ORIZZONTI: 300 METRI DI TELA E DI MEMORIA. LA GENIALITA’ DEL DUO MANZINI-BONZI ILLUMINA IL PARCO DEI FORTI
CHIUSI – “L’uomo che è venuto da lontano ha la genialità di uno Schiaffino”… Eh sì, Alessandro Manzini che arriva da Desenzano sul Garda, lo stesso paese di Marcell Jacobs medaglia d’oro nei cento metri alle Olimpiadi, viene da lontano ed è un fantasista. Sta al teatro, quello dilettantistico, fatto dagli allievi dei suoi corsi, come Schiaffino stava ai campi di calcio. E se l’uruguagio del Milan faceva correre il pallone, Alessandro Manzini fa correre un nastro di tela lungo 300 metri e con esso la fantasia, e la memoria, i ricordi, mischia le carte, usa il racconto, il movimento e la tecnologia per accendere serate molto particolari. E le sue partite sono sempre geniali.
Ce ne eravamo accorti, noi di primapagina, quando lo ingaggiammo due anni fa, per lo spettacolo On the road. Again uno dei pochissimi in cui si è visto all’opera come attore-narratore; ne abbiamo avuto la conferma nelle performance dei suoi allievi negli anni scorsi. Ieri sera, al Festival Orizzonti non si è smentito, anzi, ha alzato l’asticella, come si suol dire. E la sua compagna di vita e di lavoro Irene Bonzi non è da meno. Non sono il braccio e la mente, ma un binomio affiatato e solidale, complice. Anche in queste scorribande.
Ieri sera, dicevamo, “I Macchiati” (si chiama così la premiata ditta Manzini-Bonzi) hanno portato 200 spettatori a spasso nel Parco dei Forti, raccontando storie in uno scenario che era anch’esso spettacolo nello spettacolo. Seguendo quei 300 metri di tela nera… 300 metri di memoria. Questo il titolo. Tra odori di alloro, rosmarino, lavanda, urne, sarcofagi, pezzi di colonna che stanno lì a raccontare in silenzio la storia che c’è dietro. Con la luna a far capolino tra i cipressi. Atmosfera niente male. E niente male anche l’idea di raccontare, in un festival estivo a Chiusi, una quindicina di storie legate alla città, al suo passato remoto e a quello recente.
E così i 14 attori/attrici del corso di teatro per adulti hanno raccontato la bonifica della Valdichiana, poi la vicenda tutta italiana della “Curva Fanfani” che rallentò la costruzione dell’Autostrada del Sole nei primi anni ’60, o le attese snervanti davanti alle sbarre abbassate del famigerato passaggio a livello di Chiusi Scalo che stava chiuso 18 ore a giorno. Poi le bombe degli Alleati sulla stazione ferroviaria il 21 novembre del ’43, con 8 morti civili, o la battaglia sanguinosa dentro al teatro Mascagni del giugno ’44. Infine la scoperta del laghetto sotterraneo di Fontebranda, i furti al Museo (quest’ultima storia raccontata con un divertente videoclip con bronzetti, urne cinerarie, figure dipinte e vasi restaurati che si mettono a nudo e raccontano la loro vita dura nei musei di tutto il mondo…).
Nel mezzo del cammin… il duo Manzini-Bonzi ha portato gli spettatori nel boschetto dei tradimenti, dove, in una sorta di piccola “Spoon River” hanno incontrato 4 personaggi (traditi e traditori) tirati fuori dalle pagine del libro Voce del verbo tradire: Fra Winterio di Magonza, il frate infedele che nel 1473 trafugò l’anello nuziale della vergine, preziosissima reliquia custodita nel convento chiusino di San Francesco e lo vendette ai perugini, che poi lo fecero arrestare, tenendosi però l’anello; Santaccio da Pistoia che il venerdì santo del 1554 tradì l’amico ed ex compagno d’armi Ascanio Della Corgna e con l’inganno salvò Chiusi dall’assedio sgozzando in una notte 500 armati perugini venuti per prendersi la città; poi il garibaldino Rizieri che partì da Chiusi con una camicia rossa e una pistola per andare in Sicilia coi Mille e si ritrovò in Missouri a dare la caccia a Jesse James e infine Catia Roberta Marcantoni, la ragazzina castiglionese tradita e uccisa dal fidanzatino a Chiusi Scalo nel 1986… Storie, alcune, su cui oggi viene da sorridere e altre invece crude, durissime anche da raccontare. Storie piene di sangue, che fanno capire che la guerra è una cosa schifosa e tragica sempre e che la memoria di una città, di una comunità, non è fatta solo di bei ricordi, ma anche di tragedie umane, di bassezze, di tradimenti, di lacrime e di cicatrici che non se ne vanno.
Un bel lavoro corale che trasmette la passione per la narrazione, ma anche il fuoco che anima i teatranti. La bellezza di stare su un palcoscenico, con l’odore del legno delle tavole, delle corde, il fruscio del sipario che si apre e ti lascia senza fiato, l’attesa di un applauso liberatorio… E i teatranti dei corsi dei Macchiati ogni anno sono più sciolti, più in palla, per rimanere al paragone calcistico iniziale con Schiaffino e la sue genialità. La Fondazione Orizzonti collabora con i “Macchiati” dal 2012, ci ha creduto dall’inizio, con i progetti scolastici e i corsi. E ci ha visto bene. C’è da augurarsi che i Macchiati Bonzi-Manzini restino a lungo in queste terre e continuino a macchiarle con le loro perle, perché sono perle rare…
Questa sera, martedì 3 agosto, il festival Orizzonti propone “Il dio del massacro”, con Gianni Poliziani, Michaela Stoica, Alessandro Waldergan ed Enrica Zampetti, per la regia di Manfredi Rutelli. Un’altra perla del teatro a km zero. Da vedere.
m.l.