ZINGARETTI ELETTO SEGRETARIO. IL PD CAMBIA STRADA. CHIUSI SPECCHIO DELLA SITUAZIONE NAZIONALE. SCARA PERDE IL SUO FORTINO

lunedì 04th, marzo 2019 / 12:04
ZINGARETTI ELETTO SEGRETARIO. IL PD CAMBIA STRADA. CHIUSI SPECCHIO DELLA SITUAZIONE NAZIONALE. SCARA PERDE IL SUO FORTINO
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C’era Stefano Scaramelli, ieri, al “seggio” delle primarie Pd nel circolo di Chiusi Scalo a fare lo scrutatore, come Calenda. Gentile, come sempre. Ma la faccia non era esattamente quella dei giorni migliori, dei tempi in cui il vento non si fermava con le mani. Ieri la faccia di Scaramelli era la faccia di chi sente odore di sconfitta. Come quella del giocatore che a dieci minuti dalla fine sta perdendo 2-0 e ha appena tirato in tribuna il pallone che poteva riaprire la partita. Ormai è andata, sembrava dire la faccia dell’ex sindaco e consigliere regionale. E’ andata non solo la partita, ma tutta la stagione. La stagione di Matteo Renzi che è anche la sua (di Scaramelli). Game over.

Sui tre candidati alle Primarie Pd Scara non si era espresso. L’aveva fatto per lui la sua portavoce Elisa Manieri, che – dicono – ad urne chiuse aveva una faccia ancora più triste. Chiusi non era più una roccaforte renziana. Il fortino dello Scalo ha evidenziato una “sacca di resistenza” ma l’onda è andata in altra direzione. Anche a Chiusi ha vinto Nicola Zingaretti. Largamente. Come in tutta Italia. Anche un tantino più nettamente, se possibile: su 726 votanti, Zingaretti ha preso 502 preferenze, pari al 70%, Roberto Giachetti (il candidato iperrenziano sostenuto anche da Elisa Manieri e Scaramelli) si è fermato a 174 (di cui 120 allo Scalo) pari al 24,7%, Martina ne ha presi 41, pari al 5,72. Per coloro che si erano spesi per Zingaretti, un bel successo.

Chiusi quindi perfettamente in linea con il trend nazionale. Zingaretti infatti ha vinto in tutta Italia con una percentuale tra il 65 e il 70%. Sarà lui il segretario del Pd, non ci sarà bisogno del ballottaggio nell’assemblea nazionale del partito il 17 marzo.

Abbiamo citato i numeri di Chiusi, assumendo la cittadina di Porsenna (e di Scaramelli) come paradigma della situazione. Perché in qualche modo ne è lo specchio fedele.

Se a livello nazionale il dato più rilevante è la partecipazione al voto, più alta di ogni previsione, con 1 milione e 700 mila elettori che si sono recati ai seggi nei circoli o ai gazebo, nell’ex fortino renziano di Chiusi hanno votato, come già detto 726 persone. Non un numero esorbitante, il 10% del corpo elettorale. Ma nemmeno un numero esiguo o irrilevante, perché si trattava tutto sommato di una consultazione “interna”,  si trattava di eleggere il segretario nazionale di un partito. E di un partito in crisi.

726 persone significa quasi tre volte gli iscritti al Pd, che sono 250. Diciamo che il corpo attivo del Pd è stato messo in minoranza anche alle primarie. Un bel numero di cittadini ha voluto dare un segnale. Un segno di “esistenza in vita”, ha voluto mandare un messaggio anche al Pd: come a dire “dai Pd, svegliati, datti una mossa, riprendi la parola e la strada…  che questo governo non ci piace e serve qualcosa di sinistra”. Ha voluto dire al Pd che la stagione di Renzi e del renzismo va messa ale spalle. Che il Paese ha bisogno di una sinistra (o di un centro sinistra) che sia riconoscibile, aperta, che smetta di inseguire la destra sul terreno del liberismo da un lato e della paura dall’altro, che lasci rappresentare le banche a qualcun altro e torni a dar voce e a rappresentare i lavoratori, i disoccupati,  chi ha più bisogno…

