GROSSO GUAIO A CHINATOWN: I MORTI DI PRATO E LE AZIENDE CINESI NEL NOSTRO TERRITORIO

lunedì 02nd, dicembre 2013 / 16:34
GROSSO GUAIO A CHINATOWN: I MORTI DI PRATO E LE AZIENDE CINESI NEL NOSTRO TERRITORIO
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A CHIUSI UNA FABBRICA CHE PRODUCE BORSE OCCUPA QUASI SOLO MAESTRANZE CINESI E…

Solo una delle vittime è stata identificata. E’ il primo morto che è stato estratto dal capannone. Le altre sei vittime dell’incendio di ieri nella struttura pronto moda di via Toscana a Prato non hanno ancora u nome.

“La maggior parte delle aziende sono organizzate così: è il far west”. Così il procuratore della Repubblica Piero Tony. “I controlli sulla sicurezza e su ciò che è collegabile al lavoro, nonostante l’impegno di tutte le amministrazioni e delle forze dell’ordine, sono insufficienti. Siamo sottodimensionati: noi come struttura burocratica siamo tarati su una città che non esiste più, una città di 30 anni fa”.

Omicidio colposo plurimo, disastro colposo, omissione di norme di sicurezza e sfruttamento di mano d’opera clandestina: sono i reati per i quali la procura di Prato ha aperto un’inchiesta in seguito all’incendio della fabbrica pratese. L’unico corpo identificato e uno dei feriti sono risultati  irregolari. Prato, la Chinatown d’Italia. E non da adesso. A Prato i cinesi parlano  fiorentino da decenni. Ora i cinesi sono dappertutto. Venti, trent’anni fa, in Italia erano solo a Prato e dintorni: Campi Bisenzio, Calenzano, San Piero a Ponti…

Lavorano, vivono, dormono dentro gli opifici. Qualcuno non esce mai. Qualcuno ci muore e non è facile che si sappia perché viene sostituito da un altro che gli somiglia, e, per noi italiani i cinesi si somigliano tutti. Non è vero, naturalmente, ma questa è l’impressione diffusa. I 7 morti di ieri non sono morti sul lavoro, ma nel sonno. Dormivano dentro la fabbrica quando è divampato l’incendio. Non ce l’hanno fatta a d uscire..

Certo è che la Chinatown d’Italia ha cominciato da anni  a somigliare sempre più alle Chinatown d’oltre Manica e d’oltre Oceano.  Da qualche anno a questa parte anche in Valdichiana e nelle immediate vicinanze, anche sponda umbra, le imprese gestite da cinesi si sono moltiplicate. Bar, ristoranti, bazar, negozi di abbigliamento e di casalinghi, sono sorti come funghi: ce ne sono a Chiusi Scalo, a Po’ Bandino, a Castiglione del Lago… Anche nelle fiere e nei mercati la maggior parte dei banchi sono gestiti e offrono merce made in China. cinesina3

A Chiusi c’è anche una fabbrica in cui si producevano terrecotte artistiche, del tipo di quelle di Petroio (il titolare era del borgo trequandino noto nel mondo per i suoi “cocci”) che da qualche mese produce pelletteria. Borse, per la precisione. Anzi per essere più precisi ancora, le fabbriche adesso sono diventate due: una gestita da un’azienda fiorentina che occupa anche maestranze cinesi e una gestita direttamente da cinesi. Il doppio opificio si trova a Querce al Pino, nei pressi del Casello autostradale. Posizione comoda anche per quei lavoratori che nei  primi mesi arrivavano tutte le mattine in pullman da Firenze o Scandicci… Ora, i più hanno trovato casa nei dintorni.  Chissà se qualcuno dorme dentro la fabbrica, come quei poveretti di Prato… I controlli effettuati finora dalle autorità competenti hanno sempre registrato una situazione di normalità. Ma la tragedia pratese è la dimostrazione che dietro quella che può sembrare una situazione normale, può celarsi una realtà diversa, una realtà che può portare a conseguenze drammatiche. Tutti a Prato sapevano e sanno come vivono e lavorano i cinesi nella fabbrichette del posto, ci sono fiumi di letteratura, film, inchieste giornalistiche sull’argomento. Ma fino a che non ci scappa il morto (7 in questo caso) si fa finta di non sapere, di non vedere. cinese cafè

I problemi sono più d’uno: c’è naturalmente quello di “cosa si produce” e “come si produce” nelle fabbrichette cinesi di casa nostra, che è un problema di qualità e sicurezza del prodotto. Poi c’è il problema della sicurezza fisica, della tutela sociale, della qualità della vita, dei “diritti” dei lavoratori cinesi in casa nostra. Non è solo questione di concorrenza più o meno leale, ma proprio, come si è visto a Prato , una questione di vita o di morte.

Nel 2013 non è accettabile che si possa morire, magari a 20 anni, nel rogo di una fabbrica, perché in quella fabbrica non solo ci lavori, ma ci vivi e ci dormi, come nelle ferriere inglesi della rivoluzione industriale dei primi dell’800…

Quindi, senza criminalizzare né gettare la croce addosso agli imprenditori e ai lavoratori arrivati dalla Cina, che sono peraltro sempre di più, crediamo sia opportuno aprire gli occhi, accendere i riflettori, portare alla luce ciò che da anni sta dentro un cono d’ombra che fa comodo a molti… Più controlli, più attenzione dunque da parte dei sindacati, delle associazioni di categoria, delle autorità sanitarie, delle istituzioni in genere, a ciò che accade dentro aziende considerate terra di nessuno. Non per malcelato protezionismo, ma proprio per una questione di sicurezza e di equità che riguarda tutti, non solo i cinesi.

 

 

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