CHIUSI, STA PER ALZARSI IL SIPARIO SUL FESTIVAL ORIZZONTI. IL NUOVO DIRETTORE BRINZI ALLA PROVA DEL FUOCO. UNA MOSTRA CHE FARA’ DISCUTERE

IN PROGRAMMA LA MOSTRA FOTOGRAFICA A CIELO APERTO PROMOSSA DAL CLUB I FLASHATI, CON SCATTI DEL FOTOGRAFO-SOLDATO DEL BATTAGLIONE AZOV DAL BUNKER DI AZOVSTAL…
CHIUSI – E’ quasi tutto pronto, il centro storico si appresta a vivere i suoi giorni da leone… Venerdì 29 comincia il Festival Orizzonti che quest’anno festeggia i suoi primi 20 anni. E il traguardo non è di poco conto. Venti anni sono lunghi da passare e di acqua ad Orizzonti ne è passata parecchia sotto i ponti. Dai primi anni sotto la guida di Manfredi Rutelli con figure di spicco del teatro e della musica italiana, da Moni Ovadia ad un Celestini allora quasi sconosciuto, da Piovani a Bacalov, poi le stagioni mirabolanti, gay friendly e per certi versi sopra le righe di Andrea Cigni che riportarono l’Opera a Chiusi insieme a piece teatrali dirompenti e ardite che non avremmo mai visto a queste latitudini, infine le stagioni della ricomposizione del bilancio affidate allo sfortunato e compianto Roberto Carloncelli e al “profeta in patria” Gianni Poliziani, stagioni le ultime che hanno dovuto fare i contri anche con la pandemia, e restrizioni, gli stop in corsa. Adesso al timone del festival che sta per cominciare c’è Marco Brinzi che l’anno scorso era era venuto a Chiusi per recitare e adesso si ritrova direttore artistico.
Lo troviamo al chiosco, davanti al teatro Mascagni, intento a discutere con alcuni componenti della Fondazione, di un video coi bambini e di dettagli tecnici sull’allestimento. Accetta volentieri di scambiare qualche parola sul festival. E’ sereno, raggiante. Felice del clima che ha trovato e sente intorno a sé, lo dice senza tentennamenti in un toscano che è di un’altra Toscana rispetto a Chiusi, ma somiglia al chiusino più di quanto uno possa immaginare. Viene da Lucca e forse qualche radice comune tra gli etruschi della costa e quelli di Chiusi gli è rimasta addosso. In fin dei conti anche Dante mette insieme Luni e Chiusi tra le città nobili decadute e Luni è in lucchesia o poco più su…
La prima cosa che dice, Brinzi, è un ringraziamento alla città che lo ha accolto bene, ma anche a chi lo preceduto. Tutti. Perché se Chiusi ha un festival che festeggia i 20 anni è grazie a loro. E non caso – dice – “ho voluto improntare il festival di quest’anno, sulla parola e sul concetto di “festa”, perché “20 anni sono un compleanno da festeggiare e celebrare come si deve” e con la consapevolezza, che questi 20 anni hanno lasciato sedimenti, hanno lasciato esperienze, storie, che vanno al di là dello spettacolo”…
Rispetto alle ultime edizioni, questa del 2022, la prima targata Brinzi, non vedrà in scena compagnie e artisti del territorio. “E’ una scelta, in parte dovuta – spiega Brinzi – al sodalizio con la Fondazione Toscana Spettacolo e in parte alla volontà di andare oltre, di guardare ad orizzonti più ampi… Ma non è una scelta definitiva, perché in futuro ci sarà modo di recuperare e valorizzare anche le eccellenze e i talenti locali, penso anche ad un rapporto con il Lars Rock Fest…”. Di locale ci saranno i laboratori, sempre geniali, di Alessandro Manzini e Irene Bonzi, in arte I Macchiati…
In cartellone, quest’anno attori e registi famosi come Lella Costa (6 agosto) o Sergio Rubini (1 agosto), ma anche talenti emergenti di sicuro avvenire come Veronica Galletta che ha vinto il Premio Campiello con il suo romanzo “Le isole di Norma” ha vinto il premio Campiello e com “Nina sull’argine” è in finale al Premio Strega, oppure Beatrice Schiros, una sorta di Anna Marchesini 2.0 che con le sue stand up comedy prende di petto temi e urgenze della società contemporanea… Insomma teatro, ma anche letteratura, cinema e… musica con la “sonorizzazione d’autore” di Massimo Zamboni, Cristiano Roversi e Simone Beneventi su una pietra miliare del cinema horror degli anni ’30, Dracula, di Tod Browning; con la performance del Cuseri’s Family Trio; con il saluto di chiusura al festival affidato ai violini di Margherita Dispensa e Lorenza Piescan in “Ad aspera”… Ma in programma ci sono anche altri spettacoli, una ventina circa. In varie location, dalla Piazza Duomo, ai Lavatoi, dal Chiostro San Francesco e tensostruttura, al Lago…
