GROSSO GUAIO A CHINATOWN: I MORTI DI PRATO E LE AZIENDE CINESI NEL NOSTRO TERRITORIO

A CHIUSI UNA FABBRICA CHE PRODUCE BORSE OCCUPA QUASI SOLO MAESTRANZE CINESI E…
Solo una delle vittime è stata identificata. E’ il primo morto che è stato estratto dal capannone. Le altre sei vittime dell’incendio di ieri nella struttura pronto moda di via Toscana a Prato non hanno ancora u nome.
“La maggior parte delle aziende sono organizzate così: è il far west”. Così il procuratore della Repubblica Piero Tony. “I controlli sulla sicurezza e su ciò che è collegabile al lavoro, nonostante l’impegno di tutte le amministrazioni e delle forze dell’ordine, sono insufficienti. Siamo sottodimensionati: noi come struttura burocratica siamo tarati su una città che non esiste più, una città di 30 anni fa”.
Omicidio colposo plurimo, disastro colposo, omissione di norme di sicurezza e sfruttamento di mano d’opera clandestina: sono i reati per i quali la procura di Prato ha aperto un’inchiesta in seguito all’incendio della fabbrica pratese. L’unico corpo identificato e uno dei feriti sono risultati irregolari. Prato, la Chinatown d’Italia. E non da adesso. A Prato i cinesi parlano fiorentino da decenni. Ora i cinesi sono dappertutto. Venti, trent’anni fa, in Italia erano solo a Prato e dintorni: Campi Bisenzio, Calenzano, San Piero a Ponti…
Lavorano, vivono, dormono dentro gli opifici. Qualcuno non esce mai. Qualcuno ci muore e non è facile che si sappia perché viene sostituito da un altro che gli somiglia, e, per noi italiani i cinesi si somigliano tutti. Non è vero, naturalmente, ma questa è l’impressione diffusa. I 7 morti di ieri non sono morti sul lavoro, ma nel sonno. Dormivano dentro la fabbrica quando è divampato l’incendio. Non ce l’hanno fatta a d uscire..
Certo è che la Chinatown d’Italia ha cominciato da anni a somigliare sempre più alle Chinatown d’oltre Manica e d’oltre Oceano. Da qualche anno a questa parte anche in Valdichiana e nelle immediate vicinanze, anche sponda umbra, le imprese gestite da cinesi si sono moltiplicate. Bar, ristoranti, bazar, negozi di abbigliamento e di casalinghi, sono sorti come funghi: ce ne sono a Chiusi Scalo, a Po’ Bandino, a Castiglione del Lago… Anche nelle fiere e nei mercati la maggior parte dei banchi sono gestiti e offrono merce made in China.
A Chiusi c’è anche una fabbrica in cui si producevano terrecotte artistiche, del tipo di quelle di Petroio (il titolare era del borgo trequandino noto nel mondo per i suoi “cocci”) che da qualche mese produce pelletteria. Borse, per la precisione. Anzi per essere più precisi ancora, le fabbriche adesso sono diventate due: una gestita da un’azienda fiorentina che occupa anche maestranze cinesi e una gestita direttamente da cinesi. Il doppio opificio si trova a Querce al Pino, nei pressi del Casello autostradale. Posizione comoda anche per quei lavoratori che nei primi mesi arrivavano tutte le mattine in pullman da Firenze o Scandicci… Ora, i più hanno trovato casa nei dintorni. Chissà se qualcuno dorme dentro la fabbrica, come quei poveretti di Prato… I controlli effettuati finora dalle autorità competenti hanno sempre registrato una situazione di normalità. Ma la tragedia pratese è la dimostrazione che dietro quella che può sembrare una situazione normale, può celarsi una realtà diversa, una realtà che può portare a conseguenze drammatiche. Tutti a Prato sapevano e sanno come vivono e lavorano i cinesi nella fabbrichette del posto, ci sono fiumi di letteratura, film, inchieste giornalistiche sull’argomento. Ma fino a che non ci scappa il morto (7 in questo caso) si fa finta di non sapere, di non vedere.
I problemi sono più d’uno: c’è naturalmente quello di “cosa si produce” e “come si produce” nelle fabbrichette cinesi di casa nostra, che è un problema di qualità e sicurezza del prodotto. Poi c’è il problema della sicurezza fisica, della tutela sociale, della qualità della vita, dei “diritti” dei lavoratori cinesi in casa nostra. Non è solo questione di concorrenza più o meno leale, ma proprio, come si è visto a Prato , una questione di vita o di morte.
