NUMERO DEGLI ABITANTI: ECCO COME STANNO CHIUSI, CHIANCIANO, CITTA’ DELLA PIEVE E MONTEPULCIANO

IL TREND DEMOGRAFICO DEI 4 PAESI DALL’UNITA’ D’ITALIA AD OGGI.
CHIUSI – La questione demografica, cioè l’andamento del numero degli abitanti facendo il saldo tra nati e morti e tra immigrati ed emigrati, è una delle questioni nodali dei paesi, diciamo così, di provincia. Delle aree interne, lontane dalle grandi città, delle località periferiche. Lo spopolamento e il progressivo invecchiamento della popolazione è un dato di fatto a cui pochissime realtà sfuggono. Ma il fenomeno non è uguale dappertutto. In alcuni paesi è più accentuato, in altri meno. E se si osservano i dati dei censimenti, andando indietro nel tempo si capisce meglio il trend. E un po’ anche che vento tira. E però si possono notare anche delle sorprese. Per dare un’idea di quello che stiamo dicendo abbiamo preso in esame 4 paesi del nostro territorio: 2 in forte crisi di identità (Chiusi e Chianciano) e due invece un po’ più sulla cresta dell’onda, almeno dal punto di vista turistico (Città della Pieve e Montepulciano).
CHIUSI alla fine del 2024 registrava 8.120 abitanti. Nel 1861 alla proclamazione dell’Unità d’Italia e di fatto alla nascita della stazione ferroviaria e di Chiusi Scalo, ne aveva 4.176. Praticamente la metà. E da allora è sempre cresciuta fino al 1981 quando ha registrato il picco massimo: 9.244 abitanti. Nel 1881 ne aveva 5005; nel 1901 5.974; nel 1936 (anno dell’impero) 8.043; nel 1951, dopo la guerra che distrusse il 90% delle case, 8.644; nel 1961, 8.848, nel 1971, 8.771 (piccolo calo subito recuperato nel decennio successivo). La città di Porsenna è rimasta sopra i 9.000 fino al 1991 (9.103), poi ha cominciato a scendere: 8.612 nel 2001; 8.836 nel 2011 (piccolo sussulto di ripresa), 8.051 nel 2021 con un altra piccolissima ripresa (+69 abitanti) ultimi 3 anni. Oggi Chiusi è tornata ai livelli demografici del 1951, cioè prima del boom economico, prima dello sviluppo di Chiusi Scalo, prima della nascita della zona industriale, prima dell’abbandono delle campagne. Oggi la città ha gli stessi abitanti che aveva nel dopoguerra, 1.000 in meno rispetto ai primi anni ’90. Questa è la fotografia impietosa che emerge dai dati e se ci sono stati 120 anni di crescita continua dal 1861 al 1981, adesso la città ne registra 30 di decrescita, dal 1991 al 2021, una decrescita peraltro poco felice. E questo spiega anche – almeno in parte – la morìa di aziende artigianali, industrali e commerciali. E spiega pure la “desertificazione” della vita sociale cui si assiste ormai da tempo. Negli ultimo 10-15 anni ha perso circa 800 abitanti. Non sono pochi. E l’emorragia dipende solo dal ritorno in patria di molte famiglie immigrate.
CITTA’ DELLA PIEVE – La confinante città del Perugino alla fine del 2024 contava 7.398 abitanti, 722 meno di Chiusi. Ma nel 2001 il gap era doppio: 7.122 contro 8.612 con un saldo di -1.490 residenti. Negli ultimi 20 anni Città della Pieve ha fatto un bel recupero sui vicini toscani. Ma anche la cittadina umbra ha vissuto tempi migliori dal punto di vista demografico: nel 1861 aveva 6.330 abitanti (2.454 più di Chiusi); nel 1871, 6.755; nel 1881, 7.159; nel 1901 8.381 (il nuovo secolo portò un bel balzo in avanti); nel 1911, 8.652; nel 1921, supera per la prima volta quota 9.000 (9.102 per la precisione). Quota che mantiene e incrementa nel 1931 con 9.459, nel 1936 con 9.374 e anche nel dopoguerra con i 9.652 del 1951. Ma qui comincia il declino: 8.344 nel 1961 (-13,6%); 6.453 nel 1971 (-22,7%). Gli anni ’60-70 segnano dunque un tracollo. Nel 1981 (6.471) comincia lenta la ripresa che via via si consolida: 6.655 nel 1991; 7.122 nel 2001; 7.803 nel 2011. Nuova flessione nel 2021 con 7.712 abitanti, confermata dal dato di fine 2024: 7.398. Lontana più di 2000 unità la soglia toccata all’inizio degli anni ’50. E questo un po’ sorprende.
