PANDEMIA E CRISI ECONOMICA, IL NEW DEAL DI DRAGHI: “PIU’ DEBITO PUBBLICO PER GARANTIRE CREDITO ALLE IMPRESE E SOLDI ALLE FAMIGLIE”.

giovedì 26th, marzo 2020 / 11:54
PANDEMIA E CRISI ECONOMICA, IL NEW DEAL DI DRAGHI: “PIU’ DEBITO PUBBLICO PER GARANTIRE CREDITO ALLE IMPRESE E SOLDI ALLE FAMIGLIE”.
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La crisi causata dallo stop alle attività per l’emergenza coronavirus, può avere effetti devastanti. Servono interventi shock da parte banche, degli Stati e dell’Europa. Siamo di fronte a una guerra e in tempi eccezionali le risposte devono essere eccezionali. E veloci. Il rischio è entrare in un ciclo irreversibile di povertà e di recessione… Misure eccezionali. Aumento del debito pubblico. E soldi a sostegno dei redditi messi a rischio dalla pandemia…

Lo dice un signore che conosce bene l’Europa e da qualche anno ha preso casa a Città della Pieve. Talvolta va pure a fare la spesa alla Conad. Così come va alla messa in Duomo o, più discretamente, di pomeriggio nella Chiesa di Chiusi Scalo. Senza scorta. O con scorta ben mimetizzata. Il signore in questione si chiama Mario Draghi, fino al 2019 è stato presidente della BCE e prima ancora Governatore della banca d’Italia. Si definisce di cultura liberal socialista e in un articolo sul financial times lancia la sua ricetta per come affrontare la crisi economico-finanziaria e produttiva innescata dall’emergenza sanitaria che sa sconvolgendo il mondo intero…

“La pandemia di coronavirus è una tragedia umana di proporzioni potenzialmente bibliche. Molti oggi vivono nella paura per la propria vita o in lutto per i propri cari. Le azioni intraprese dai governi per evitare che i nostri sistemi sanitari vengano travolti sono coraggiose e necessarie. Devono essere sostenuti” scrive l’ex n.1 di BCE.

“Ma queste azioni – continua Draghi – comportano anche un costo economico enorme e inevitabile. Mentre molti affrontano il pericolo di perdere la vita, molti altri affrontano la perdita del sostentamento. Giorno dopo giorno, le notizie economiche stanno peggiorando. Nell’intera economia le imprese affrontano perdite. Molte si stanno già ridimensionando e stanno licenziando i lavoratori. Una profonda recessione è inevitabile. La sfida che ci troviamo di fronte è come agire con sufficiente forza e velocità per evitare che la recessione si trasformi in una depressione prolungata, resa più profonda da un’ondata di fallimenti che lasceranno dietro di sé dei danni irreversibili. È già chiaro che la risposta deve comportare un aumento significativo del debito pubblico. La perdita di reddito sostenuta dal settore privato – e qualsiasi debito accumulato per colmare le perdite – deve alla fine essere riassorbita, in tutto o in parte, dai bilanci pubblici. Livelli di debito pubblico molto più elevati diventeranno una caratteristica permanente delle nostre economie e saranno accompagnati dalla cancellazione del debito privato. È il ruolo proprio dello stato impegnare il proprio bilancio per proteggere i cittadini e l’economia dagli shock di cui il settore privato non è responsabile e che non può riassorbire. Di fronte alle emergenze nazionali gli Stati l’hanno sempre fatto”.

E qui Draghi cita le guerre come esempio. Poi precisa: “La domanda cruciale  non è se lo Stato debba impegnare il proprio bilancio, ma come. La priorità non deve essere solo quella di fornire un reddito di base a coloro che perdono il lavoro. Dobbiamo innanzitutto proteggere le persone dalla perdita del lavoro. Se non faremo questo, riemergeremo da questa crisi con un’occupazione e una capacità produttiva compromesse in maniera permanente, con le famiglie e le imprese in grande difficoltà a ripianare i propri bilanci e ricostruire le loro attività”.

A questo punto Mario Draghi espone la sua ricetta: “I sussidi per la disoccupazione e il rinvio delle tasse sono passi importanti che sono già stati adottati da molti governi. Ma proteggere l’occupazione e la capacità produttiva in un momento di drammatica perdita di reddito richiede un immediato sostegno di liquidità. È essenziale per tutte le imprese coprire le proprie spese di gestione durante la crisi, siano esse grandi aziende o ancor più piccole e medie imprese e imprenditori autonomi. Diversi governi hanno già introdotto opportune misure per fornire liquidità alle imprese in difficoltà. Ma è necessario un approccio più completo. (…) E deve essere fatto immediatamente, evitando ritardi burocratici. Il circuito bancario in particolare è diffuso in tutta l’economia e può creare denaro istantaneamente, consentendo scoperti di conto corrente o aprendo linee di credito. Le banche devono prestare rapidamente fondi a costo zero alle società disposte a salvare posti di lavoro. Poiché in questo modo diventano un veicolo di trasmissione delle politiche pubbliche, il capitale necessario per svolgere questo compito deve essere fornito dal governo sotto forma di garanzie statali su tutti gli scoperti di conto o prestiti aggiuntivi…”.

(…) E alla fine Draghi conclude: “Di fronte a circostanze impreviste, un cambiamento di mentalità è necessario in questa crisi come lo sarebbe in tempi di guerra. Lo shock che stiamo affrontando non è ciclico. La perdita di reddito non è colpa di coloro che ne sono colpiti. Il costo dell’esitazione può risultare irreversibile. Il ricordo delle sofferenze degli europei negli anni ’20 è un monito sufficiente.

La velocità del deterioramento dei bilanci privati ​​- causata da un blocco dell’attività economica che è sia inevitabile quanto opportuno – deve essere affrontata da una uguale velocità nell’impegnare i bilanci pubblici, mobilitare le banche e, in quanto europei, sostenersi a vicenda nel perseguimento di ciò che è evidentemente una causa comune”.

Ora se lo dice Draghi di finanziare imprese e famiglie proponendo con una ricetta che ricorda il New Deal di Rooswelt negli Usa degli anni 30, il capitalismo italiano ed europeo può far finta di niente? La guerra al coronavirus è una guerra a tutti gli effetti e le conseguenze saranno (già sono) quelle di una guerra. Serve liquidità, quindi soldi da distribuire a famiglie e imprese, e serve credito per sostenere la ripresa delle attività quando sarà possibile e garantire la sopravvivenza nel periodo di stop produttivo.

Non sarà socialismo, ma è qualcosa di molto diverso dal liberismo spinto o dal si salvi chi può (cioè solo i più forti e più garantiti) come è successo alla Grecia o all’Argentina qualche anno fa.

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