Nel 2013 non è accettabile che si possa morire, magari a 20 anni, nel rogo di una fabbrica, perché in quella fabbrica non solo ci lavori, ma ci vivi e ci dormi, come nelle ferriere inglesi della rivoluzione industriale dei primi dell’800…
Quindi, senza criminalizzare né gettare la croce addosso agli imprenditori e ai lavoratori arrivati dalla Cina, che sono peraltro sempre di più, crediamo sia opportuno aprire gli occhi, accendere i riflettori, portare alla luce ciò che da anni sta dentro un cono d’ombra che fa comodo a molti… Più controlli, più attenzione dunque da parte dei sindacati, delle associazioni di categoria, delle autorità sanitarie, delle istituzioni in genere, a ciò che accade dentro aziende considerate terra di nessuno. Non per malcelato protezionismo, ma proprio per una questione di sicurezza e di equità che riguarda tutti, non solo i cinesi.
Giusto vecchia storia. sacrosanto risolverla od almeno provarci. Ma a parte i dormitori in fabbrica… due domande: 1) Quanti italiani “lavorano” in assenza di contratto o sottopagati? 2) Con i Cinesi si può parlare di integrazione?
E’ strano, tutti adesso a reclamare maggior controlli, maggiore legalità, maggiore tutela del lavoro,incremento di forza pubblica per l’effettuazione di controlli.Adesso ? Solo parole da parte della politica, tutta, da quella Comunale, Regionale a quella Nazionale, che non potevano non sapere che le condizioni della comunità cinese nella maggior parte erano quelle che si sono viste ,per finire al Presidente Napolitano che con parole d’occasione ha spinto la politica a prendersi carico di tutto questo disastro che prima che economico è ancorpiù morale. Dei Cinesi che vivono come animali nelle fabbriche del Macrolotto, di San Donnino, di Peretola, di Brozzi, di Sesto Fiorentino ,Osmannoro, Campi Bisenzio o Montemurlo per parlare solo di alcune località lo sanno tutti, dai Vigili, ai Sindaci, ai Carabinieri ed alla Guardia di Finanza.Forse non ci rendiamo conto o facciamo finta di non rendercene conto ma tali tragedie sono causate molte volte dall’iniziativa di molti Italiani ai quali in una economia di mercato in crisi come quella che viviamo,hanno affittato i capannoni agli stessi Cinesi che rendono schiavi i loro connazionali, li fanno lavorare 12 ore al giorno, mangiare e dormire dentro gli opifici.Pensate davvero che questi che fanno i meravigliati e che oggi di fronte a questa tragedia che non è la prima e che non sarà senz’altro l’ultima, declamano l’arrivo di una legalità più diffusa che non sapessero che esistevano certe condizioni da più di venti anni ? Lo sanno benissimo ma fanno quasi i sorpresi e lo sanno talmente bene che l’economia delle confezioni e del pronto moda serve alle ditte di tutta Italia per commercializzare quei prodotti, quindi lo sà la politica, lo sanno i responsabili delle confederazioni artigianali ed industriali,lo sà la Polizia,I Carabinieri, lo sanno tutti insomma, anche i cittadini comuni perchè lo vedono sotto i loro occhi tutti i santi giorni. A San Donnino per esempio a cominciare da una ventina di anni or sono ma anche di più, sono sopravvissuti solo gli imprenditori Italiani che hanno affittato ai cinesi i capannoni ed una intera economia locale è stata distrutta,ma tale situazione è la stessa di altre località, Prato compresa con tutto il suo interland.Tutto questo cari lettori non è che il risultato dello sfruttamento disumano che la divisione del lavoro produce con le modalità estreme che si raggiungono,non invisibili ma visibili e tollerate proprio da quei vertici politici che adesso insorgono e chiamano alla mobilitazione della legalità.Peccato che la realtà politica, umana,sociale ed economica e di tutto quello che hanno amministrato fin’ora gli dia torto dal momento che avvengono tali fatti.Ma ci sarebbe anche di più:questi e con tale riferimento intendo ”i politici” oltre che alle lacrime di coccodrillo fanno presto a togliersi le responsabilità di dosso quando dicono che non esistono le risorse economiche per l’effettuazione dei controlli.E’ un cane che si morde la coda perchè allora si potrebbe obbiettare che sono 120 miliardi di evasione che la politica non impedisce, perchè è più facile controllare una piccola ditta artigiana ogni 4 o 5 anni che essere con continuità presenti sul territorio per non far avvenire quello che avviene.In sostanza ci rendiamo conto di quale meccanismo economico micidiale possa essere il capitalismo, pardon ” il mercato” che ripercuote le sue logiche sui più deboli e sugli esclusi facendo a piramide arricchire gli sfruttatori e tutta una serie di chi affitta fabbricati,di chi sta zitto, di chi cambia le partite IVA ogni 6 mesi per evitare controlli, di chi amministra le contabilità e che s’ingegna a far pagare meno tasse invece di denunciare, di chi china la testa per non vedere perchè l’economia creata-dicono-genera ricchezza. E’ proprio invece quella ricchezza che affluisce in poche tasche, che viene prodotta al nero,e che si serve di una ragnatela inestricabile fino al punto disumano che perfino nessuno reclami i corpi di quelle povere vittime morte da schiavi.L’Italia era una Repubblica Democratica fondata sul lavoro e la sovranità apparteva al popolo che la esercitava nelle forme e nei limiti della Costituzione. Tutto al passato,come passerà anche tale tragedia e fra due o tre giorni non se ne parlerà più.O non era Berlusconi che andava dicendo che la nostra Costituzione occorreva cambiarla perchè era ”Sovietica”? Di fronte a tale principio credo che parecchi che parlano tanto in TV dovrebbero far fagotto,ma se non glielo fà fare la gente (e credo che possa mancare ancora un po’ ma tanto lontani non siamo) state tranquilli che loro il fagotto non lo fanno.Ciò che Marx diceva a proposito del lavoro e di ciò che procurava,forse per il futuro capo del centro sinistra Renzi è senz’altro retaggio del passato.Sarebbe forse bene che dicesse qualcosa a parecchi dei suoi seguaci che lo votano dal momento che qualcuno dice anche che ci sarebbe bisogno-perchè no- anche di Qui, Quo, Qua.
