REFERENDUM: NIENTE QUORUM, DEBACLE DELLA POLITICA. LA LEZIONE ALLA SINISTRA CHE ARRIVA DALLA FRANCIA

La tornata referendaria sulla giustizia (e sulla magistratura) si è conclusa co un flop senza precedenti per chi ha proposto i 5 quesiti e il ricorso al voto popolare su una materia che spettava invece al parlamento dirimere. Partecipazione al voto al 20%, mai così bassa. E a poco è servito il trascinamento” dell’election day con le amministrative, per le quali ha votato il 55% degli aventi diritto, molti cittadini e cittadine hanno evidentemente ritirato la scheda per il Comune, ma non quelle per i referendum. E questo è successo a nord, al centro e al sud. Da queste colonne, per i referendum, noi avevamo dichiarato il nostro “NON VOTO” per scelta politica e non per indifferenza e stavolta abbiamo vinto. Hanno perso, invece, clamorosamente, i promotori, ovvero le Regioni amministrate dal centro destra che hanno, cioè i promotori effettivi, cui i partiti di8 centro destra ricorsero per evitare di presentare le firme necessarie. Ha perso la politica inetta, incapace di fare le riforme necessarie, che ha cercato la scappatoia del voto popolare. Ha perso Salvini e di brutto, ha perso la Meloni, ha perso Forza Italia che hanno messo il cane alla salita e poi non hanno fatto campagna elettorale. Ha perso Renzi che coi referendum evidentemente non ha proprio fortuna e sarebbe bene la smettesse e smettesse di fare politica come aveva promesso… Ha perso il Pd che non è stato in grado di esporsi né per il sì, né per il no né per il non voto consapevole per far saltare il quorum. Quando si dice una linea chiara e netta… Hanno perso i socialisti che erano per il Sì all’abrtogazione dele norme sottoposte a referendum, quindi d’acordo coi promotori, solo per il rancore e un senso di rivincita (non del tutto ingiustificato, diciamolo ) nei confronti della magistratura che li massacrò e li spazzò via negli anni di Tangentopoli. Chi oggi accusa il popolo bue di non aver colto l’opportunità di esprimersi e di aver gettato al macero l’istituto fondamentale del referendum come strumento di democrazia partecipativa, dice una cazzata grossa grossa come una casa: nei referendum con il quorum le opzioni sono sempre tre: il sì, il no e il NON VOTO per far saltare il quorum. Nel caso specifico, essendo il referendum promosso in maniera furbesca da alcune forze politiche e non dal popolo, o da comitati e associazioni, la consultazione era una forzatura e un inganno, prima ancora di entrare nel merito dei quesiti, quindi quella del NON VOTO era non solo una dele tre opzioni, ma anche la più sicura ed efficace per farlo saltare e renderlo del tutto inutile. Fior di giuristi hanno scritto che nei referendum difficilmente il popolo si esprime per il sì o il no al quesito proposto, quanto piuttosto per far capire se sostiene o boccia chi lo propone… Nei casi in cui il quesito o i quesiti siano anche complicati in quanto materia da addetti ai lavori e non da semplici cittadini elettori e siano un modo escogitato da una parte politica per arrivare ad un risultato che nelle sedi normali e deputate non era riuscita ad ottenere, allora questa “teoria” trova ancora più sostanza. Dopo una botta del genere (il 20% dei votanti è davvero poca cosa) chi ha proposto e sostenuto i referendum, anche sottovoce, dovrebbe ammettere la debacle e togliersi una volta per tutte dai coglioni. Ci scusiamo per il francesismo. Ma ovviamente non succederà. In Italia le dimissioni sono uno sport poco praticato. Meno del Curling. E’ vero che la classe politica è lo specchio del Paese che rappresenta, ma una volta tanto, la gente comune si è dimostrata più avanti della classe politica e non è caduta nella trappola. Il che non vuol dire che la gestione della giustizia e i poteri e della magistratura e i meccanismi che li regolano, non abbiano bisogno di riforme e correttivi. Solo che quella proposta coi 5 referendum di ieri non era la strada giusta. Stop. A proposito di francesismi… Ieri si è votato anche in Francia per eleggere l’Assemblea Nazionale, primo turno.
