Il PALIO DEI TERZIERI: CRONACA DI UNA MAGIA

Arrivo di corsa. La sfilata comincia alle 17.00 ma sono in ritardo. Guido tra un mare di macchine parcheggiate ovunque e un fiume di gente che scorre verso il centro di Città della Pieve, rigorosamente transennato in occasione del Palio.
Trovo un posticino in via P.Togliatti. È un po’ distante dallo stadio, dove si svolge la sfida. Altri 10 minuti di cammino a passo svelto. Pazienza, una romantica devozione per Togliatti compensa la fatica.
Mi dirigo velocemente verso il centro, accompagnata dal suono lontano dei tamburi. Meraviglioso e possente. Ho sempre amato i tamburi. Nei giorni precedenti il Palio è un suono che accompagna la vita degli abitanti del centro e delle zone limitrofe, annuncia l’imminenza del Palio. Per i dieci giorni che precedono la sfida, Città della Pieve torna ad essere una cittadina rinascimentale. Riaprono le taverne,per due giorni le antiche botteghe tornano in vita, per le strade circolano giullari,mangiatori di fuoco, falconieri.
Arrivo a metà sfilata del primo terziere, il Castello, borgo dell’aristocrazia. Ogni anno mi incanto. I costumi sono splendidi, finemente cuciti a mano dalle sarte di Città della Pieve. Una di loro, una volta, mi ha mostrato il suo laboratorio. Era pieno di stoffe e, con mia ignorante sorpresa, di libri fitti di raffigurazioni di dame e cavalieri dell’epoca. È in queste illustrazioni che trovo ispirazione per la realizzazione dei costumi, mi disse, che sono tanti, tantissimi. E perfetti. Opere d’arte, che insieme alle splendide acconciature ad opera di una delle parrucchiere locali, hanno il potere di trasformare gli abitanti dei terzieri in uomini e donne della storia. Definirli “figuranti” è quasi riduttivo.
Il ritmo incalzante dei tamburi annuncia l’arrivo del Borgo Dentro, il terziere della borghesia e del Clero. Come in una corsa di cavalli, dove le vibrazioni del galoppo lontano si fanno sempre più vicine fino ad esplodere nell’immensa bellezza dei cavalli che ti sfrecciano davanti lasciandoti senza fiato.
Mi incanto di nuovo. L’avrò visto cento volte il corteo ma ogni volta mi rapisce e mi porta via, in un altro mondo. Ogni volta, i tamburi mi smuovono le viscere con la loro potenza. Ma forse è una sensazione solo mia. Le viscere della coppia al mio fianco, sicuramente forestiera, non fanno una piega. Anzi, lei, al passaggio dei tamburi, si copre le orecchie, disturbata. Però continua a schiaffarmi il suo benedetto Ipad in faccia per fare fotografie. Lui fa commenti cretini sulla validità realistica dei “figuranti” e dei colori scelti per gli abiti. Fastidiosissimi entrambi. Il corteo va assaporato, vissuto momento per momento, osservato, ascoltato in religiosa contemplazione. Perché non è banale. E i costumi hanno un loro “rigore” storico frutto di ricerche accurate.
I tipi peraltro forse non sanno che tutte le manifestazioni, i materiali, i costumi, le ricostruzioni, insomma tutto quello che riguarda l’allestimento del Palio che la donna-Ipad sta fotografando alacremente, nasce dall’opera volontaria di quasi tutti gli abitanti di Città della Pieve. Ognuno contribuisce come può. Il Comune ci mette… gli spazi.
Probabilmente, la tipa dallo scatto multiplo e il compagno criticone non sanno neanche che il grande merito di Città della Pieve, a differenza di altre manifestazioni analoghe della zona Umbro-Toscana, come ad esempio il Saracino di Sarteano, è stato quello di riuscire a coinvolgere tanti giovani e giovanissimi. I piccoli sfilano orgogliosi da soli, accompagnati da dame o contadine, tra le braccia dei genitori.