Marco Brinzi appare molto motivato e soddisfatto, felice anche di due “iniziative” diciamo così collaterali che coinvolgeranno una associazione che per qualche anno ha organizzato a Chiusi un festival di fotografia e dopo un lungo stop torna in campo e una comunità straniera piuttosto numerosa che sta attraversando un momento molto difficile.
La comunità è quella ucraina che giovedì 4 agosto in un apposito incontro racconterà quale è la sua idea di festa e quali siano gli usi e costumi ad essa legati… L’associazione è quella dei Flashati che allestirà nei giorni del festival una mostra fotografica itinerante a cielo aperto nella vie del centro storico. E non si tratta di una mostra qualsiasi, ma di un vero e proprio reportage fotografico dall’inferno della guerra in Ucraina. Precisamente dai sotterranei dell’acciaieria Azovstal, dove per 80 giorni è rimasto asserragliato il battaglione Azov, che poi si è arreso e consegnato ai russi. Le foto che saranno di dimensioni grandi (cm100x150) stampate su materiale adatto all’esposizione in esterni, sono note, alcune hanno già fatto il giro del mondo e del web, perché a scattarle è stato Dmitro Kozatsk, nome di battaglia “Orest”, fotografo ufficiale del battaglione Azov, adesso prigioniero dei russi, che prima della resa le ha lanciate sul web.
La mostra sarà presentata domenica 31 luglio nella sala conferenze San Francesco alle ore 18,00.
L’iniziativa come dicevamo è promossa dai Flashati Cinefotoclub e vede la collaborazione del Comune di Chiusi e della Fondazione Orizzonti d’arte. I promotori la presentano come una mostra fotografica che ha un valore essenzialmente documentario e “tecnico”, per la qualità delle foto esposte. “Lo scopo della mostra non è di parlare della resistenza alle acciaierie Azovstal né del battaglione Azov. Noi vogliamo valorizzare il gesto di un collega, un fotografo che ha donato i suoi file originali a tutti noi, file che avrebbero avuto sicuramente un alto valore commerciale. Le sue immagini straordinarie, esposte per le vie di Chiusi possono aiutare il passante (che vive in una comfort zone) a riflettere su quello che sono le brutalità di ogni guerra e conflitto. La sfida per noi é mantenere il “focus” sull’operazione artistica e umanitaria. Non facile, sicuro”, afferma Stefano Raimondi, uno dei Flashati che aggiunge “se l’autore fosse stato un russo, avrei proposto la mostra ugualmente”…
Certo non è e non sarà facile, perché il tema non è asettico, tantomeno è asettico l’autore, trattandosi di un “soldato” del controverso battaglione Azov, che ha fatto molto parlare di sé durante i primi mesi di guerra e anche nei sei anni precedenti, in quanto prima della “eroica resistenza” nei sotterranei-bunker dell’acciaieria Azovstal a Mariupol, non solo non ha mai nascosto simpatie e richiami, anche nei fregi e delle mostrine, al nazismo, ma nel Donbass si è macchiato di crimini di guerra e di stragi contro la popolazione russofona dal 2014…
Noi siamo tra coloro che ritengono la fotografia uno straordinario strumento di conoscenza e siamo favorevoli, sempre, a pubblicare e a mostrare immagini, anche quando queste non fanno comodo o sono ritenute troppo crude o, per altri versi agiografiche. Anche i filmati girati dai nazisti di Hitler hanno un loro valore documentale e meritano di essere visti. Quindi anche le foto del soldato “Orest” del battaglione Azov possono essere viste e messe in mostra. Su questo noi non abbiamo nulla da eccepire, Né sul valore tecnico delle foto in questione che certamente sono suggestive e di qualità molto alta, considerando anche le condizioni in cui sono state scattate.
