SETTEMBRE 1502, LA CONGIURA DI MAGIONE E IL SUO EPILOGO SANGUINOSO A CITTA’ DELLA PIEVE

All’inizio del ‘500 nell’Italia dei Ducati, delle Repubbliche e delle Signorie, spesso in guerra tra loro, il Duca Valentino, ovvero Cesare Borgia, voleva creare un suo potente “Ducato di Romagna”. Aveva già conquistato Rimini, Forlì, Ravenna, Cesena e Urbino, ma per dare forza al suo progetto e renderlo più solido, aveva bisogno anche di Bologna che ne sarebbe stata la capitale. Quando il Valentino decise di impossessarsi anche della città delle due torri una serie di “Capitani di ventura”, che avevano possedimenti e città ai confini, fino a quel momento alleati di Cesare Borgia, cominciarono a preoccuparsi. Temevano che l’espansionismo del Valentino e la sua “grandeur” li avrebbe danneggiati. Anzi cominciarono a temere per la loro stessa vita. Il Borgia non era uno che faceva troppi complimenti, quando trovava qualcuno ad intralciargli la strada. Era la metà di settembre del 1502 quando Vitellozzo Vitelli di Città di Castello, Oliverotto da Fermo, Giampaolo Baglioni “tiranno di Perugia” (così lo definì all’epoca Machiavelli) e Antonio Giordano per conto di Pandolfo Petrucci, capo della Repubblica di Siena, decisero di correre ai ripari. Si riunirono per alcuni giorni in segreto, nel castello dei Cavalieri Gerosolimitani di Magione, luogo centrale e baricentrico, per valutare la situazione e passare al contrattacco, contro il loro vecchio alleato.
Il castello di Magione era tra l’altro la residenza del cardinale Giovanni Battista Orsini, che prese parte alla riunione. I convenuti presero due decisioni: 1) non abbandonare il signore di Bologna Bentivoglio e di cercare l’appoggio dei fiorentini e dei veneziani per contrastare militarmente Cesare Borgia.
La riunione segreta prese il nome di “Congiura di Magione”. E appena la notizia si diffuse, perché anche allora qualche fuga di notizie c’era sempre e perché gli stesi congiurati avevano interesse a far sapere cosa avevano intenzione di fare, Urbino si ribellò all’occupazione del Valentino e i rivoltosi riconquistarono il forte di San Leo, rocca strategica e robusta. I condottieri della congiura si precipitarono anch’essi nell’urbinate, e lì ebbero un primo sanguinoso scontro con le truppe del Borgia, a Calmazzo. Quella battaglia la vinsero ottenendo l’appoggio di Guidobaldo da Montefeltro, pretendente alla Signoria di Urbino, e ciò indusse i congiurati a insistere con Venezia e Firenze, ma sbagliarono i conti. Perché i fiorentini, che già avevano giustiziato il fratello di Vitellozzo Vitelli, non solo non acconsentirono ad inviare truppe in appoggio ai nemici di Cesare Borgia, ma al contrario mandarono Niccolò Machiavelli ad avvertire il Duca Valentino, ad Imola, che molti suoi soldati lo stavano tradendo per passare nelle fila dei congiurati.
Di fatto Firenze si schierò con il Borgia. Il quale a quel punto, nell’attesa che arrivassero i rinforzi dalla Francia e da Firenze, cercò di dividere il fronte dei nemici, che del resto conosceva bene, usando la diplomazia e offrendo prebende e salvacondotti a chi si fosse “sfilato” dalla congiura. Seguirono settimane di trattative serrate, e alcuni in effetti si sfilarono come Pandolfo Petrucci di Siena e il Bentivoglio di Bologna che ebbero paura a mettersi contro i francesi.
Come spesso avveniva a quei tempi, tanto erano frequenti le congiure, quanto le trappole e gli inganni erano spesso dietro l’angolo.