Per David. Ma tale problema non ti fa sorgere in mente che tale condizione faccia dipendere o meno che tu lavoratore puoi lavorare e quindi puoi campare solo se un altro trovi conveniente farti lavorare ? Non pensi che tutta la discrasia moderna della società- cinesi o non cinesi- (quella verso di loro è ancor più brutale )dipenda fortemente da tale principio ? Io ti procuro il lavoro solo se mi conviene, e quindi tratto il tuo lavoro come una variabile dipendente( fregandomene completamente se tu campi o muori anche se dietro a tale principio ci siano persone)Come vedi il principio è lo stesso applicato agli occidentali, ai cinesi, agli indiani, a tutto il mondo.Non ti sembra che tale principio sia quello che stia portando alla fin fine il mondo nel baratro della miseria e della fame ?
Venendo alle cose più terrene, ma più terrene di quelle che ho detto credo che non ci siano, ma comunque per quale motivo per i Cinesi non si può parlarte di integrazione? Esistono fior di ditte cinesi che registrano regolarmente i loro operai,che rispettano i contratti al pari di quelle italiane.Spesso nelle zone d’ombra sono gli Italiani che affittano al nero i capannoni perchè in una economia in crisi l’unico cespite di reddito è dato dall’affitto, meglio se in nero.Forse con la tua domanda sui cinesi e l’integrazione intendevi dire che normalmente fanno ”comunità per conto loro” e che tendono a non integrarsi ed a vivere in luoghi che diventano pian piano delle chinatown, non assumendo nulla del costume e del modo di vita italiano.Su questo ti dò ragione ma dipende oltre che dal mercato del lavoro.dal senso culturale di comunità che hanno. In tutte le parti del mondo un cinese difficilmente si mescola ad un occidentale o ad un arabo.Un cinese per la sua cultura millennaria non ha il senso della famiglia che abbiamo noi europei.C’e l’ha diverso,molto più spiccato in senso di comunitas protettiva,se può permetterselo economicamente per esempio ha la stanza degli antenati in casa sua dove custodisce le ceneri da generazioni dei propri defunti, è molto più riflessivo,pragmatico ed affronta il tema lavoro come una missione perpetua.Ha il senso di un ordine cosmico più spiccato dove posiziona se stesso non come persona umana individuale ma come elemento di una comunità che farà raggiungere alla famiglia ed alla comunità la durata nel tempo e solo così potrà essere vincitore. Il senso della continuità della vita lo sposta anche nel sociale e non lo mantiene come noi nell’individuale. Mai troverai in casa di un cinese quello che tu puoi trovare in casa di un indiano per esempio: una sequela inimmaginabile di dei,statue,divinità protettrici che all’indiano lo accompagnano nella vita quotidiana.Un Cinese ha il senso della fortuna che un occidentale non possiede per esempio.Sono tutte cose queste,ma non solo queste beninteso che fanno sì che le comunità cinesi in tutto il mondo si leghino e relazionino culturalmente solo con altre di cultura cinese.Le relazioni che riguardano il lavoro invece sono altra cosa, e su questo aspetto sono molto pragmatici e non si creano problemi.Il famoso detto di Mao può essere esemplificativo del pragmatismo spinto all’ossesso, ma poi poi mica tanto quando parlava che non importava che il gatto potesse essere bianco o nero, l’importante era che prendesse i topi….Tutta la storia cinese dal 1949 ad oggi evidenzia tali concezioni ed è chiaro che la liberalizzazione dei mercati che hanno impresso i loro dirigenti politici abbia trovato un terreno fertile quando Deng Xiao Ping disse loro che arricchirsi non era reato.Ma questa è un altra storia.Una storia che sta portando al fatto che esistano 100 milioni di cinesi ricchi ed 1 miliardo e trecento milioni di cinesi poveri.Alla barba del socialismo.