Ci auguriamo però che nella presentazione e nelle eventuali didascalie sia evidenziato in modo chiaro e inequivocabile di cosa si tratta, chi è l’autore degli scatti e cosa è (o è stato) il Battaglione Azov dal 2014 alla resa di Mariupol… Cioè sia messo bene in chiaro che si tratta di resistenti ucraini, certo, ma con chiare e inequivocabili tendenze neonaziste e con simpatie, peraltro dichiarate, per il “banderismo” ucraino, movimento filonazista e collaborazionista durante la seconda guerra mondiale, eletto a modello.
I Flashati possono dal loro punto di vista limitarsi all’aspetto fotografico, ma il Comune e la Fondazione, di cui il sindaco è presidente, non possono esimersi dal fornire almeno un chiarimento e spiegazioni plausibili. Certamente lo faranno.
Questo anche per non inficiare e minare con possibili polemiche il festival che sta per cominciare e che animerà Chiusi dal 29 luglio al 7 agosto. Finora, nonostante la mostra e il nome del fotografo “Orest” figurino nel programma del festival, nessuno ha detto nulla.
Gli spettacoli che Orizzonti propone possono piacere o meno, qualcuno può avere, compensibilmente, il dente avvelenato per la defenestrazione di Gianni Poliziani e per il cambio della guardia al timone, per l’assenza di artisti locali, ma il festival Orizzonti, è un po’ come una squadra di calcio, giocatori e allenatore passano, cambiano, il colore della maglia resta. E il festival resta sicuramente tra gli eventi più rilevanti che si svolgano a Chiusi durante l’anno. Tutta la città, come è stato per il Lars Rock Fest, dovrebbe sentire la manifestazione come propria, partecipare e dire la sua, anche sulle proposte artistiche e sugli “effetti collaterali” del festival stesso. E’ così che si cresce e si migliora. E, detto tra noi, le cose controverse, aiutano più delle altre.
m.l.
L’argomento legato alla mostra fotografica è estremamente delicato, concordo con quanto affermato nell’articolo che molto di penderà da come sarà presentata, l’aspetto tecnico e documentale possono essere considerati neutri, l’autore però non è persona “terza”, è oggettivamente il fotografo di un’organizzazione paramilitare, poi integrata nella guardia nazionale, dichiaratamente nazista, responsabile di crimini negli scorsi anni verso i russofoni, basti pensare alle 43 persone bruciate vive nella sede del sindacato di Odessa. Una cosa sono le vittime civili, a qualsiasi parte appartengano, altro sono militari chiaramente responsabili di crimini di guerra e non solo.
Anche a mio avviso un chiarimento su questi aspetti da parte dell’amministrazione comunale e della Fondazione Orizzonti credo sia assolutamente dovuto, un chiarimento che non sia solo formale ma che abbia argomentazioni convincenti.
Mi auguro che prima dell’inizio del festival comune e fondazione spieghino bene i contorni di questa mostra, al di là della posizione dei Flashati. Non si tratta di foto di un reporter di guerra… Il battaglione Azov non è un soggetto asettico. Ribadisco: si possono esporre. Ma va spiegato chi le ha fatte.