MONTEPULCIANO – La città del Poliziano è la reginetta indiscussa del territorio. Turisticamente vola e ha pure problemi di overbooking (troppo pieno). Ma nonostante questo non riesce a sfondare quota 15.000 abitanti. Cosa che ha fatto in altri tempi. Oggi (31.12.20249 conta 13.081 abitanti. Nel 1861 ne contava 12.683 (3 volte Chiusi). Dieci anni dopo, nel 1871 già ne aveva 13.494 (più di oggi). Nel 1881, 13.256; nel 1901 il balzo sopra i 15.000 con un +16% e 15.384 residenti. Il nuovo secolo si annuncia radioso. Il trend di crescita continua nel 1911 con 15.365; nel 1921 con 16.067; nel 1931 con 16.570; nel 1936 con 16.866. Ma il picco massimo Montepulciano lo tocca dopo la guerra, nel 1951 con 17.365 abitanti. Da allora però la città smette di crescere. E comincia a calare. 15.820 nel 1961; 14.356 nel 1971; 14.170 nel 1981; 13.856 nel 1991. E’ una discesa libera. Inesorabile. Con l’inizio degli anni 2000, ricomincia a salire: 13.883 nel 2001; 14.237 nel 2011. Nuovo calo, piuttosto clamoroso, nel 2021: 13.386 (-6%), confermato dal dato 2024 (13.081). Insomma Montepulcuiano brilla e sfavilla, ma non attrae residenti, anzi li perde. Problema di prezzi e conseguenza del’esplosione turistica? può darsi. Ma questo è il dato.
CHIANCIANO TERME – Se uno, da queste parti, dice o sente pronunciare la parola declino pensa subito a Chianciano. A com’era e come è adesso. Chianciano è un po’ il simbolo tangibile dei cambiamenti epocali, della desertificazione commerciale delle città. Ma dal punto di vista del trend demografico la cittadina del fegato sano è più sana di altre, anche tra quelle confinanti. Alla fine del 2024 risultavano iscritti all’anagrafe come residenti 7.107 persone, 259 in più rispetto al censimento 2021: 6.848. Insomma con qualche segnale di ripresa nell’ultimo periodo, post covid. Ma andiamo ai dati storici. Nel 1861 Chianciano aveva 2.419 abitanti. Non molti. Era un paesello. Nel 1881 ne contava ancora 2.626. Nel 1901, 2.886. Primo balzo, confermato nei decenni successivi: 2.987 nel 1911; 3.070 nel 1921; 3.438 nel 1931; 3.677 nel 1936. Exploit nel dopoguerra con i 4.548 del 1951; i 5.489 del 1961; i 6.788 del 1971, i 7.285 del 1981 e i 7.445 del 1991. Più 3.000 abitanti rispetto al ’51. Sono gli anni d’oro delle terme e della “Chianciano da bere”, che non era solo “acqua santa”. Sono gli anni e i decenni della crescita tumultuosa sul piano edificatorio, delle luci al neon che f anno sembrare la cittadina termale una piccola Las Vegas a cavallo tra la Valdichiana contadina e operaia e la Valdorcia Felix, patrimonio dell’Unesco. Nel 2001 prima brusca frenata: 6.955. Nel 2011 lieve ripresina con 7.058, per poi calare di nuovo nel 2021: 6.848. Calo sì, ma senza crolli clamorosi. Evidentemente Chianciano dal punto di vista della residenzialità è rimasta appetibile e ha tenuto botta. Forse anche per un motivo inverso rispetto a Montepulciano: costi più bassi delle abitazioni e degli affitti. Però il dato, anche in questo caso un po’ sorprende.
