SIRIA, ISIS, GAZA… INCONTRO CON MALEK WANNOUS, SCRITTORE SIRIANO OSPITE A CHIUSI

CHIUSI – Una mattina di settembre che sembra novembre. Incontriamo lo scrittore siriano Malek Wannous in redazione. Ci scusiamo per il caos ma lui sorride comprensivo. Al caos delle redazioni è abituato.
Malek Wannous ha lasciato Tartous, sua città natale, due mesi fa circa ed è arrivato in Italia tramite l’ICORN (Rete Internazionale di Città Rifugio per gli Scrittori Perseguitati), ospite del Comune di Chiusi, della regione Toscana e della scrittrice Maria Pace Ottieri che ha messo a disposizione l’appartamento dove Wannous vive con la sua famiglia. Sua moglie è in attesa del secondo figlio che nascerà a breve all’ospedale di Nottola.
Lo scrittore siriano si occupa principalmente di politica, cultura e traduzioni. È il traduttore del libro “Gaza. Restiamo umani”, del reporter italiano Vittorio Arrigoni, ucciso a Gaza nel 2011. Attualmente collabora come free-lance per Al Arabi Al Jadeed (il nuovo uomo arabo), giornale indipendente arabo che ha base a Londra.
Ci racconta la sua storia. È il 2011, il Medio Oriente è travolto dall’ondata di proteste che passerà sotto il nome di Primavera Araba. Wannous scrive per 3 importanti quotidiani siriani, per un autorevole giornale libanese, Assafir, e Al-Modon, un giornale on line emergente. Ma Wannous è un “oppositore del regime”, non condivide la linea politica e ideologica del governo . I quotidiani cominciano a rifiutare i suoi articoli e per quanto lo scrittore si concentri sull’attività di traduttore, la situazione diventa presto insostenibile. La mancanza di prospettive di lavoro, l’impoverimento delle risorse economiche e le minacce cui è sottoposto, convincono Malek Wannous a lasciare la Siria.
“La Siria non è un paese democratico”, racconta, “le elezioni sono una farsa. Possiamo dire sì o no ad un candidato unico proveniente dalle file del partito dominante. Lo stesso accade nelle repubbliche dello Yemen, Egitto, Iraq e Algeria. Non esiste libertà di stampa o di pensiero. La repressione dell’una e dell’altra è la norma.”
Il mondo arabo è estremamente complesso. Le informazioni che abbiamo provengono principalmente da stampa e media italiani o occidentali. Come cittadino e intellettuale, ci spieghi cosa è accaduto e cosa sta accadendo in Siria.
La Primavera Araba affonda le sue radici nel desiderio di libertà. Il popolo siriano non protesta per il pane ma in nome della dignità. La Siria è un paese ricco di petrolio e gas naturale, l’agricoltura è florida. Ma la gente vive in condizioni di estrema povertà. La corruzione è dilagante, le infrastrutture sono carenti, l’elettricità proviene principalmente da generatori a gas.
I Siriani sono persone istruite. Si interessano di politica, seguono avidamente le notizie dal mondo. Internet ha offerto maggiori opportunità di conoscenza, di approfondimento su ciò che stava accadendo nel resto del mondo. E ciò che stava accadendo era che paesi con meno risorse acquisivano maggiore forza e potere mentre la Siria restava immobile nella sua paradossale condizione di ricca indigenza. Quando la Primavera Araba è esplosa in Tunisia, Egitto, Yemen e Libia, in Siria ha trovato terreno fertile. Ma il regime è stato irremovibile. Contrariamente alle dichiarazioni sul carattere pacifico delle proteste, più volte espresse dal presidente Bashar-Al-Assad , la repressione brutale è stata immediata. La carta vincente di Bashar-Al-Assad sono le differenze religiose. La Siria è un paese musulmano in cui convergono diversi gruppi religiosi: Sunniti, Alawiti, Sciiti, Drusi. Un grande vantaggio per il governo che, in nome della difesa delle minoranze religiose, alimenta le discrepanze a proprio favore. Le minoranze religiose sono tra i maggiori sostenitori del regime.
Si può parlare di guerra civile in Siria?