Personalmente io sono favorevole a che sia fatta questa mostra poichè le immagini da qualunque punto di vista si osservino non sono mai ”asettiche”. Nelle mostre fotografiche che ho fatto io in passato, sia nel territorio chè a Firenze oppure all’estero, ho tenuto sempre a scrivere le didascalie ed anche corredate dai dati tecnici,anche se oggi c’è qualcuno che dice che le didascalie non vadano più di moda,ma non credo che questa possa essere intesa come ”moda” ma colloco questa tendenza al fatto che con l’estendersi della fotografia a fasce generazionali sempre più estese rispetto ad una volta, dove oggi anche i bambini di 5 anni fanno col telefonino una foto pressochè corretta per quanto riguarda la tecnica dell’ esposizione,questa sia una tendenza allo snaturamento culturale dove la gente non ha più il tempo di scrivere ma lascia all’immagine lo spazio che crede che possa riempire ogni cosa,senza dare il più delle volte una spiegazione di ciò che passi.Sempre ho accompagnato le immagini da didascalie, dati tecnici e motivazioni,ed anche dando titoli alle immagini ! L’interpretazione delle immagini è chiaramente lasciata alla sensibilità ed alla osservazione dei fruitori ma per essere sincero fino in fondo dirò che chi osserva le immagini credo che debba conoscerne la storia e le motivazioni,che rivestono sempre un contenuto diciamo didascalico soprattutto nella fotografia di reportage come è questa del fotografo del Reggimento Azov, dal quale sarebbe difficile prescindere, poichè non credo possa esistere una immagine estrapolata da un contesto senza che sia accompagnata da un qualcosa di integrante che sia storico o che ne riguardi le motivazioni.In tutti i casi,le immagini riflettono sempre l’interpretazione di un pensiero dell’autore, giusto o sbagliato che possa essere,condiviso o non condiviso, e quindi senza reticenza alcuna io credo che vadano esposte poichè non tutti partiamo dagli stessi livelli di conoscenza dei fatti e di ciò che rappresentano e stà all’osservatore l’interpretazione dei luoghi, dei momenti e soprattutto del
” PATHOS” -in questo caso che hanno portato l’autore a compiere quegli scatti. Di fronte al dilemma eterno se scattare o meno anche di fronte alle tragedie umane, per quanto mi riguarda ho sempre tendenzialmente ubbidito all’etica che stà dietro lo scatto affinchè anche altri possano vedere,avendo anche la consapevolezza dell’invasione nella sfera del privato, poichè ho sempre interpretato che anche ciò che sia ritenuto ”privato” debba essere ”pubblico” proprio per portarlo alla comprensione di altri ed anche perchè anch’esso fa parte delle vicende umane che non sono mai di natura strettamente privata,soprattutto quando si parla di grandi tragedie, poichè in tali casi si parla di appartenenza al ”pubblico”. Ed anche diversi filoni interpretativi di ciò che possa essere permesso o non possa essere permesso mostrare, credo che rivestano una etica pubblica che appartenga alla gente,proprio per le finalità conoscitive e di informazione senza le quali si è in balia di ogni forza.Diversamente l’osservazione non è credibile ma nemmeno completa. Ed in questo senso ho sempre- nel mio piccolo- inteso le mie foto ma anche riflettuto soprattutto su quelle che osservavo come fonte di altre esperienze, le motivazioni fondamentali che le avevano fatte ricercare anche e soprattutto perchè in presenza anche di tragedie la pietà umana PARALIZZA IL PENSIERO e colloca automaticamente l’animo umano nell’impotenza a cambiare le cose del mondo ed a tal proposito ho sempre interpretato- specialmente nella fotografia di reportage- che le immagini servano a cambiare il mondo,a consentire di vedere il mondo anche dal punto di vista dell’occhio degli altri,a porre il problema per quanto si possa su un piano di criticità.Tanti oggi evitano la crudezza poiche in un certo senso ”disturbati” da quella realtà osservata e che hanno di fronte e spesso sorvolano ed