Zingaretti non è Bernie Sanders (che in questi giorni sta riempiendo le piazze americane), non è neanche un leader “radical” e operaista come Jeremy Corbyn. Non ha l’appeal nuovista di Alexandria Ocasio Cortez, ma sembra essere la figura giusta per una fase come questa. Una faccia tranquilla, un amministratore locale capace di unire la concretezza ad un minimo di tensione ideale, un segretario che nelle primissime dichiarazioni rilasciate a caldo ha parlato di necessità di dar vita ad un “campo largo“, rottamando la vecchia vocazione maggioritaria di Veltroni e la spocchia da autosufficienza di Renzi, facendo intendere che lui sa benissimo che il Pd da solo non va da nessuna parte. E che la prima cosa da fare sarà aprire porte e finestre e permettere all’aria nuova di entrare e rinfrescare l’ambiente. Il Pd di Veltroni di fatto non è mai nato, quello di Renzi, trasformato in una sorta di Partito della Nazionale, è naufragato disastrosamente.

Zingaretti tra l’altro viene dal Pci non dalla Dc. E questo è un altro particolare che può sembrare insignificante a quasi 30 anni dalla fine del Pci. Ma non lo è. Perché nella storia ci stanno scritte un sacco di cose. E il Dna è importante.

Il voto e la buona partecipazione alle primarie del Pd (svoltesi tra l’altro nella domenica di carnevale, con la gente in piazza a divertirsi e a far divertire figli e nipoti mascherati)  è in qualche modo anche un messaggio ai naviganti e ai naufraghi della sinistra dispersa. Sia quella dei vari partiti, partitini e movimenti dello zero virgola, sia quella dei cani sciolti, dei senza bandiera e senza partito, degli elettori non votanti e di quelli che per rabbia, incazzatura, delusione e scoramento, hanno votato per i 5 Stelle. Un modo per dire: la vogliamo smettere di guardarci in cagnesco ricominciando a parlare a confrontarci? Con il Pd di Renzi era oggettivamente difficile. Con un Pd derenzizzato e “aperto”, forse qualcosa si può fare.

Ovvio che il voto alle primarie da parte di gente non iscritta al Pd non è una cambiale in bianco a Zingaretti e al Pd. E’ più una speranza, un messaggio, che una cambiale. Che il Pd, con Zingaretti e con i dirigenti locali, dovrà cogliere e valorizzare per non vanificare la bella giornata di ieri.

Se non seguiranno atti concreti, il milione e 700 mila votanti di ieri saranno solo la resa dei cont interna al partito e al massimo una “lezioncina” ai 5 Stelle e ai fanatici della democrazia diretta sulla Piattaforma Rousseau. Tra un milione e 700 mila persone che escono di casa e si mettono in fila, con il documento e la tessera elettorale, pagando pure due euro e i 52 mila clic su un blog c’è differenza. Una bella differenza. Il Pd è nato e cresciuto con mille difetti, alcuni di fabbrica, altri dovuti all’uso o al “manico”, ma è l’unico partito che fa le primarie seriamente. Di questo gliene va dato atto. Rousseau è una bufala a confronto.

Che cosa significa cogliere e valorizzare il  segnale arrivato dalle Primarie?  Significa ad esempio aprire il confronto con il resto del centro sinistra e con la società civile per le amministrative imminenti laddove si voterà a primavera. Significa – anche laddove non si vota – cambiare il segretario se questi è una figura che fa riferimento alla stagione renziana (come a Chiusi, per esempio) e affidare il partito ad una faccia nuova, che senta e viva la leadership Zingaretti come una opportunità per far tornare il partito a fare politica sul territorio e non solo campagna elettorale. Significa avere un Pd che partecipa al dibattito pubblico, che dice la sua, che apre e promuove tavoli di confronto con le forze che stanno alla sua sinistra e con il centro, che intervenga sui grandi temi nazionali, ma anche sulle questioni locali senza delegare tutto al sindaco, alla giunta, al gruppo consiliare. Che riacquisti autonomia di giudizio e di pensiero.

Non è chiaro se il Pd, questo Pd, sarà in grado di farlo. Ma se non lo farà, le primarie non saranno servite a niente e Zingaretti sarà solo il settimo segretario (in 11 anni) di un partito di carta.

m.l.

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