Quello cinese, sia in Cina che all’estero, è il capitalismo più brutale, spietato, senza tutele, oggi presente sul pianeta. Non solo per le condizioni di lavoro, ma anche per ciò che viene prodotto e immesso sul mercato e per le conseguenze in termini di inquinamento, tossicità ecc. Purtroppo tutto ciò rappresenta un fattore di concorrenza, che porta anche altri ad “adeguarsi”e a inseguire il modello cinese per sopravvivere… Che poi il modello capitalistico cinese sia il prodotto di un sistema guidato da un partito che ancora si chiama comunista è la più stridente delle contraddizioni. E la riprova di un fallimento, quello del pensiero di Mao e Chuenlai e della loro rivoluzione… Se i risultati sono questi, le rivoluzioni meglio lasciarle perdere…
Per Marco.Mi permetto di disssentire sul fatto citato nelle ultime righe del tuo intervento( quello del fallimento del pensiero di Mao e di Zhou en Lai) ,mentre per tutto il resto sfondi una porta aperta.Il pensiero sia di Mao che di Zhou en Lai non era sicuramente quello per il quale la Cina è addivenuta ad una potenza capitalista sotto il nome di Comunista e guidata da un partito che così si chiama.L’incancrenimento del partito sotto Deng Xiao Ping aveva raggiunto livelli indicibili e la nomenclatura di centinaia di migliaia di funzionari di partito per conservare il proprio potere ha scelto di buttarsi verso l’apertura al mercato come ultimo scoglio.Le discrasie della Cina,quelle vere e che vediamo oggi sono partite da quegli anni (gli ultimi anni ’70 e primi degli anni ’80 quando il capo supremo Deng ha liberalizzato i mercati perchè la Cina non poteva più reggere e sarebbe scoppiata una rivoluzione che comunque avrebbe fatto ritornare indietro il colosso asiatico quasi probabilmente.” Arricchirsi non è reato” disse,ma lo disse dopodichè aveva fatto scomparire ogni segno di opposizione interna (la banda dei 4 ed altro) quindi mi sembrerebbe che il pensiero di Mao e di Zhou en Lai non possa essere tenuto responsabile del capitalismo alla cinese.Quando vivevano loro erano altri tempi e le discrasie e costrizioni che la Cina ha subito sotto Mao erano di altri momenti(anni ’60 soprattutto).Adesso i suoi dirigenti hanno voluto il capitalismo selvaggio ? O pedalino,finchè il popolo non si ribellerà.E quando si liberalizza l’economia ma non si liberalizza la politica prima o poi si salta.E lì sarà il dramma. Il dramma per loro ma anche per noi in seguito a quello.Purtroppo. Ma Mao e Zhou sono stati gli artefici della liberazione del popolo cinese da una schiavitù secolare fatta di repressioni sanguinose e di interventi stranieri e questo non solo alla storia ed agli stessi cinesi occorre darne atto.Ma se il modello ambito è solo quello del produrre per arricchirsi è chiaro che in una nazione di 1 miliardo e 400 milioni di abitanti il capitalismo produce 100 milioni di ricchi e 1 miliardo e trecentomilioni di poveri: una via di mezzo non c’è, ma è tutta la storia della cina che parla nei secoli questa lingua.Non dimentichiamoci che 100 anni fa (si parla di tre o quattro generazioni) c’era l’Impero e la repubblica popolare cinese è nata solo nel 1949 e dopo la sua nascita bene o male hanno mangiato tutti perchè tutti hanno lavorato,quindi Mao e Zhou non ritengo che siano responsabili del disastro che abbiamo sotto gli occhi e che è stato generato tutto da quel cambiamento di sistema sociale fatto per continuare a avere quell’equilibrio interno delle classi dirigenti, e se questi sono i risultati,speriamo che” la cina non sia vicina”.Ma credo che spero invano guardando l’Italia.
Certo che il pensiero di Mao e Zhu en Lai c’entra poco con il capitalismo selvaggio, ma se un partito che si chiama ancora comunista e che governa da solo in modo assoluto ha creato un sistema del genere,con il capitalismo più sfrenato e deregolato del pianete, vuol dire che quel pensiero o non ha inciso minimamente, o portava in sé i germi del fallimento. Del resto anche la gloriosa (e sacrosanta) rivoluzione d’ottobre ha generato un sistema che ha prodotto prima lo stalinismo e poi la gestione politico-economica ingessata del Pcus stile Breznev, infine Eltsin e Putin… Io sono stato e resto convintamente “comunista”, ma in certi tipi di comunismo non ci trovo proprio niente da esaltare e nemmeno da salvare… Così come in certi tipi di capitalismo…