evitano di pensare, quasi si trattasse di condizioni dove non venga più valutata la possibilità di intervento della ragine umana.Questo concetto purtroppo è presente in molte persone e credo che oggi la forza di cambiamento manchi molto e questo è uno di quegli elementi che fa si che abbia espresso il mio pensiero su tali foto,che credo non debbono essere svincolate nè dal contesto, nè dalle motivazioni dell’autore perchè diversamente si potrebbe ”manipolare la realtà” in tutti i sensi, sia nell’uno chè nell’altro. La foto ferma il momento che stiamo vivendo e tutto questo l’ho anche scritto perchè resti un messaggio indirizzato agli osservatori,anche in una mostra andata in esposizione a Città della Pieve durante mi sembra di ricordare un incontro della piccola stampa italiana organizzata da Primapagina qualche anno fa nel Palazzo della Corgna,motivandola, anche perchè comunque e sempre nella fotografia- se ci riflettiamo un attimo è contenuto un grande ”miracolo”che ha concorso a cambiare la storia del mondo e che recita così : ”ciò che la fotografia duplica all’infinito ha avuto luogo solo una volta: essa riproduce meccanicamente ciò che non potrà ripetersi esistenzialmente ! ”. Ecco perchè sono convinto che la mostra non debba prescindere dal fatto che debba essere ”contestualizzata” proprio per fornire quell’emozione che ha avuto l’animo umano e l’occhio del fotografo affinchè possano trasmettere emozioni e la gente debba conoscerne possibilimente tutte le ragioni di questo lavoro.Se si comprendono le ragioni si può criticare diversamente rimane solo un esercizio che non lascia traccia nell’animo e nella mente di noi umani e che è destinato in poco tempo giocoforza a scomparire dalla memoria ed allora servirebbe a poco.Quindi ben venga questa mostra e ben vengano anche le motivazioni che porterà nella critica che ne seguirà, anche perchè oggi si stà affermando la tendenza a non comprendere ed isolare ”la politica” dal resto delle cose e questo secondo il mio punto di vista è deleterio, perchè è nella separatezza dei concetti che si fà strada l’affermazione anche della violenza che stà investendo tutta la nostra società e che rischia di spazzare via la ragione umana.
anche noi, ed è scritto nell’articolo siamo favorevoli alla mostra e all’esposizione di foto che possono essere crude o controverse e chiunque ne sia l’autrore. Quello che però riteniamo indispensabile, essendo l’autore non un reporter di guerra, ma un soldato (adesso prigioniero del nemico) di un battaglione molto chiacchierato per le sue innegabili e dichiarate simpatie naziste, che si è macchiato si crimini di guerra per 8 anni, è che la cosa venga spiegata e argomentata, non tanto dal club i Flashati, quanto dai partners dell’iniziativa che sono il Comune e la Fondazione. In assenza di ciò la mostra potrebbe passare come mera propaganda di una parte e non della parte migliore di quella stessa parte.
Sarebbe interessante anche capire come si mettono in relazione i diversi profughi ucraini e le loro famiglie ospiti della comunità chiusina con quelle immagini, sentire il loro punto di vista,ben sapendo che sono nella condizione di profughi e quindi di ospiti e ben sapendo della scelta che hanno compiuto.Tutto questo al fine di poter meglio capire anche i mondi visti dagli occhi di altri e non solo da quelli spesso ”embedded” dei nostri canali televisivi. Capire i loro pensieri, capire le loro possibili eventuali reticenze, capire il mondo che immaginano sarà a loro riservato dalla loro condizione di ospiti in un paese straniero che li ha accolti.Le foto come si vede servono anche ad introdurre tematiche importanti che difficilmente in altri contesti quasi sicuramente non sarebbero stimolati ad emergere.
Come è scritto nell’articolo, il festival Orizzonti propone anche un incontro con la comunità ucraina, per parlare di festa e non di guerra, ma potrebbe essere ugualmente un’occasione. Volendo.