SIRIA, ISIS, GAZA… INCONTRO CON MALEK WANNOUS, SCRITTORE SIRIANO OSPITE A CHIUSI

lunedì 08th, settembre 2014 / 12:50
SIRIA, ISIS, GAZA… INCONTRO CON MALEK WANNOUS, SCRITTORE SIRIANO OSPITE A CHIUSI
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CHIUSI – Una mattina di settembre che sembra novembre. Incontriamo lo scrittore siriano Malek Wannous in redazione. Ci scusiamo per il caos ma lui sorride comprensivo. Al caos delle redazioni è abituato.

Malek Wannous  ha lasciato Tartous, sua città natale, due mesi fa circa ed è arrivato in Italia tramite l’ICORN (Rete Internazionale di Città Rifugio per gli Scrittori Perseguitati), ospite del Comune di Chiusi, della regione Toscana e della scrittrice Maria Pace Ottieri che ha messo a disposizione l’appartamento dove Wannous vive con la sua famiglia. Sua moglie è in attesa del secondo figlio che nascerà a breve all’ospedale di Nottola.

Lo scrittore siriano si occupa principalmente di politica, cultura e traduzioni. È il traduttore del libro Gaza. Restiamo umani”, del reporter italiano Vittorio Arrigoni, ucciso a Gaza nel 2011. Attualmente collabora come free-lance per Al Arabi Al Jadeed (il nuovo uomo arabo), giornale indipendente arabo che ha base a Londra.

Ci racconta la sua storia. È il 2011, il Medio Oriente è travolto dall’ondata di proteste che passerà sotto il nome di Primavera Araba. Wannous scrive per 3 importanti quotidiani siriani, per un autorevole giornale libanese, Assafir, e Al-Modon, un giornale on line emergente. Ma Wannous è un “oppositore del regime”, non condivide la linea politica e ideologica del governo . I quotidiani cominciano a rifiutare i suoi articoli e per quanto lo scrittore si concentri sull’attività di traduttore, la situazione diventa presto insostenibile.  La mancanza di prospettive di lavoro, l’impoverimento delle risorse economiche e le minacce cui è sottoposto, convincono Malek Wannous a lasciare la Siria. malek 1

“La Siria non è un paese democratico”, racconta, “le elezioni sono una farsa. Possiamo dire sì o no ad un candidato unico proveniente dalle file del partito dominante. Lo stesso accade nelle repubbliche dello Yemen, Egitto, Iraq e Algeria. Non esiste libertà di stampa o di pensiero.  La repressione dell’una e dell’altra è la norma.”

Il mondo arabo è estremamente complesso. Le informazioni che abbiamo provengono principalmente da stampa e media italiani o occidentali. Come cittadino e intellettuale, ci spieghi  cosa è accaduto e cosa sta accadendo in Siria.

La Primavera Araba affonda le sue radici nel desiderio di libertà. Il popolo siriano non protesta per il pane ma in nome della dignità. La Siria è un paese ricco di petrolio e gas naturale, l’agricoltura è florida. Ma la gente vive in condizioni di estrema povertà. La corruzione è dilagante, le infrastrutture sono  carenti, l’elettricità proviene principalmente da generatori a gas.

I Siriani sono persone istruite. Si interessano di politica, seguono avidamente le notizie dal mondo. Internet ha offerto maggiori opportunità di conoscenza, di approfondimento su ciò che stava accadendo nel resto del mondo. E ciò che stava accadendo era che paesi con meno risorse acquisivano maggiore forza e potere mentre la Siria restava immobile nella sua paradossale condizione di ricca indigenza. Quando la Primavera Araba è esplosa in Tunisia, Egitto, Yemen e Libia, in Siria ha trovato terreno fertile. Ma il regime è stato irremovibile. Contrariamente alle dichiarazioni sul carattere pacifico delle proteste,  più volte espresse dal presidente Bashar-Al-Assad , la repressione brutale è stata immediata. La carta vincente di Bashar-Al-Assad sono le differenze religiose. La Siria è un paese musulmano in cui convergono diversi gruppi religiosi: Sunniti, Alawiti, Sciiti, Drusi. Un grande vantaggio per il governo che, in nome della difesa delle minoranze religiose, alimenta le discrepanze a proprio favore. Le minoranze religiose sono tra i maggiori sostenitori del regime.

Si può parlare di guerra civile in Siria?

No. Il conflitto è tra oppositori armati e regime, non tra diverse regioni, nè tra opposte fazioni politiche o religiose della popolazione. Peraltro, è un conflitto geograficamente circoscritto alle regioni in maggioranza sunnita ma non tutti i sunniti sono oppositori del regime. Un esempio: in seguito alle proteste, molti Sunniti in fuga sono stati accolti come rifugiati dalle città in maggioranza alawita di Tartous e Latakia. Oggi contano 2 milioni di abitanti, di cui 1 milione e mezzo sono Sunniti. Vivono pacificamente e contraggono matrimoni indipendentemente dall’appartenenza religiosa. guerra-siria

Qual è la sua posizione rispetto all’Isis?