No. Il conflitto è tra oppositori armati e regime, non tra diverse regioni, nè tra opposte fazioni politiche o religiose della popolazione. Peraltro, è un conflitto geograficamente circoscritto alle regioni in maggioranza sunnita ma non tutti i sunniti sono oppositori del regime. Un esempio: in seguito alle proteste, molti Sunniti in fuga sono stati accolti come rifugiati dalle città in maggioranza alawita di Tartous e Latakia. Oggi contano 2 milioni di abitanti, di cui 1 milione e mezzo sono Sunniti. Vivono pacificamente e contraggono matrimoni indipendentemente dall’appartenenza religiosa.
Qual è la sua posizione rispetto all’Isis?
L’Isis è un’organizzazione terrorista, frutto della politica del Caos Costruttivo. È una minaccia non solo per la Siria ma per l’umanità intera. Difficile dire chi li sostiene, quello che è certo è che si tratta di un’organizzazione forte ma non autonoma, che non potrebbe cioè sopravvivere senza l’appoggio di un potere costituito altrettanto forte. L’altra cosa certa è che si tratta di un’organizzazione di professionisti. Ogni azione, dalla lotta armata alla diffusione delle informazioni , riflette una preparazione altamente professionale. Basta guardare DABIQ, il canale informativo dell’Isis. È in inglese e in arabo quindi è ideato, creato e prodotto da gente con un considerevole livello di istruzione e competenza…
Qui in occidente c’è chi ritiene che l’Isis sia nata, in funzione destabilizzante, grazie all’appoggio degli Stati Uniti e della Gran Bretagna…
Sì, suppongo che Stati Uniti e Gran Bretagna abbiano fornito inizialmente supporto finanziario e armi, distribuite attraverso la Turchia, all’Isis (per contrastare il regime di Assad, ndr) e credo che abbiano anche fornito a suo tempo informazioni e immagini satellitari. Poi ne hanno perso il controllo e ora sono pronti alla guerra…
E il Ministro degli Esteri siriano ha da poco annunciato che la Siria è pronta per l’alleanza con gli Stai Uniti per combattere i fanatici del Califfato…
In realtà ha detto che un intervento militare americano va anche bene purchè venga annunciato in anticipo al Governo siriano, ma cosa significhi questo in termini di attuazione, non si è capito. Personalmente, credo che la soluzione debba essere un’altra. È un problema politico, non militare, e come tale va affrontato. Un intervento dell’Onu che sancisse la sospensione del sostegno finanziario e della distribuzione delle armi potrebbe essere risolutivo. Terroristi combattenti e sostenitori sparirebbero, tornerebbero a nascondersi nelle montagne, come è già successo con Al-Quaeda… Il pericolo maggiore però è il potenziale di capillarità di un’organizzazione come l’Isis. Se la maggioranza dei combattenti in Siria è di origine araba, una buona parte proviene da diversi paesi europei (L’Economist ha redatto una mappa dei combattenti stranieri in Siria. ndr) Si tratta di persone che vivono di guerra e per la guerra, spesso pervase dall’ideologia che la scatena, incapaci di riadattarsi alla vita normale, che potrebbero creare cellule terroristiche in Occidente in vista della nascita di una nuova o rinnovata organizzazione. Insomma potrebbero spargersi ovunque e ovunque compiere azioni e attentati terroristici…
Quanto incide il conflitto di Gaza sull’ instabilità del mondo arabo?
Credo nella soluzione dei due Stati, ma il problema non è Gaza. Il problema dell’instabilità è Isarele. È uno stato nato in seguito al ritiro della Gran Bretagna (1948) e grazie all’appoggio dell’occidente, in cui sono confluiti ebrei provenienti da tutto il mondo. L’espansione, iniziata nel 1967 con l’occupazione di territori al di fuori dei confini originari, ha inasprito gli equilibri già precari. I paesi Arabi hanno tentato più volte di annientare Israele ma senza successo.