La coalizione del presidente Macron ha ottenuto il 25,7% tallonata però dalla coalizione di sinistra guidata da Jean Luc Melenchon (26,6%)… In sostanza un pareggio tra centro sinistra e sinistra più radicale. Ma anche una battuta d’arresto per Macron e un bel risultato per Melenchon & C. Il messaggio che arriva dal paese d’oltralpe è che se la sinistra torna a fare la sinistra con messaggi e proposte chiare su lavoro, ambiente, sicurezza sociale, la gente risponde e non si rifugia nella destra populista. Come sarà il nuovo Parlamento francese e quale maggioranza potrà avere Macron lo vedremo dopo il ballottaggio tra due domeniche, ma già oggi in Francia si respira un’aria nuova…
Melenchon è stato spesso presentato dai suoi avversari come un antieuropeo, ammiratore del presidente russo Vladimir Putin e dell’ex capo di Stato venezuelano Hugo Chavez. Una sorta di populista di sinistra. Di sicuro, la France insoumis il partito di Mélenchon è critica nei confronti delle politiche economiche e finanziarie europee, in particolare l’austerity, ma non ha mai sposato l’idea nazionalisti di una uscita dall’Ue, come ha fatto invece, almeno fino a qualche anno fa, la destra di Le Pen. Inoltre, la coalizione Nupes ha al suo interno una forte componente socialista e i verdi, forze profondamente europeisti. Non va neanche dimenticate che alle recenti presidenziali, con la guerra già in corso in Ucraina, Mélenchon ha fornito appoggio a Macron proprio contro Marine Le Pen.
Da noi siamo ancora in presenza di una quindicina di partiti (meglio dire partitini) comunisti o similari, a varie formazioni ecologiste con consensi da uno-virgola, un Psi anch’esso all’uno virgola che oscilla tra l’alleanza organica conn il Pd e suggestioni laico-libertarie, ma solo quando se ne ricorda, più varie liste e aggregazioni locali o regionali e non c’è verso di trovare un minimo di sintesi… Poi c’è il Pd che è nato ibrido e dopo 15 anni ancora non ha trovato un’identità. Certo è nato dalla fusione a freddo tra i cocci dei due vecchi e storici partiti nemici, il Pci e la Dc e già questo ha complicato non poco le cose. Adesso è alleato con quelli che negli ultimi 10 anni lo hanno sbeffeggiato e mandato a fare in culo (letteralmente, come slogan) un giorno sì e l’altro pure (il M5S). Della vecchia componente ex Pci-Pds-Ds c’è rimasto giusto l’odore, perché le sedi sono ancora le stesse; del pacifismo, del femminismo, dell’ambientalismo, ma anche della “progettualità”, del respiro lungo della sinistra degli anni ’70-80, anche per ciò che riguarda il governo dei territori si è persa ogni traccia.
Adesso il Pd nella migliore dele ipotesi appare come un partito di boy scout, di giovanotti tutti laureati, ma cresciuti nelle sacrestie, nei circoletti parrocchiali, nelle contrade delle feste paesane… Nessuno che abbia mai fatto uno sciopero, una manifestazione dura, magari con la polizia schierata di fronte… mai una battaglia contro qualcosa, di quelle che ti fanno sudare, bestemmiare, saltare il sonno, litigare con gli amici o rischiare anche qualcosa di peggio…
La lezione che viene dalla Francia, al di là di come andranno i ballottaggi e di ciò che otterrà Melenchon (potrebbe anche diventare primo ministro), ci dice, proprio nel giorno del naufragio della politica italiana sui referendum sulla giustizia che una sinistra nuova, ripensata, riformulata non solo può esistere, ma può anche dire la sua. Certo, in Italia siamo in un campo di macerie, ci vorrebbe la ruspa per sgombrare l’area e ricominciare.
m.l.