Conclusioni: Non è tutto oro quello che luccica. Chiusi e Chianciano stanno maluccio, ma dal punto di vista demografico non malissimo, soprattutto Chianciano. Città della Pieve e Montepulciano invece, sotto questo profilo, stanno peggio di come può sembrare osservando il movimento turistico ed entrambe hanno perso più popolazione di quanta non ne abbiano persa realtà più in crisi. Altro dato che emerge è che il turismo, anche quando è esorbitamte, non porta residenti. Anzi. Tutte e 4 le cittadine prese in esame hanno avuto tempi molto migliori demograficamente parlando. Una riflessione su come attrarre residenti, su come far tornare attività nei centri storici e nei nuclei abitati anche meno storici, su che tipo di attività servono, su come riconvertire edifici e strutture ormai inservibili (si pensi agli alberghi di Chianciano), crediamo che tutti i comuni dovrebbero farla. E con i Comuni anche le forze politiche, le associazioni, i sindacati. I flussi demografici non sono mai indipendenti dalla realtà socio-economico-culturale dei luoghi e dovrebbero essere il primo paradigma da prendere i considerazione non solo quando si progettano i piani regolatori, ma anche quando si stilano i programmi elettorali.
M.L.
Nella foto (di repertorio) una vecchia immagine di Piazza Matteotti a Chiusi Scalo.
Forse occorre rifare i calcoli,perché la popolazione di cui all’articolo ri guarda il comune non la città,specie per Montepulciano che ha frazioni piuttosto grosse
Si concordo con l’appunto. Se teniamo in considerazione le frazioni, secondo me emerge un netto calo da parte di tutti i borghi antichi, in favore dello Scalo e di Po’Bandino, o di Acquaviva nel caso Poliziano
Il dato disaggregato per frazioni non è disponibile. Ma il ragionamento che si fa nell’articolo è sui 4 comuni, intesi tutti e 4 come entità uniche comprensive di capoluogo e frazioni… E’ la somma che fa il totale, frazioni o non frazioni… Quello dei “flussi interni” tra capoluoghi e frazioni e viceversa e tra città e campagne è un tema di cui si può discutere, ma non cambia minimamente il dato generale, né il senso del discorso. Per esempio a Chiusi fino al 1951 il centro storico aveva certamente più abitanti dello Scalo. Dopo no… A Città della Pieve, fino agli anni’80 Po’Bandino era poca cosa… Il rimescolamento interno c’è sicuramente stato, ovunque, ma cosa cambia alla fine rispetto al dato generale?
Sarebbe interessante completare l’ analisi aggiungendo la distribuzione della popolazione per fasce d’età, in quanto presumibilmente anche laddove il numero di abitanti è rimasto stabile l’età media è cresciuta e non poco. Ed una circostanza del genere preoccupa più del calo di per sé.
Mi trova d’accordo l’intervento di Giangiacomo Rossi, in quanto il problema che pone non è davvero secondario ma sovraintende e si riferisce ad un fatto che comunque chiama in ballo la politica.Se è vero come credo che lo sia, che vi sia un aumento di età della popolazione residente vuol dire che minor popolazione giovane trova presenza nella popolazione residente e quindi questo è sicuramente un segnale che porta al degrado ed all’abbandono dei paesi che diventano progressivamente- usando magari un termine forte- un ricettacolo di anziani e di persone tendenzialmente meno produttive comunque o comunque più vicini tutti all’età pensionabile. Guardando il fenomeno e volendolo raffigurare con un sinusoide, il tracciato apparirebbe in negativo per quanto riguarda lo sviluppo di nuove attività,nuovo commercio, nuove prospettive.Guardando poi alla natura dei territori che il post ha preso in considerazione io mi porrei il problema di come si possa invertire la rotta ma sinceramente non trovo molte alternative al fatto di poter investire sulla cultura e sulla mobilità e non senz’altro sulla creazione di piccole o grandi industrie legate alla trasformazione nè di materie prime o di prodotti, proprio per un discorso che riguardi l’integrità dei territori che più che il tempo passa e piu’ appare fondamentale nella vita delle persone che li abitano. Investire nella cultura darebbe un impulso notevole ma dovrebbe essere un investimento diffuso a cominciare dai poli attrattivi che non mancano e che non debbano essere necessariamente solo gli ”etruschi” bensì la creazione di strutture legate ai terriori che contengono- come dire- le possibilità che possano appartenere ad una specie di ” centro direzionale” ,cioè di un luogo e di luoghi dove si studi l’efficacia