Per Israele Gaza costituisce un grosso problema. Non riesce a controllarla ma allo stesso tempo non può mollare la presa. È un atteggiamento contradditorio come lo fu il ritiro di Israele dalla striscia di Gaza nel 2005. Allora, Sharon lasciò fisicamente Gaza ma con l’imposizione dell’assedio che impediva l’ingresso di petrolio, materiali da costruzione, cibo e medicine, di fatto vanificò ogni prospettiva di rinascita e sviluppo autonomi. Fino a quando la Palestina non sarà riconosciuta come Stato, la guerra non avrà fine…
Personalmente credo che Israele abbia bisogno della guerra. Una guerra ha il potere di rafforzare il senso di appartenenza. Lo Stato di Israele ha una dubbia identità, le radici storico-politiche sono costantemente sotto accusa, minando la certezza di continuità e sopravvivenza futura. Combattere tutti insieme contro il nemico è un modo per continuare ad affermare la propria identità.
Come si trova a Chiusi?
La gente è gentile. Si sforza molto anche se la comunicazione è difficile. La lingua è un problema. Anche fare la spesa diventa complicato quando nessuno parla inglese. Per me che sono uno scrittore è particolarmente frustrante non riuscire a trovare giornali in lingua inglese o avere accesso al mondo della scrittura e delle notizie. Gli impiegati del Comune sono stati molto disponibili, aiutandomi a sbrigare la documentazione per il soggiorno, ad ambientarmi nel nuovo alloggio. Purtroppo finora non c’è stata molta comunicazione con le istituzioni e il mondo della cultura e dell’informazione…
Speriamo che questa intervista aiuti un maggiore scambio in futuro. Tra l’altro noi di Primapagina abbiamo in agenda, insieme al Comune, un incontro pubblico con Malek proprio sui temi del Medio Oriente, nelle prossime settimane. Chiudiamo la conversazione con un’ultima domanda. Come giudica l’Italia, dal punto di vista della comunicazione, il giornalista Malek Wannous?
In generale ho notato che l’Italia, dal punto di vista di comunicazione con il resto del mondo, è un paese chiuso. A differenza di altri stati europei, dove stanno nascendo canali televisivi e mezzi di informazione in altre lingue, perfino in arabo, qui non esistono sezioni/versioni in inglese o francese dei giornali principali. Per chi non parla la lingua, la comprensione dell’attualità italiana in tutti i suoi aspetti, è impossibile. Anche Chiusi, che è una bella cittadina, con potenzialità turistiche, da una maggiore apertura avrebbe solo da guadagnare.
Elda Cannarsa
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Vorrei che Malek si soffermasse di più sulle finalità dell’intervento occidentale(USA,Francia ed Inghilterra)nei paesi arabi del Mediterraneo e ci faccia conoscere il suo pensiero sulle finalità di tali interventi.Domando: ma occorre credere che proprio da una scintilla della rivoluzione per il pane abbia preso fuoco tutta la costa dei paesi mediterranei,Irak e Siria compresi, oppure lui pensa che tutto questo faccia parte di una strategia globale,finalizzata e lucida tesa a portare la Pax Americana in quei paesi nel versante Sud ai confini dell’Europa e della Nato ?.E se lo pensasse gli vorrei domandare perchè proprio adesso sono venute fuori queste tensioni che erano tenute represse dai capi di stato alla Gheddafi od Assad ? Crediamo proprio che i servizi segreti occidentali ed il Mossad siano stati esenti dalle loro funzioni,oppure affrontiamo questa tematica importante perdendo di vista le finalità che si vogliono raggiungere? Assad prima non mi sembrava che fosse tanto tenuto in considerazione come un Satrapo sanguinario a quanto ne sò(con la dovuta riserva di pressappochistica conoscenza da parte mia), poichè con il suo regime- piramidale ben inteso- l’italia ci relazionava normalmente come relazionava con Gheddafi anche se ”ob torto collo”.Solo adesso improvvisamente è apparsa la metà della faccia cattiva ? Non crede Malek Wannous che l’informazione repressa in tali regimi che non hannno consentito anche a lui la libertà di espressione non sia la stessa che in occidente mostri la stessa faccia con la sola differenza che quà