Il 31 dicembre del 1502, Oliverotto da Fermo, Vitellozzo Vitelli, Paolo e Francesco Orsini furono invitati a Senigallia, per un incontro chiarificatore con il Valentino. Il Duca li fece accompagnare in una sala addobbata a festa, quando i 4 si furono accomodati, Cesare Borgia si allontanò con una scusa. Era il segnale: i suoi sicari vestiti da inservienti immobilizzarono subito Vitellozzo e Oliverotto, li legarono e li strangolarono entrambi, mentre altri soldati si occuparono dei due Orsini, che non furono uccisi in quel frangente, ma furono trasferiti prigionieri a Città della Pieve e lì, nella rocca, strangolati anche loro, il 18 gennaio 1503.
Alla congiura e anche all’epilogo, Niccolò Machiavelli dedicò un trattato, nel 1503. L’episodio verrà ancora ripreso da Machiavelli anche nel capitolo VII de Il Principe, scritto nel 1513.
La congiura di Magione finì dunque nel sangue. Con un tranello. Finì a Senigallia e a Città della Pieve.
Cesare Borgia, caduto in disgrazia, dopo la morte di Papa Alessandro VI, di cui era figlio illegittimo, fu incarcerato a Castel Sant’Angelo e poi esiliato in Spagna. Morì nella notte tra l’11 e il 12 marzo 1507 in una imboscata, durante l’assedio di Viana in Navarra. Il suo corpo, spogliato dell’armatura e dei vestiti fu rivenuto sul terreno, trafitto da 23 colpi di picca.
Da tutta questa vicenda esce fuori l’uomo ritenuto all epoca il più veloce della storia: Cangrande della Scala inseguito da Castruccio Castracani…. in tempo di fake news potrebbe anche essere notizia degna di attenzione….ma è una battuta, solo per ridere…Saluti.
Intrighi, violenza e sesso: i Borgia più spietati che mai.
Una famiglia da romanzo quella dei Borgia, Borja in spagnolo. Le ambizioni di questo figlio scapestrato, trovavano nel papa padre un protettore assai potente. E che papa!! Un papa (Alessandro VI) malvagio e privo di morale, il figlio non poteva mica dirazzare e infatti Cesare questo il suo nome, fu spregiudicato e ambizioso, come pochi nella storia. Una figlia (Lucrezia), non certo la sola illegittima, dalle virtù femminili fin troppo chiacchierate. Probabilmente anche un po’ mitizzate. Una figura c’è da pensare chissà vittima dei tempi, di quelle congiure, di quei matrimoni combinati, al fine di continuare nella saga del potere, a cui lei non si sottrasse. Creatura che rimase sempre, fra le più cupe tragedie del suo tempo, del suo ambiente. I Borgia, non credo che si possano etichettare come i soli a mettere in pratica certi metodi di fare politica, di gestire il Vaticano. Hanno messo in pratica forse con più spietatezza un certo modo di gestire il potere, divenendo simboli del libertinismo e nepotismo. In merito e soprattutto per i vizi goderecci che sotto le lenzuola praticavano (Il papa era un noto pedofilo), mentre sulle pubbliche piazze, per impaurire il popolino, bruciavano povere ragazze etichettate come streghe. Mette angoscia il solo ricordare certi supplizi. Lo schiaccia-seni: pinza tremendamente dolorosa, il cui utilizzo è facilmente immaginabile: talora le tenaglie erano anche arroventate (una variante forse più dolorosa era il meccanismo dello schiacciatesta: una sorta di elmetto che si restringeva, facendo scivolare gli occhi fuori dalle orbite e schiacciando il cranio: papa Borgia lo utilizzò contro alcuni prelati sovversivi). Le turcas: le unghie venivano strappate e gli aghi conficcati alle estremità delle falangi. L’elenco delle torture messe in atto da papa Borgia e dai suoi successori sarebbe lungo, infinito. Per questo loro crudeltà, ancora oggi fanno rabbrividire. Sarebbe utile io credo, che sulla stampa e nelle scuole si studi di più gli aspetti criminali del Cristianesimo, per rendere giustizia alle vittime e per onorare la storia.