GRETA E SIMONE, LA LEZIONE DEI QUINDICENNI

venerdì 05th, aprile 2019 / 15:11
GRETA E SIMONE, LA LEZIONE DEI QUINDICENNI
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Nelle ultime due, tre settimane abbiamo visto eventi e situazioni che ci hanno fatto capire una cosa. Ci hanno fatto capire che se c’è una speranza di vedere un mondo migliore, città migliori, una società meno incattivita e più solidale, questa speranza sta nei quindicenni.

Prima la mobilitazione mondiale per il clima, con milioni di persone nelle piazze per chiedere attenzione al futuro prossimo del pianeta (verrebbe da dire per chiedere pietà per un pianeta che piange e rischia di morire di smog, di sete, di alluvioni…) lanciata da una ragazzina svedese con le trecce come Pippi Calzelunghe, che si è messa a protestare da sola e in pochi mesi ha creato un tam tam che si è propagato a macchia d’olio. L’hanno proposta pure per il premio Nobel la giovanissima Greta Thunberg. E ci può essere anche un gioco mediatico in tutto ciò, un gioco dei potenti nel sostenere Greta, per poi alla fine continuare a fare i loro comodi, perché non sono certo manifestazioni del genere a scalfire le politiche dei governi e delle multinazionali. Ma può essere anche un’illusione dei potenti di poter fermare la marea o renderla innocuo blandendola, facendo finta di sostenerla, mentre la marea avanza, perché come cantava Bob Dylan negli anni ’60 chi si metterà davanti alla porta per fermarla, si farà male… La generazione dei 15enni di oggi sui temi ambientali è più consapevole di quella dei loro genitori e dei loro nonni, che hanno vissuto altri momenti in cui tutto sembrava andare avanti verso un progresso e una corsa al consumo ineluttabili e inarrestabili. Oggi invece bisogna fermarsi e pensare. Perché aspettare potrebbe essere pericoloso, si rischia di far tardi, di chiudere la stalla quando i buoi son tutti scappati e stanno massacrando campi e giardini…

Il movimento globale che si è creato intorno alla protesta solitaria di Greta Thunberg fa pensare alla “Children Crusade”, alla Crociata dei ragazzi del 1200 che finì malissimo, ma diede una scossa all’Europa del tempo…

Dopo Greta, un altro quindicenne, stavolta italiano, romano, è diventato all’improvviso un gigante. Un Davide contro Golia. Un ragazzino che si mette in mezzo e fronteggia una folla di qualche decina di fascisti urlanti che avevano appena gettato a terra e calpestato il pane destinato ad una comunità Rom nel quartiere di Torre Maura. Un ragazzino davanti a decine di quaranta-cinquantenni che col braccio teso nel saluto romano e fare minaccioso stavano inscenando una gazzarra razzista. Un ragazzino col cappuccio in testa e le cuffiette al collo che si para davanti ai duri e puri di Casapaound convenuti a sgomberare i Rom, e con un italiano un po’  così, ma con ferma pacatezza dice: “io so’ de Torre Maura, ma nun so’ d’accordo…  A me me dà fastidio chi rubba, non i Rom…” 

Ecco. Quel ragazzino che si chiama Simone è diventato un simbolo della resistenza umana di fronte alla nuova barbarie. Dell’umanità contro l’odio diffuso a palate, della ragione contro la guerra tra poveri, che poi, si sa, le guerre tra poveri le vincono sempre i ricchi.

Contro il fascismo che rialza la testa e pretende di dettare la sua legge di sopraffazione e intolleranza, ha fatto più il 15enne Simone a Torre Maura che i ministri del governo (che invece ai fascisti strizzano l’occhio), più del Comune di Roma adesso che è a guida 5 Stelle e anche prima quando era a guida Pd, più di tutta la sinistra messa insieme in anni di governo e di opposizione.  Perché ha fatto capire a tutti che non è con i saluti romani e l’intolleranza che si risolvono i problemi enormi delle periferie. E quella frase finale “E la colpa del degrado è dei rom?” è una bomba N sulle argomentazioni dei fascio-razzisti di Casapound. Un capolavoro. Che non assolve nessuno.

Greta e Simone nel loro piccolo, con i loro gesti solitari e istintivi, ci dicono – ancora una volta – che ribellarsi alla logica del profitto che uccide il pianeta o al pensiero unico, alla violenza e alla prevaricazione, è giusto. Ma ci dicono anche che i ragazzi hanno capito che è in ballo il loro futuro. Non solo il presente. E che se la politica non li vede e non li ascolta, loro sono anche pronti a scendere in campo da soli. Disarmati, con un cappuccio in testa, non con l’elmetto. Ma con le idee chiare su da che parte stare.

M.L.

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