di iniziative che possano essere presenti permanentemente sui territori stessi ed anche legati al paesaggio, al cibo, alla storia, ai convegni, insomma ad una rivisitazione di questi contenitori culturali che ci appartengono ma fatta e portata avanti con cognizione di causa in maniera permanente. Certamente occorrono le energie economiche in primo luogo e poi il ”think tank” necessario che si debba assumere sia la permanenza costante e l’iniziativa multidirezionale costante. Investire in cultura può veramente dare da mangiare se cosa fatta in maniera intelligente. Fin’ora tranne pochissimi tentativi che hanno comunque avuto un limite sia temporale che di espansione, il richiamo che c’è stato non è stato all’altezza di poter variare una qualsiasi condizione e forse solo Montepulciano si è distinta solo per l’aspetto turistico, ma comunque anche se il turismo rappresenta un buon incentivo rimane sempre un fatto che non sempre è detto che porti ad un lvello di qualità di vita degli abitanti e della popolazione residente.Ci vorrebbe una ragnatela di connessioni ed è purroppo disincentivante il fatto che nel periodo che viviamo dove mancano le sostanze anche per le necessità più dirette quali ad esempio la sanità, non vi siano risorse sufficienti per la promozione di un programma e di un esperimento simile che secondo me -se posto in essere non dalla politica- ma con criteri diciamo più lungimiranti, più tipici di un atteggiamento di programazione di natura ”più aziendalistica”, potrebbe avere più chanches sul risultato. La politica dovrebbe coordinare un fatto del genere ma la politica che vediamo intorno a noi credo che non ne sia capace in primis proprio culturalmente riferita agli impieghi umani di livello ed in seconda questione proprio per la sua tendenza clientelare-politica, inteso come vizio strutturale dequalificante e teso solamente al fornire posti e quindi consenso. E allora mi rendo conto che è del tutto inutile fare i voli pindarici nell’attesa di quel ”meteorite”del quale parlavamo pochi giorni addietro che invece del Golfo del Messico dovrebbe colpire altrove….
Ma anche se questo avvenisse avrei molti dubbi che il disegno ipotizzato potrebbe realizzarsi….perchè diceva una mia vecchia zia che ”i cocci vecchi non si rompono quasi mai, semmai si rompono quelli nuovi”….e forse tanto torto non lo aveva ma allora come dicono a Napoli ”ha da passà a’ jurnata…”, ma qui la giornata non è di 24 ore ma si allunga sempre di più.
In realtà Direttore cambia moltissimo: acquistare una casa a Po’ Bandino è molto più conveniente che acquistarla allo Scalo, così come spostare la sede legale di un’azienda “di là del fosso” in Umbria. In sostanza, coloro che vivono a Po’ Bandino sono nei fatti abitanti e lavoratori di Chiusi Scalo, conservando i vantaggi di risiedere in Umbria. Terre di confine…
Infatti, come scritto nell’articolo, Città della Pieve ha recuperato gran parte del gap demografico rispetto a Chiusi. Pur perdendo di più in termini assoluti rispetto al dopoguerra, quando Chiusi cresceva di più. Come Chianciano. Quanto all’invecchiamento della popolazione, è evidente che sia l’altra faccia della stessa medaglia. Ed è inevitabile, quando non c’è un saldo positivo nati/morti e una immigrazione massiccià.
L’andamento demografico è un parametro da tenere sempre in considerazione, al di là di questo però, considerando che il dato è dovuto anche a ragioni legate semplicemente al calo delle nascite, quello che i diversi comuni dovrebbero fare è un ripensamento riguardo alle proprie caratteristiche e quindi rispetto alle proprie prospettive. Città della Pieve e Montepulciano lo hanno fatto e pur con alcune contraddizioni possiamo considerarli “in salute”. Chianciano e Chiusi non lo hanno fatto e per questo vivono una crisi senza precedenti, che è anche il motivo dell’invecchiamento della popolazione oltre al calo del numero assoluto dei residenti. Credo che il dibattito dovrebbe concentrarsi su questo, a Chiusi le amministrazioni almeno degli ultimi 20 anni hanno governato il presente e poco più della normale amministrazione senza immaginare scenari futuri, se questo modo di governare lo adottasse una qualsiasi azienda fallirebbe nel giro di pochi anni.
X Luca Scaramelli. Ma la ragione di quanto affermi nelle tue ultime righe riguardo agli ”ultimi 20 anni” di cui tu parli secondo te qual’ è ? Te lo chiedo perchè per parecchi- forse per la maggioranza della gente – non risulta tutto questo.