si possa denunciare ma per nulla, dico per nulla e sottolineo per nulla, incidere sui processi formativi di tale politica che resta solo a pannaggio dei media e dei servizi segreti per cui questi non debbano rendere conto a nessuno per poter cambiare davvero musica e non essere considerati servi sciocchi degli Stati Uniti ? L’ISIS DI CHI E’ LA CREATURA ? Oppure si crede davvero che le Torri Gemelle siano state buttate giù da 40 pastori pakistani ed afgani in soggiorno negli Stati Uniti ? Oppure si crede che davvero che Bin Laden sia scappato con Al Zawairi dietro sulla moto da cross sotto le bombe Americane a Tora Bora e le sue ceneri dopo la sua morte che ci dicono dovuta all’intervento dei servizi speciali pakistani e statunitensi in Pakistan siano state gettate nell’oceano in tutta segretezza ? Ma questo credo sia un cibo per idioti, pasturato come si pasturano le trote in un vivaio.Allora una domanda definitiva credo che debba essere fatta e che investa senz’altro le questioni della democrazia e della consapevolezza che vigono in occidente, ma non solo, ma anche la questione Ucraina ai limiti dei confini di un altra superpotenza nucleare ed economica come è la Russia.La Timoshenko è stata battuta alle elezioni riconosciute valide anche da osservatori esterni ma le quinte colonne interne non sono riuscite a scalzare il potere che relazionava con Mosca, seppure senza meno anche suo vassallo.E’ avvenuto un colpo di stato strisciante che ha portato l’instabilità ed alla fuga del Presidente regolarmente eletto-questo sia chiaro- messo in atto dalle forze nazionaliste e dalla destra fascista . Gli USA ci sono andati a nozze, foraggiando il nuovo governo indebitato ad oltranza con la Russia che reclamava il dovuto soprattutto per la vendita di energia.Le minoranze etniche russofone ne hanno approfitatto per sollevare le questioni di indipendenza ed hanno indetto con l’apoggio della Russia stessa le elezioni di quell’area sottratta ai tempi da parte dell’Unionen Sovietica e regalata all’Ucraina da Kruschev..Allora crediamo che anche questa guerra ai confini dell’Europa sia proprio casuale oppure foraggiata da chi ha la convenienza all’instabilità in casa d’altri? Mi sembra di ricordare leggendo la storia che molte dipendenze acquisite nell’America centrale e tutt’ora tributarie degli USA, Messico in prima linea,abbiano subito al stessa sorte, o ce ne dimentichiamo?Ne esce un dato sicuro comunque da tutto questo: Le due superpotenze non tollerano che nelle loro periferie si possa interferire dall’esterno ed agiscono in conseguenza.Allora alla fine la domanda è: fino a quale punto siamo liberi anche noi ammesso e non concesso che parlare di libertà di pensiero sia un pribvilegio in un mondo tale ma la libertà di pensiero nei FATTI rimane solo libertà di pensiero perchè se si va oltre scattano gli interventi che nei FATTI la reprimono? Io capiscoe comprendo la condizione di un rifugiato politico e comprendo anche le attenzioni che si debbano usare nel giudicare sia il proprio paese che il paese ospitante, ma spero di essere presente all’incontro se ci sarà come promesso, perchè sono veramente ansioso e curioso di sentire il punto di vista sulle questioni che ho espresso sopra e che per scritto ritengo non possano essere evase, poichè già io stesso ho preso molto spazio come al solito, e chiedo scusa.
Pur con i limiti di una intervista fatta in inglese e tradotta all’impronta, mi pare che Malek Wannous, sia pure sinteticamente, abbia già dato risposte ad alcune delle tue domande o riflessioni. E, come hai giustamente rilevato, bisogna anche tener conto che Wannous è a Chiusi come “rifugiato politico” e nel suo paese è perseguitato. Ogni affermazione che fa potrebbe essere usata contro i suoi familiari. Normale e comprensibile, dunque, una certa circospezione nell’esposizione e l’uso di toni non esasperati. Del resto è anche la prima intervista (pubblicata in italiano) che fa da quando è in Italia…
[…] ce l’eravamo fatta , a settembre del 2014, due mesi dopo il suo arrivo a Chiusi, intervistammo Malek Wannous, giornalista e scrittore […]