25 APRILE, UN FIORE PER BEPPE IL POLACCO. QUELLA PAGINA NERA DELLA RESISTENZA SUL MONTE CETONA

sabato 24th, aprile 2021 / 21:48
25 APRILE, UN FIORE PER BEPPE IL POLACCO. QUELLA PAGINA NERA DELLA RESISTENZA SUL MONTE CETONA
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CHIUSI – Su La Stampa di oggi, un articolo di Claudio Silingardi, alla vigilia del 25 aprile, parla di un partigiano particolare e di migliaia di altri partigiani come lui. Figure poco note, che diedero un contributo rilevate alla resistenza in Italia. Il partigiano particolare è Heinz Riedt, tedesco, interprete nel comando SS di Padova, ma in realtà informatore dei partigiani e nel dopoguerra mediatore tra Bertolt Brecht e il Piccolo Teatro di Milano e traduttore in Germania di “Se questo è un uomo” di Primo Levi. Heinz Riedt veniva dalla Wermacht. Come lui furono migliaia i soldati tedeschi che tra il 1943 e il 1945 disertarono e si unirono alla resistenza italiana. Come fecero anche tanti militari italiani del Regio Esercito fascista. “Le truppe della Wermacht erano alquanto composite: E in effetti la maggior parte delle diserzioni avvengono tra i soldati austriaci, polacchi, cecoslovacchi e russi” scrive Silingardi. Cioè tra i soldati dei territori che la Germania nazista aveva conquistato nei primi anni di guerra o si era annessa, prima del conflitto.

Nel mio libro, da poco uscito in libreria, “Voce del verbo tradire”, c’è un capitolo dedicato alla vicenda di uno di quei soldati: Joseph Klucine, anch’egli sottotenente della Wermacht, disertore, che il 1 marzo del 1944 si unisce ai partigiani di Chiusi e poi a quelli distaccati sul Monte Cetona.

E la sua è una storia, che secondo me merita di essere raccontata. E’ una brutta storia. Una storia ignobile. Una pagina nera della Resistenza in questo territorio rimasta per oltre 70 anni sottotraccia, anche tra gli stessi protagonisti e testimoni diretti di quei giorni fatidici che segnarono il passaggio del fronte e la liberazione dal nazifascismo, tra il 1 marzo e il 30 giugno del ’44.

Joseph Klucine è polacco, quando si unisce ai partigiani chiusini ha 27 anni, nella vita precedente faceva l’avvocato, conosce 7 lingue e conosce il funzionamento delle armi automatiche. Per questo i partigiani gli affidano subito il compito di istruttore militare e il comando di una cinquantina di uomini del “Distaccamento Fastelli”.

Sul Monte Cetona i distaccamenti partigiani sono più d’uno fanno tutti capo alla Brigata SIMAR. Dale iniziali del comandante. Un altro militare che si chiama Silvio Marenco.  “Nella Brigata Simar  Klucine è una specie di Tex Willer, un combattente coraggioso, audace, una sorta di eroe romantico, ma inflessibile, svelto con le mani e con le pistole che tiene infilate nella cintura. non ha paura di niente e spesso fa azionisfrontate copme quando disarma e sbeffeggia in pubblico un militare della Mas in licenza a Sarteano che si vantava di aver fatto cose terribili ai partigiani o qiando nei pressi di Chiusi giustizia sul posto, senza tanti complimenti un vecchio fascista marcia su Roma e “sciarpa littorio” che aveva preparato una lista da consegnare ai tedeschi. Beppe il Polacco diviene in breve tempo una specie di mito per i partigiani più giovani (e proprio perché giovani, meno politicizzati) fortemente attratti dai suoi metodi spicci, perché ritengon che coi fascisti e i tedeschi ci sia poco da tergiversare. Idee confuse, certamente, ma ferme, anche sul dopo. E sui traditori. L’8 aprile del ’44 per esempio Klucine fa fucilare tre fascisti e due carabinieri cheavevano eseguito degli arresti di partigiani e ne avrebbero fatti altri, se non li avessero presi”.

Pietà l’è morta. Nel ’44 non c’è spazio sul Cetona per atteggiamenti che oggi definiremmo buonisti. Joseph Klucine però è il contrario di ciò che invece è il comandante Silvio Marenco, anche lui militare, poco politicizzato (all’apparenza), sicuramente monarchico. E attendista.

Così i due entrano presto in rotta di collisione. Marenco cerca prima di isolare e neutralizzare il polacco, poi di allontanarlo dalla montagna, confinandolo a Chiusi… questo perché, data la sua irruenza lo ritiene che sia d’intralcio e possa compromettere le trattative che lo stesso Marenco ha deciso di intavolare coi fascisti, per evitare rastrellamenti e arresti, assicurando in cambio lo stop alle azioni partigiane.

