ANNI ’50, A CHIUSI UNA SCUOLA PER ARTISTI CHE HA SFORNATO TALENTI COME LA BOTTEGA DEL VERROCCHIO

CHIUSI – E’ nota la storia di due grandi dipinti dei primi del ‘500, uno del Perugino e uno di Raffaello che hanno a che fare con Chiusi. O meglio con un fatto avvenuto a Chiusi qualche anno prima, nel 1473… Che tra l’altro fu un “fattaccio”: un furto. Quello dell’anello della madonna che era arrivato – in forza di quel furto – al duomo di Perugia.
Meno nota, forse, ma comunque degna di menzione anche la presenza di un chiusino illustre in un dipinto di Rubens del 1620: trattasi di Porsenna ritratto davanti a Muzio Scevola mentre questi mette la mano sul braciere, per punirsi dopo aver fallito un attentato al lucumone chiusino che stava assediando Roma…
Quanti paesi delle dimensioni di Chiusi nella zona e non solo possono vantare delle connections con dipinti del Perugino, di Raffaello e di Rubens?
E forse non tutti sanno che a Chiusi negli anni ’50 e ’60 del secolo scorso c’era una “scuola” che per il territorio ha avuto la funzione che ebbe la Bottega di Andrea del Verrochio nella Firenze del ‘400. Chiusi non è Firenze, ovviamente. Ma così come nella Bottega del Verrocchio si formarono allievi del calibro di Leonardo da Vinci, Pietro Perugino, Sandro Botticelli, Domenico Ghirlandaio e Luca Signorelli, per citarne alcuni, e vi si imparavano diverse arti, dalla pittura alla scultura, dall’oreficeria alla decorazione, nella “scuola” chiusina nata come “scuola di ceramica”, poi si imparava anche a dipingere, a disegnare, a lavorare la creta e il bronzo… Parliamo della “scuola” di Don Manfredo Coltellini, un prete sui generis, più artista poliedrico e visionario che curato, nel senso classico del termine.
Ecco, nella scuola-bottega di Don Manfredo attiva tra il 1955 e il 1961 si è formato – a Chiusi – uno stuolo di artisti, oggi piuttosto quotati e tutti provenienti dal territorio: da Chiusi e da Sarteano, San Casciano Bagni e Cetona e non solo. Artisti che, come gli allievi del Verrocchio, hanno sperimentato varie forme espressive e artistiche: dalla ceramica alla pittura, alla scultura, al disegno, e anche tecniche diverse e spesso originali.
Qualche nome? Gastone Bai, Mario Battistelli, Vincenzo Mencaglia detto “Pippo”, Vasco Nasorri, Piero Sbarluzzi, Giovanni Stefani, Carlo Paggetti, Gianfranco Rocchi. E anche Giuseppe Venturini per molti anni capo restauratore del Museo Archelogico di Chiusi e Aldo Mencucci, che si sentì artista incompreso e si tolse la vita a 30 anni nel 1971 a Chiusi Scalo… Un po’ come Luigi Tenco di cui ascoltava le canzoni mentre lavorava nella sua bottega ricavata in una vecchia stalla.
Parliamo di artisti che hanno lavorato, alcuni almeno, anche come ceramisti, mantenendo fede al progetto originario della “scuola”, spesso insieme ad altri allievi di quella scuola, ma ai quali il lavoro commerciale, per sbarcare il lunario, per quanto amato e svolto con assoluta passione, non bastava. Come non bastava al “maestro” don Manfredo che amava sperimentare, cercare, scrutarsi dentro, cercando la complicità di quei ragazzi ai quali con la scusa di insegnare un mestiere, voleva invece insegnare a guardare la vita da una prospettiva non proprio usuale. Don Manfredo se ne andò a soli 56 anni nel 1970, stesso anno in cui morì anche il Vescovo Carlo Baldini che diede l’input per creare la scuola di ceramica. E che don Manfredo mise su con la complicità del ceramista Fernando Foderini.
Anche il Vescovo Baldini era un tipo piuttosto visionario, ma con le mani immerse nella concretezza. D’altra parte quelli erano gli anni del Concilio Vaticano II, di Don Milani… E a Chiusi una chiesa che era stata tradizionalista e reazionaria scoprì nuove frontiere.
Come gli allievi di Don Milani a Barbiana ache gli allievi della scuola di Don manfredo Coltellini a Chiusi erano per lo più “figli del popolo”, ragazzi che venivano dalla campagna che si stava spopolando o dai vicoli malmessi dei centri storici, ancora segnati dalle cannonate della guerra, dove anche avere il bagno per le scale era un lusso. E mettere insieme il pranzo con la cena, pure. Alcuni erano figli di militanti socialisti e comunisti, di contadini sindacalizzati che avevano subito o visto da vicino gli sfratti dei primi anni ’50, le bandiere rosse issate sui pagliai, le camionette della Celere a cacciare i mezzadri dai poderi…
Oggi le opere dei vari Bai, Stefani, Paggetti, Nasorri, Sbarluzzi ecc. costano e valgono centinaia e anche migliaia di euro. Sono in giro per l’Italia e sparse nel mondo a fare bella mostra di sé in sale, palazzi comunali, ville con piscina e salotti buoni… Nel nostro piccolo, anche noi di Primapagina, nella redazione ne abbiamo alcune che gli artisti nel tempo ci hanno regalato: una litografia di Giovanni Stefani, alcuni acquerelli di Carlo Paggetti, che ha la sua bottega a dieci metri lineari di distanza, un paio di disegni di Vasco Nasorri. Artisti del territorio e artisti amici nostri e di un territorio che hanno immortalato proponendone immagni, scorci, particolari ora molto realistici, ora più onirici o legati ad un passato più o meno lontano che non se ne va e che probabilmente è intriso nei colori, negli olii, nelle tavole e nei pennelli stessi che hanno adoperato in questi quasi 70 anni e che alcuni, fortunatamente adoperano ancora con grande sagacia.
m.l.
Nelle foto: in copertina il pittore Gastone Bai nel suo studio. Nel corpo dell’articolo “Lo sposalizio della vergine” del Perugino; il dipinto di Rubens, un acquerello di Carlo Paggetti e una litografia di Giovanni Stefani.