QUANDO E’ IL TEATRO A PORRE LE DOMANDE CHE LA POLITICA NON SI FA PIU’

giovedì 27th, agosto 2015 / 17:24
QUANDO E’ IL TEATRO A PORRE LE DOMANDE CHE LA POLITICA NON SI FA PIU’
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L’estate sta finendo, diceva una canzoncina tormentone di una trentina di anni fa. Per la verità ci sarebbe ancora un mesetto da qui all’equinozio che segna l’inizio dell’autunno, ma l’impressione è già quella della smobilitazione. E’ bastato qualche temporale per far cambiare verso alla stagione. E questo clima da ultimi giorni di vacanza, induce qualche riflessione. Una, la prima, è quella che in assenza della politica, è stato il teatro, quest’estate a buttare sul tappeto questioni politiche e sociali rilevanti. A porsi domande sul passato, sul presente e sul futuro del Paese, inteso come Italia, come Europa, ma anche come comunità locali. E a parlare di temi scomodi. Anche scabrosi, se vogliamo, ma più che altro scomodi, di quelli che la politica evita volentieri, o al massimo cerca di utilizzare solo a scopo elettorale.

Il Teatro Povero di Monticchiello che da 49 anni affronta il tema della sopravvivenza di quel borgo rurale nel cuore della Valdorcia (e per quello nacque, proprio come esigenza di sopravvivenza, di vita, di speranza), ha affrontato quest’anno il dramma dei ventenni costretti ad andarsene nelle città più grandi o all’estero… la difficoltà di metter su un’impresa in loco, magari rimettendo mano all’agricoltura, ma anche un altro argomento, comune a tanti piccoli borghi: la chiusura dell’ufficio postale, come paradigma della perdita degli ultimi servizi, dell’ultimo baluardo e presidio dello Stato sul territorio sempre più lasciato a se stesso.. Un tema attuale, che scatena proteste, con la gente che insorge, ma non ottiene niente… Ecco chi parla di Stazioni in linea, di agganci all’alta velocità per “stare nel futuro” dovrebbe essere condannato, per legge, a vedere lo spettacolo del Teatro Povero 2015, per almeno 15 volte di seguito…

A Chiusi, il festival Orizzonti, conclusosi il 9 di agosto, ha proposto due pieces coraggiosissime, molto border line come linguaggio, ma non volgari o pruriginose, sull’omosessualità e sulla condizione spesso complicata degli omosessuali, uomini o donne che siano, nella vita quotidiana… Ma ha anche proposto due altri spettacoli, uno di Laura Fatini e uno di Gabriele Valentini, sull’esodo biblico che è in atto nel Mediterraneo, dall’Africa, dal Medio Oriente verso l’Europa. Non abbiamo sentito la politica, parlare dei due temi citati  con la medesima intensità, con la medesima lucidità di quanto non abbia fatto il teatro al festival chiusino.

E di emigrazione-immigrazione, di disoccupati e speranze deluse si parla anche nello spettacolo “4 amici al bar“,tributo al genio di 4 cantautori italiani (Endrigo, Tenco, Jannacci e Gaber) che è andato in scena a Chiusi il 7 giugno e sarà riproposto il 12 settembre a Città della Pieve.  Sul palco Gianni Poliziani e Francesco Storelli e una band creata per l’occasione. Una riflessione a voce alta sulle canzoni (e non solo) di 4 giganti della musica italiana, ma anche un pretesto per parlare dell’Italia di ieri, di oggi e di quella che si profila all’orizzonte…

Ad Arcidosso, suill’Amiata, la coppia Manfredi Rutelli-Simone Cristicchi ha proposto nel “luogo del delitto”, sul Monte Labro, la storia del “secondo figlio di Dio“, al secolo Davide Lazzaretti, ucciso dai regi carabinieri nel 1878… Una storia di misticismo e protosocialismo, la storia di u uomo visionario, che però voleva sollevare le condizioni dei più  umili, dei diseredati secondo principi religiosi, e appunto socialisteggianti… Una storia di quelle che, come dice l’attore nel monologo, “se non te la raccontano non la sai”, una storia di violenza di Stato contro un’utopia sovversiva, come spesso è successo in questo paese… Un “recupero di memoria” importante, affinché certe cose non si ripetano.

A Città della Pieve comincia domani, fino al 6 settembre, una mostra di pittura dedicata ad artisti cubani. Una mostra come tante, potrebbe sembrare, ma il fatto che si tenga a poche settimane dalla ripresa del dialogo tra il governo castrista dell’isola e gli Usa, in vista della fine dell’embargo che dura dal 1961, offre un’occasione interessante, una finestra su Cuba, un punto di vista e un punto di osservazione (quello di 5 pittori) su Cuba, su quello che l’isola castrista ha rappresentato, rappresenta e diventerà nei prossimi anni con la fine dell’embargo e l’arrivo dei dollari… Anche in questo caso nessun cenno di riflessione da parte di partiti o esponenti politici…  Vedremo se ci saranno a mostra in corso.

Ecco, abbiamo citato alcuni spettacoli e eventi culturali, 4 esempi di teatro di narrazione e di riflessione, e una mostra di pittura, non necessariamente teatro e pittura militante, come si intendeva negli anni ’70, ma iniziative in qualche modo coraggiose. Di certo più coraggiose e più “problematiche” di una politica sempre più ancorata al piccolo cabotaggio, bloccata e ingessata dalle diatribe interne, senza pensiero lungo, senza ideologia, ma anche senza idee, nuove o vecchie che siano. Una politica che non è memoria e non è futuro, che si barcamena tra uno slogan e l’altro, in un eterno presente legato più all’apparire che all’essere…

Ora, è vero che la cultura deve (dovrebbe) sempre essere più “avanti” rispetto alla politica, dovrebbe fornire lo spunto e la sostanza del pensiero che sta dietro alla politica… Ma possibile che la politica sia perennemente e sistematicamente assente o in ritardo e certe domande non se le ponga proprio?

E.C.

 

 

 

 

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