Sì, si spera che con quel misero 20% raggiunto sui requisiti referendari, lo strumento assai fondamentale per una democrazia, non venga più utilizzato. Dietro a quei cinque referendum, si celava un attacco alla democrazia, alla indipendenza della Magistratura. Si voleva stabilire un principio: quello che chi delinque, soprattutto se appartiene alla Casta dei politici, deve avere dei privilegi particolari atti a tutelarlo il più possibile. Se fosse passato il SI, oggi avremo per le strade liberi molti personaggi dai curriculum assai inquietanti. Questo non significa che il mondo della giustizia, non abbisogni di una revisione generale, al contrario. Ma questa riforma della Giustizia, non può essere affidata all’uomo della strada, alle tante emotività che continuamente insorgono nella opinione pubblica. Sarebbe un ritorno al giacobinismo, che c’è da starne certi, finirebbe per salvare sempre il più furbo, il più prepotente. Insomma un ritorno al marchese del Grillo: “Io so io, e voi nun sete un cazzo”, gridava il grande Albertone.
Anche sul risultato positivo del PD, che ovviamente a me fa piacere, bisogna aprire una riflessione. Cullarsi su questo alloro, sarebbe da sprovveduti davvero. Si parla di partito centrista, di alleanze al Centro e sciocchezze similari. Io credo, guardando la solitudine del PD, che questo partito nato dalla fusione a freddo da due grandi scuole politiche, debba darsi una propria configurazione. Intanto dovrebbe iniziare a guardare dentro quel 60% di cittadini che non vanno più alle urne. Lì dentro c’è tanta sinistra a mio avviso. Una moltitudine di uomini, donne e giovani, che sfiduciati da una politica inconcludente sotto il profilo riformista, magari ha girovagato tra vari partiti, movimenti, da ultimo i 5 s, fino pi ritirarsi a vita privata. Ecco, in quel mondo fatto di diritti negati, di sofferenze diffuse, come ci raccontano le cronache delle nostre periferie. Ma anche di una imprenditorialità diffusa, che con questo liberismo arruffone e rapinatore, con questa burocrazia demenziale non ce la fa più a tirare avanti. Ecco a mio avviso, il PD dovrebbe iniziare a dire ai cittadini italiani, ma anche europei, per quale modello economico si batte. Quello liberista che abbiamo conosciuto negli ultimi 40 anni, oppure per un’economia solidaristica, cooperativistica, che vede nel Sud del mondo, non continenti da schiavizzare e derubare, come sta accadendo ora. Bisognerebbe che questo PD, riscopra il pensiero di La Pira, di Enrico Mattei, che con il Sud del mondo, andando anche contro le direttive degli USA e dei vertici della DC, volevano cooperare, aiutando i movimenti di liberazione africani che guardavano all’Europa come un modello a cui ispirarsi. “Dare ai popoli del Sud del mondo, la possibilità politica e economica, affinché diventino delle forse storiche nuove”, così si esprimevano i due. Su quest’ordine di pensieri vi era anche il PCI, anche se ancora ancorato all’URSS. Ecco un PD che sappia elaborare e indicare una strada diversa dal liberismo, che ha fatto fallimento. Molto estremismo religioso, nasce proprio da questa mancata cooperazione. Se oggi molti Paesi africani sono governati da cricche criminali, lo si deve all’atteggiamento del mondo sviluppato, che intendeva solo rapinare quelle terre delle loro ricchezze. Se è vero che stiamo agli albori di una rivoluzione dovuta principalmente dagli eventi climatici, ma anche dall’affacciarsi di nuove tecnologie più compatibili con l’ambiente, che ci costringeranno a ripensare a modelli di vita. Questo poderoso cambio che si va profilando, si vuole lasciarlo nelle mani di un capitalismo globalista, o lo si vuole governare avendo come punti di riferimento l’uomo e la natura?