L’Isis è un’organizzazione terrorista, frutto della politica del Caos Costruttivo. È una minaccia non solo per la Siria ma per l’umanità intera. Difficile dire chi li sostiene,  quello che è certo è che si tratta di un’organizzazione forte ma non autonoma, che non potrebbe cioè sopravvivere senza l’appoggio di un potere costituito altrettanto forte. L’altra cosa certa è che si tratta di un’organizzazione di professionisti. Ogni azione, dalla lotta armata alla diffusione delle informazioni , riflette una preparazione altamente professionale. Basta guardare DABIQ, il canale informativo dell’Isis. È  in inglese e in arabo quindi è ideato, creato e prodotto da gente con un considerevole livello di istruzione e competenza…

Qui in occidente c’è chi ritiene che l’Isis sia nata, in funzione destabilizzante, grazie all’appoggio degli Stati Uniti e della Gran Bretagna…

Sì, suppongo che Stati Uniti e Gran Bretagna abbiano fornito inizialmente supporto finanziario e armi, distribuite attraverso la Turchia, all’Isis (per contrastare il regime di Assad, ndr)  e credo che abbiano anche fornito a suo tempo informazioni e immagini satellitari. Poi ne hanno perso il controllo e ora sono pronti alla guerra…

E  il Ministro degli Esteri siriano ha da poco annunciato che la Siria è pronta per l’alleanza con gli Stai Uniti per combattere i fanatici del Califfato…

In realtà ha detto che un intervento militare americano va anche bene purchè venga annunciato in anticipo al Governo siriano, ma cosa  significhi questo in termini di attuazione, non si è capito. Personalmente, credo che la soluzione debba essere un’altra. È un problema politico, non militare, e come tale va affrontato. Un intervento dell’Onu che sancisse la sospensione del sostegno finanziario e della distribuzione delle armi potrebbe essere risolutivo. Terroristi combattenti e sostenitori sparirebbero, tornerebbero a nascondersi nelle montagne, come è già successo con Al-Quaeda… Il pericolo maggiore però è il potenziale di capillarità di un’organizzazione come l’Isis.  Se la maggioranza dei combattenti in Siria è di origine araba, una buona parte proviene da diversi paesi europei (LEconomist ha redatto una mappa dei combattenti stranieri in Siria. ndr) Si tratta di persone che vivono di guerra e per la guerra, spesso pervase dall’ideologia che la scatena, incapaci di riadattarsi alla vita normale, che potrebbero creare cellule terroristiche in Occidente in vista della nascita di una nuova o rinnovata organizzazione. Insomma potrebbero spargersi ovunque e ovunque compiere azioni e attentati terroristici… isis

 Quanto incide il conflitto di Gaza sull’ instabilità del mondo arabo?

Credo nella soluzione dei due Stati,  ma il problema non è Gaza. Il problema dell’instabilità è Isarele. È uno stato nato in seguito al ritiro della Gran Bretagna (1948) e grazie all’appoggio dell’occidente, in cui sono confluiti ebrei provenienti da tutto il mondo. L’espansione, iniziata nel 1967 con l’occupazione di territori al di fuori dei confini originari, ha inasprito gli equilibri già precari. I paesi Arabi hanno tentato più volte di annientare Israele ma senza successo.

Per Israele Gaza costituisce un grosso problema. Non riesce a controllarla ma allo stesso tempo non può mollare la presa. È un atteggiamento contradditorio come lo fu  il ritiro di Israele dalla striscia di Gaza nel 2005. Allora, Sharon lasciò fisicamente Gaza ma con l’imposizione dell’assedio che impediva l’ingresso di petrolio, materiali da costruzione, cibo e medicine, di fatto vanificò ogni prospettiva di rinascita e sviluppo autonomi. Fino a quando la Palestina non sarà riconosciuta come Stato, la guerra non avrà fine…

Personalmente credo che Israele abbia bisogno della guerra. Una guerra ha il potere di rafforzare il senso di appartenenza. Lo Stato di Israele ha una dubbia identità, le radici storico-politiche sono costantemente sotto accusa, minando la certezza di continuità e sopravvivenza futura.  Combattere tutti insieme contro il nemico è un modo per continuare ad affermare la propria identità.

Come si trova a Chiusi?

La gente è gentile. Si sforza molto anche se la comunicazione è difficile. La lingua è un problema. Anche fare la spesa diventa complicato quando nessuno parla inglese. Per me che sono uno scrittore è particolarmente frustrante non riuscire a trovare giornali in lingua inglese o avere accesso al mondo della scrittura e delle notizie. Gli impiegati del Comune sono stati  molto disponibili, aiutandomi a sbrigare la documentazione per il soggiorno, ad ambientarmi nel nuovo alloggio. Purtroppo finora non c’è stata molta comunicazione con le istituzioni e il mondo della cultura e dell’informazione…

Speriamo che questa intervista aiuti un maggiore scambio in futuro. Tra l’altro noi di Primapagina  abbiamo in agenda, insieme al Comune, un incontro pubblico con Malek proprio sui temi del Medio Oriente, nelle prossime settimane. Chiudiamo la conversazione con un’ultima domanda. Come giudica l’Italia, dal punto di vista della comunicazione,  il giornalista Malek Wannous?

In generale ho notato che l’Italia, dal punto di vista di comunicazione con il resto del mondo, è un paese chiuso. A differenza di altri stati europei, dove stanno nascendo canali televisivi e mezzi di informazione in altre lingue, perfino in arabo, qui non esistono sezioni/versioni in inglese  o francese dei giornali principali. Per chi non parla la lingua, la comprensione dell’attualità italiana in tutti i suoi aspetti, è impossibile. Anche Chiusi, che è una bella cittadina, con potenzialità turistiche, da una maggiore apertura  avrebbe solo da guadagnare.

Elda Cannarsa

 

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