Al termine del Corteo, il criticone manca poco che esulti e invita la tipa dalle orecchie fragili ad avviarsi verso il centro. Ecco bravi, andate verso il centro, penso malefica. Velocemente però, così vi beccate un sacrosanto sacchetto di farina in faccia (o sull’Ipad).
Sì perché al palio fanno la guerra della farina… una battaglia che si svolge all’incrocio del “santuario” e investe cose, persone e monumenti. Il Palio dei Terzieri di Città della Pieve è risorto negli anni ‘70. Il primo terziere fu il Castello, seguito poi dal Casalino, il terziere dei contadini, e successivamente dal Borgo Dentro, il terziere della borghesia e del clero. La farina ha avuto le sue controversie, alternando interdizioni e concessioni.
Da ragazzina mi affascinava tanto quanto oggi ma assistervi ora è un’altra cosa. Siamo cresciuti entrambi . Non so io ma Il Palio sicuramente in meglio. È un trionfo di bellezza estetica, ritmi tribali, affermazione delle proprie radici, impegno collettivo, desiderio di appartenenza (forse anche troppo ma questa è un’altra storia).
E ci sta bene anche il lancio dei sacchetti della farina, che al suo volgere, lascia la piazza sofficemente imbiancata, come dopo una nevicata copiosa, per la delizia dei bambini ( e non solo) che ci si rotolano dentro, la rimettono nei sacchetti alla meno peggio per ricominciare i lanci o ne fanno pasta da modellare.
Con buona pace del rammarico delle donne più anziane: “sai quanti pici si potevano fare con tutta quella farina…”
Elda Cannarsa
corteo storico, palio, Umbria
Quella fa farina serve per alimentazione animale, i pici con quella è bene che non si facciano.La battaglia con la farina ho comunque sentito che lascia diversi con opposte approvazioni e disapprovazioni. Vero è che l’idea della festa e della sua conclusione la si potrebbe dare anche in altri modi che tirando farina, una questione educativa anche per i più piccini, a cui non si toglie nulla se vedono che la farina non venga tirata verso altri.Fanno le battaglie in altri luoghi d’italia anche con le arance che è un ulteriore spreco in tempi di crisi e quelle immagini di gente che da sopra i carri si scaglia addosso la frutta in un mondo dove abbonda il superfluo e manca il necessario a parecchi è giusto che faccia riflettere.Ma si sà, tanto la via sopra la quale viene portata la gente è una via che difficilmente ha del razionale.La gente si spara addosso oggi e si bombarda senza che nessuno reagisca, solo i malcapitati scappano, divenendo profughi e cercando asilo fuori del loro mondo, perdendo tutto, famiglia, soldi, persone, identità, figuriamoci se la gente di qua s’incazzi per la battaglia della farina.Quello che non è proibito è tutto permesso,fuorchè dovrebbe essere la mancanza di quello che una volta si chiamava con una parola :” buon senso”.Siamo al punto magari che se si togliesse la battaglia con la farina qualcuno è facile che s’incazzi anche.E’ proprio vero che ci meritiamo quello che abbiamo, cioè nulla.
Mi pare che la battaglia con la farina in qualche edizione del Palio pievese era stata “abolita”, ma proprio per la pressioni dei contradaioli è stata poi ripristinata. Fa parte del Palio. Come la corsa del maiale ai Ruzzi della Conca. Se ne potrebbe fare a meno, certo (perchè è uno spreco ed è anche pericolosa: qualcuno potrebbe pure soffocare o intossicarsi…), ma il Palio è il palio, alla Pieve, come a Siena o altrove. Ha regole, riti, momenti che hanno poco a che fare con la razionalità, con il bon ton, e pure con il decoro… e spesso sono proprio questi aspetti meno razionali a rendere il palio più vero, più sentito, più appassionante per chi lo vive e per chi vi assiste da spettatore. Insomma una cosa come la “farinata” può anche apparire fuori dalle righe (qualunque sia il tipo di farina utilizzato), ma… pazienza. Ed è indubbio che il palio pievese sia una manifestazione di grande spessore e di gran fascino che ha contribuito non poco al successo di Città della Pieve anche come meta turistica e come punto di riferimento per molti paesi dei dintorni.