Il problema demografico (calo e invecchiamento) riguarda più o meno tutti i comuni, dipende da fattori locali, ma anche da fattori generali, da come è cambiato il mondo. Le amministrazioni locali negli ultimi 20-30 anni, hanno fatto poco o nulla perché si sono adagiate sul fatto che fosse una cosa epocale ineluttabile(così va il mondo) e perché hanno smesso di avere pensieri lunghi, di prospettiva, gli ultimi in questo senso risalgono agli anni 70-80. La politica ha abdicato al proprio mestiere, ha lasciato tutto nelle mani degli amministratori , i quali in nome del pragmatismo, si sono limitati alla gestione ordinaria dell’esistente. Senza alcun “progetto”. E questo è successo anche per il progressivo abbassamento del livello di preparazione politico-culturale dei gruppi dirigenti. Tutti laureati, ma senza effettivo background e senza alcuna velleità creativa.
Mi trovi d’accordo ma questo vuol dire una cosa sola : che la cultura non abita più in seno a questi che tu dicevi,poichè in tal caso la laurea è un pezzo di carta e sovraintende bene o male ad un percorso di studio,ma se lo studio in tal caso non serve alla funzione a cui sono preposti mi chiedo se è vero quello che diceva il padre di un mio amico nei confronti del figlio che aveva studiato e che non capiva un bel nulla: ”pori i mi soldi….”. ” La Cultura” dovrebbe intendersi come un mezzo od un arma per sapersi muovere nel mondo,capire le cose del mondo e saper trasformare cio che non va bene e che si ha intorno. La cultura e più propriamente soprattutto quella politica che abbiamo come nostra fascia generazionale visto all’opera nel passato era ben diversa e permetteva anche a persone provenienti da semplici famiglie,anche se si voglia molto povere, di arrivare a dei ruoli alti e capire da ciò che avevano messo a frutto con la gavetta ed il confronto col mondo che avevano intorno che la qualità della persona era quella che si rifletteva in un impegno materiale ed intellettuale paralleli e progressivi verso una crescita. Oggi spesso anche dal ceto politico che ci amministra la maggior parte delle persone anche se hanno raggiunto una laurea non
sono lontanamente equiparabili a coloro che dicevo prima. E tutto questo si riflette logicamente nella società ma anche nelle loro stesse condizioni personali come scelte che fanno anche nei confronti di loro stessi. Difatti sono aumentati i livelli di insopportabilità, di reattività, di impotenza a fronteggiare i problemi che si trovano di fronte e da questi ne deriva spesso anche la loro insicurezza ed insoddisfazione.Quindi il titolo di studio in tali casi- non per tutti chiaramente e per fortuna – è del tutto inutile e non rappresenta più un grado di qualifica della levatura della persona.Ecco il degrado progressivo è dovuto principalmente alla qualità del livello formativo con il quale tali persone che dicevi hanno impattato.E questo invece di diventare ”un arma” è un ombrello forato che non serve nemmeno più a parare l’ acqua che cade e che bagna sia loro stessi sia i concetti per i quali dicevano di battersi.Questa è una grossa componente tesa a provocare la disgregazione sociale ed il degrado progressivo di tutta una società, dandola in pasto ai meccanismi automatici di un mercato che ha perso di vista il riferimento
delle vere necessità umane.Ma per fronteggiare tutto questo occorrerebbe la cultura,ma se il ceto politico in primis ne è mancante, gli amministrati-quali cittadini- dovrebbero capire che per uscire da tale imbraca occorra opporsi con fermezza innanzitutto verso coloro che vorrebbero continuare a gestire la cosa pubblica e la stessa politica in maniera antitetica alle necessità dei più, perchè le necessità dei piu’, quelle fondamentali, sono tutte euguali e c’è invece chi ha interesse a farle apparire diverse, ed oggi con la padronanza mediatica, su tale terreno si raggiungono scopi che nelle decadi addietro erano impensabili, perchè ti fanno vedere non quello che si dovrebbe avere di necessità ma quello spesso mascherato che contenga la necessità di altri alla quale siamo chiamati a dare il nostro consenso.E chi è il mediatore di tutto questo se non i politici odierni ? Ecco perchè c’è necessità della cultura e della presenza della critica.