L’EMERGENZA, LA PASQUA E LA RESURREZIONE…

L’EMERGENZA, LA PASQUA E LA RESURREZIONE…
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Domani è Pasqua. E sarà una Pasqua molto diversa da quelle che abbiamo conosciuto. Sarà una Pasqua di clausura anche per chi non crede o crede poco. Per chi non pratica. Tutti in casa. Niente amici, niente pranzi di famiglia. Niente messa e passeggiatina domenicale in piazza. Niente colazione collettiva “con la ciaccia, le uova sode e il capocollo”. Niente. Isolamento. Distanziamento sociale. Contatti solo virtuali via Facebook, Whattsapp, Skype…

Più che una Pasqua, sembra una quaresima infinita che non si sa quando finirà.

Intanto ieri il premier Conte, bello incazzato o cazzuto fate voi, ha detto che fino al due maggio questa è la condizione. Niente deroghe – se non per alcuni e francamente non se ne capisce il perché – e niente fughe in avanti. I “ponti” di Pasqua e Pasquetta, 25 aprile e Primo Maggio non devono essere motivo per uscire di casa e ridare fiato all’epidemia…  Poi, certo, coi ponti che ci ritroviamo in Italia, meglio stare a casa. E’ più salutare per molti versi.Cadono, i ponti, come fossero di cartone invece che di cemento armato.

La Pasqua è festa di Resurrezione. Ci si può credere o meno a quella resurrezione lì, che poi è la cosa meno credibile, insieme ala verginità della Madonna, di ciò che raccontano i Vangeli. Oggi, però, con il mondo piegato da un virus sconosciuto, messo in ginocchio, chiuso in quarantena o in clausura, la “resurrezione” è la prima delle speranze. Intendendo per resurrezione la fine dell’incubo, la luce e l’uscita in fondo al tunnel, la ripresa, anche graduale delle attività. Perché non è solo voglia di vivere come prima, è anche una questione di sopravvivenza. Chi lavora a stipendio fisso, in qualche modo e per un certo periodo, la sfangherà. Avrà delle tutele. Magari insufficienti, magari solo temporanee, ma qualcosa avrà. Chi invece lavora in proprio e ha dovuto chiudere il bar, il ristorante, la bottega, il piccolo laboratorio, oppure chi lavora a “partita iva”, a contratto, e ha dovuto mettere in garage il furgoncino, chi ha perso ogni contratto a giornata o a settimana, chi faceva gli extra al Pub o in pizzeria per pagare l’affitto… per loro sarà più dura. E non si sa se ci sarà futuro.

Le immagini che giungono dalla patria del sogno liberale, gli United States of America, sono drammatiche: la fossa comune ad Hart Island a New York, dove vengono sepolti, come 120 anni fa,  i morti senza nome, coloro che nessuno cercherà o che non possono permettersi nemmeno la cremazione; le centinaia, migliaia di auto in fila, in Texas, in un posteggio in cui si distribuiscono “pacchi spesa” sono la fotografia inequivocabile di un fallimento. Della fine senza appello del capitalismo, dell’iper liberismo…

Siamo alle file davanti all’ufficio sussidi, con la gente che muore nei retrobottega e le ambulanze che caricano i cadaveri e li portano via in una processione infinita…  come nell’America raccontata da John Steinbeck in Furore, nel 1940 (chi ha visto l’anno scorso lo spettacolo “On the road. Again”, sa di cosa stiamo parlando, c’era un brano letto da Martina Belvisi, tratto da Furore. Quel brano sembra scritto due giorni fa).

L’Italia non è da meno. C’è molta gente, anche dalle nostre parti che mangia solo grazie a i buoni spesa o ai pacchi della Caritas, è non è una cosa di cui vergognarsi. E’ l’effetto dell’emergenza su chi i soldi per fare la spesa li ha già finiti.

Piano piano, con l’emergenza che scema, con i casi positivi che diminuiscono, dovremo cominciare tutti a ragionare, a mente fredda, su cosa fare e come farlo per uscire dal tunnel. Dovremo aguzzare l’ingegno e la fantasia per vivere e lavorare e uscire di casa, ma sempre con le precauzioni del caso… Per creare occasioni “sociali” senza rischio di far ripartire il contagio.. Sarà una bella sfida.

Ma una cosa è certa, i modelli economici e sociali che abbiamo conosciuto, non sono più praticabili. Servirà cambiare registro. E strategia. E idee di fondo. Io penso che servano misure e strategie di tipo “socialista”. Egualitarie. Basate su una forte redistribuzione del reddito (anche a scapito del profitto) e su politiche di sostegno alla povertà, che non è solo l’indigenza, che siano strutturali e diverse dalla semplice “carità” o dalla stessa solidarietà civile…  Serve un nuovo welfare, come fece Roosevelt negli anni ’30 negli Usa.  Forse anche un nuovo piano Marshall e per rimanere in casa nostra un nuovo  “Piano Fanfani” per le opere pubbliche, come quello del dopoguerra che consentì a migliaia di persone di lavorare costruendo strade e ponti, e avere un minimo di sussistenza. Di lavoro in Italia in questo senso ce n’è parecchio da fare…

Ma serviranno anche idee per il turismo (che andrà largamente ripensato), per la cultura, per gli eventi, non solo per la produzione. Perché non si vive di solo pane e perché anche lo sport, il teatro, il cinema, la musica, i festival, alla fine sono “industrie” con moltissimi addetti (molti precari tra l’altro) e un giro di affari non trascurabile.

Credo che dovremmo farlo con visione ampia, ma anche ognuno nel proprio “particulare”, comune per comune, territorio per territorio…

Ieri nella sua diretta Facebook il sindaco di Chiusi Bettollini, che è diventato una sorta di “guru” dell’emergenza, ha detto che il tema del che fare andrà affrontato quando avremo tolto l’acqua di casa, quando la curva dei contagi che segnala zero casi da una decina di giorni,  sarà stabilmente intorno allo zero…. Giusto. Finché abbiamo l’acqua in casa fino alle ginocchia è difficile parlare d’altro.

Ma fin d’ora deve essere chiaro che questa emergenza sanitaria si porterà dietro una emergenza economico-finanziaria-occupazionale senza precedenti. Qui, in questo territorio, come altrove.  E quindi, così come dovremo discutere di come va riorganizzata la sanità (si è visto chiaramente come il modello lombardo basato su una privatizzazione spinta, abbia mostrato crepe mostruose), dovremo ridiscutere anche altre cose: il tipo di produzione, la distribuzione, il modo di consumare, il rapporto industria-ambiente-salute, le misure di tutela della fasce più deboli…

Cominciamo a pensarci. E mentre ci pensiamo (tanto in questi giorni di clausura abbiamo tempo) riflettiamo anche su cosa può voler dire “resurrezione”. Un tema che è stato raffigurato da grandissimi artisti.Due su tutti, di queste terre: Bernardino di Betto Betti detto Pinturicchio nato a Perugia e morto a Siena e Pietro Vannucci detto il Perugino, nato a Città della Pieve e morto a Fontignano (tra Perugia e Panicale) i quali dipinsero il Cristo che esce dal sepolcro, tra soldati attoniti o addormentati, perché quello chiedeva loro la committenza. Ecco, stiamo attenti a non fare la parte dei soldati addormentati e attoniti… BUONA PASQUA a tutti!

m.l.

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