Il colonnello Marenco blocca Klucine e i suoi seguaci a Chiusi e li mette sotto sorveglianza in modo che non compiano azioni. In sostanza Marenco allontana il Polacco e i suoi dalla Brigata Simar e nello stesso tempo tenta un accordo con il prefetto di Siena, il fascistissimo Giorgio Alberto Chiurco.

Questa linea non piace per niente a Klucine e ai suoi e nelle bande partigiane del Monte Cetona si apre un fronte interno, una lotta senza quartiere tra Marenco e il Polacco…

Per il comandante della Simar adesso il nemico numero uno è Joseph Klucine. Più dei tedeschi e dei fascisti. Il 7 maggio ’44 Marenco ordina ai suoi di eliminare Klucine, Poi comincia a far circolare lettere e voci su azioni sconsiderate del polacco, compreso un furto, mai confermato neanche dai presunti derubati. Addirittura lo accusa di intelligenza con il nemico. E quando apprende che Klucine sta cercando di rimettere in piedi la sua banda precedentemente dispersa, ordina che non solo lui ma tutta la banda deve essere annientata fisicamente. E’ una condanna a morte collettiva.

Il 6 giugno del ’44, giorno della liberazione di Roma, i partigiani della Simar individuano il rifugio di Klucine, vicino alla Cartiera di Sarteano. Lo circondano e gli intimano di uscire.  Beppe il Polacco esce con le mani alzate, con lui c’è un partigiano sarteanese, Piero Concoloni, che fa altrettanto. Joseph viene prima colpito con il calcio del fucile, poi trascinato via, verso un posto più isolato. Si sentono degli spari. Poco dopo i partigiani Gabriele Brogi e Acornero Dragoni tornano indietro con Piero Cioncoloni, ma senza il polacco. Cioncoloni verrà liberato e reintegrato nella Simar senza alcuna formalità.

Finisce male, dunque, malissimo l’avventura italiana di Joseph Klucine, ucciso a bruciapelo dai suoi ex compagni, per ordine di un colonnello badogliano.

Il polacco era una testa calda? certamente sì. Ma stava facendo la sua parte e quella faida che lo vide contrapporsi al comandante della Simar resta una pagina nera, la più nera della resistenza nella “terra di mezzo”. Una pagina nera dove c’è dentro di tutto: la contrapposizione tra due concezioni della guerriglia partigiana, c’è l’incompatibilità di carattere tra due persone e il tentativo dell’una di far passare l’altra non solo come un elemento di disturbo, incontrollabile e quindi pericoloso per la Brigata, ma come un nemico, addirittura in ladro, un prevaricatore e un traditore. C’è una questione di leadership che Marenco sente messa in discussione e non lo tollera. C’è l’invidia dello stesso Marenco per l’appeal che quel ragazzone biondo riesce ad avere sui giovani combattenti e che lui invece non ha. E c’è infine anche l’obbedienza cieca (e non si capisce perché) dei partigiani locali,che nonostante non siano monarchici, badogliani e attendisti come il loro comandante si piegano all’ordine del colonnello, senza farsi troppe domande. Ma c’è anche un’altra cosa: c’è il silenzio e il rifiuto di parlare di questa storia, un silenzio durato oltre 70 anni da parte degli stessi compagni più vicini e più fidati di Klucine,  quelli che rischiarono di fare la stessa fine e che sono rimasti muti fino alla morte di ognuno.

L’idea che mi sono fatto – e nel libro lo scrivo – è che quel silenzio abbia avuto un motivo: quello di non infangare, neanche d striscio la scelta di andare in montagna, di prendere le armi e di combattere i fascisti e i nazisti occupanti. Dare ragione a Klucine avrebbe significato in qualche modo “macchiare” la resistenza in questa parte di Toscana e gli stessi suoi compagni non se la sono sentita portandosi e oro convinzioni nella tomba.

Io credo che al fondo della vicenda ci sia stato anche un pizzico di razzismo e di nazionalismo ottuso. Secondo l’ordine di Marenco tutta la banda di Klucine doveva essere attaccata e annientata, invece solo lui alla fine viene passato per le armi. Perché è il capo, perché Marenco è lui che vuole eliminare e togliersi dai piedi per motivi personali. E soprattutto perché è un polacco. Uno straniero.

A 77 anni di distanza si può dire, nella ricorrenza del 25 aprile, che anche la Resistenza ha avuto le sue pagine oscure. Che non cambiano la sostanza della storia né sminuiscono l’importanza della lotta di liberazione, ma non vanno tenute sottotraccia come troppo a lungo è stato fatto. A Chiusi dal 2014 il Comune ogni anno rende omaggio ai “liberators” alleati con una visita ad un cimitero di guerra del Commonwealth. In questo 25 aprile segnato per il secondo anno consecutivo dalla guerra al covid e dal coprifuoco, a me sembra doveroso deporre un fiore alla memoria di tutti quei militari disertori della Wermacht che si unirono ai partigiani per liberare questo Paese. E un fiore più rosso alla memoria di Joseph Klucine fucilato dai suoi compagni per l’invidia di un colonnello.

Marco Lorenzoni

 

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