto lombrosiana ma storico-culturale non è che non possa essere di tutto rispetto.Al riguardo del Vietnam e dei defolianti sparsi a tonnellate nel territorio e su quello del Laos potrei dire qualcosa di cui personalmente mi sono reso conto andando nei luoghi dove sono stati disseminati diossina, defolianti, fosforo, napalm ed anche molto altro.Sia lungo la famosa ”Pista di Ho Chi Minh” sia nella cordigliera Duong Suon nel Vietnam Centrale e nel Laos .Ancora dopo quasi 40 anni, stanno nascendo nel momento stesso che che stò scrivendo,essere deformi e malati. A Saigon esiste un museo nazionale su tali tematiche e consiglierei a parecchi americanisti una visita.I Nazisti di Dachau impallidireb- bero davanti a tali immagini,e ne ho riportate di immagini fotografiche e quanto basti a comprendere di fronte a quale scempio umano siamo in presenza.La politica degli Stati Uniti verso i paesi con i quali hanno relazionato dall’inizio della loro storia li fa suddividere in due gruppi.Tale suddivisione fa dire a diversi analisti che” l’America non ha amici, od ha nemici od ha servi”.Chi conosce la storia di paesi come Arabia Saudita, Pakistan,Thailandia,Indonesia,Malaysia ed anche Filippine sta lì’ a dimostrare la dipendenza diretta ed indiretta alla violenza.Stessa cosa per l’America latina ed anche qualche paese dell’Africa.Bene,sono gli Stati Uniti da molto tempo ad essere il gendarme del mondo, a commerciare con gli stati indipendentemente da quale regime vi sia al governo di tali stati, alleandosi con le loro borghesie nazionali e rapinando quei paesi delle loro risorse, facendo arricchire pochi e condizionando i diritti umani di quei popoli.quindi il loro rispetto dei diritti umani è una risibile favola.Nella storia delle due guerre mondiali i loro interventi nei fronti di guerra hanno condizionato la storia, opponendosi ad altri regimi totalitari peggiori quali il
Nazismo ed il fascismo ed attuando la guerra fredda contro il socialismo,sono addivenuti ancor oggi a regolatori principali della vita in parecchi paesi del mondo anteponendo la libertà come concetto di uso individuale di questa ed il loro nazionalismo sentimentale a stelle e strisce.Provate a parlare con un americano medio e sondate la cultura di cui è portatore. Poi rifletteteci.Avrete senz’altro chiaro che guidare un tale popolo sia molto facile quando lo si faccia vivere nel culto dei soldi contrapposto al culto del moderno umanesimo.E’ la prima sensazione che si ha mettendo il capo fuori di un aereoporto,specialmente di notte.Non c’è bisogno di alte elocubrazioni culturali o pseudo-culturali o politiche.E’ sufficiente il normale buon senso.