Si teoricamente tutto giusto o quasi, ma nell’effettiva realizzazione di tali programmi inclusivi e sperati semprepiù condivisi, i ” bei pensieri ” restano solo parole.I fatti che determinano le situazioni purtroppo sono altri e si oppongono e ci parlano diversamente,anche perchè dentro alle persone che devono vivere o meglio sopravvivere nella quotidianità – grazie al capitalismo che impera sovrano come idee e come metodi e che perdipiù non viene preso mai in considerazione che esso stesso determina il modo di pensare- non si è trovata alcuna risposta a ciò che è stato detto da uno come Carlo Marx a proposito della domanda rivoltagli che suonava nel seguente modo :”Con quale mezzo la borghesia supera le crisi ?”.La sua risposta era :…da un lato con la distruzione coatta di forze produttive,dall’altro con la conquista di nuovi mercati e con lo sfruttamento più intenso dei vecchi. Quindi con quali mezzi?:” …mediante la preparazione di di crisi più generali e più violente e la diminuzione dei mezzi per prevenirle”…Ed aggiungo io come uomo della strada :”per non parlare poi della caduta tendenziale del saggio di profitto dovuta alla limitatezza di risorse ed anche alla concorrenza dei mercati”.Vedete ? Ancora non abbiamo fatto i conti con ”codesta roba” in ogni parte del mondo,tranne coloro che lo sanno bene e che cercano di resistere ma che non cambiano e mai cambieranno, perchè il loro scopo e finalità è quello di resistere e di sperare. A tale sviluppo odierno delle forze produttive, questi però che credono di resistere e di sperare,lo dovrebbero dire in cosa sperino e perchè resistano.Se non è facile nemmeno immaginarne il perchè, figuriamoci se sia facile immaginarne gli atti concreti.Perchè sono quelli che cambiano il mondo, non le parole,purtroppo o per fortuna…..
La politica è sprofondata nell’irrilevanza e gran parte degli attuali dirigenti, compresi molti amministratori, di tutti i partiti, provengono da esperienze abbastanza elitarie, lontane dalle durezze della realtà.
La deriva ha molti responsabili: le vecchie classi dirigenti che non sono riuscite a migliorarsi e non hanno saputo ridare alla politica un senso, un nuovo orizzonte rispetto alla realtà.
Ha pesato la sudditanza al pensiero dominante di una parte della società, che sfruttando la crisi dei partiti e facendo credere di voler modernizzare il paese, in realtà ha progressivamente gettato le basi per occupare gli spazi di comando. Un élite, spesso fintamente progressista, dal pensiero unico, che ha spinto le istituzioni elettive a sottomettersi ai tecnici, agli esecutivi, agli uomini soli al comando, nella logica che i migliori provengono dalla società civile, dal mondo delle banche, della finanza, dell’impresa .
Tutto ciò, è divenuto dominante nel contesto culturale e sociale, fino a debordare nell’idea che la guerra è ineludibile e persino giusta.
Sconcerta come tutto questo abbia scavato un solco profondo nel Centrosinistra e nella Sinistra.
Si potrebbe guardare a Melenchon, purtroppo l’Italia non è la Francia.
Ormai siamo arrivati ad un livello talmente desolante che assistiamo al rifiuto non dico nel costruire battaglie politiche per provare darci una visione nuova, ma persino nella possibilità di sviluppare un confronto, una progettualità per provare a imbastire delle banali rivendicazioni o per condurre una normale azione di governo.
Se tutto questo accade in modo cosi forte anche nelle realtà con grandi tradizioni e cultura politica, la deriva rischia di essere irreversibile. Quello che rimane, soprattutto guardando nel campo del Centrosinistra sono gruppi dirigenti nazionali e locali che si perpetuano e si legittimano a vicenda, come scrive Fabrizio Barca. E’ questo che garantisce la loro sopravvivenza, pur nell’incapacità di un cambiamento.
Caro Marco, lo scrivi con un linguaggio più politico, ma nella sostanza ciò che dici è molto simile a quello che si dice in questo articolo a proposito di politica, gruppi dirigenti, sinistra e prospettive. Il fatto che tu ti trovi sulla stessa lunghezza d’onda e più d’accordo con me che con quelli che fanno parte della coalizione di centrosinistra che hai guidato fino ad un mese fa, è singolare e dovrebbe indurre qualche riflessione soprattutto nella coalizione. Ma lo stesso fatto ci dice che nonostante divergenze pregresse e valutazioni diverse su specifiche questioni (vedi le ultime amministrative chiusine), se si ragiona senza paraocchi precostituiti, si possono trovare nuove convergenze, un sentire comune, e magari anche unità di intenti, per rimettere in piedi “qualcosa di sinistra” che non sia una vendetta o una patacca. Lo abbiamo già fatto sulla guerra, si può fare anche su altro, credo…