ORIZZONTI: GLI DEI DI LAMPEDUSA LASCIATI SOLI SULLE RIVE DEL CHIARO…

Uno spettacolo che “spacca” avrebbe detto un giovane digitale se solo lo avesse visto. “Gli dei di Lampedusa” è un’opera forte, di impatto, scritta e diretta da Laura Fatini, recitata magistralmente da attori che strisciano direttamente sulla pelle del pubblico le emozioni di un tema universale e quanto mai attuale: l’uomo e la speranza dell’uomo, e il tentativo tragico di sfuggire alla morte in cerca di una speranza di vita.
La regista riesce a intrecciare il fascino del mito con la durezza della realtà: i migranti morti affogati sugli scogli di Lampedusa. L’episodio messo in scena è quello del 3 ottobre 2013 con 366 morti affogati e un numero imprecisato di dispersi. Un rito sacrificale occidentale che si è ripetuto purtroppo più volte e continua anche su terra proprio in questi giorni nelle vere e proprie cacce all’uomo intorno all’eurotunnel con sguinzagliamento di cani e utilizzo dei gas irritanti( fa pensare ad altre tragedie, no?). Lo spettacolo ha un ritmo universale e sfonda in un’attualità che continua nei respingimenti ad Algesiras in Spagna, nei bivacchi sugli scogli di nessuno tra Francia e Italia. La piece teatrale assume la forza epica della tragedia greca rinforzata dalla cornice mozzafiato del lago di Chiusi che dà potenza alla rappresentazione.
Tra gli attori un encomio sia a Giulia Roghi che a Pierangelo Margheriti nel ruolo di Simbad il traghettatore del naufragio, personaggio lucido e controverso, una menzione speciale ad Anna Maria Meloni nella parte della madre africana che accompagna ma non parte, e infine va segnalata la bravura di Calogero Dimino che interpreta magistralmente il tormento del “becchino” lampedusano.
Il testo è denso e circonda e avvolge lo spettatore evocando la sua responsabilità di cittadino di uomo di fratello: respingere? accogliere? scegliere il bene? o il male? nessuno si salverà dalla morte ma nella scelta può almeno prevalere l’etica e l’estetica che ne consegue.
L’arte non può risolvere la scelta , l’arte fa le domande, pone le questioni impone la consapevolezza di una scelta qualunque sia e “ gli dei di Lampedusa” assolvono a questo compito, impongono una presa di coscienza a noi occidentali davanti al bivio dell’accoglienza o del respingimento.
Lo spettacolo c’è. Non c’era il pubblico, la cronaca recita 35 presenti contati uno ad uno; se si sottraggono poi parenti stretti degli attori e addetti ai lavori con tanto di pass al collo, il pubblico reale si attesta sicuramente intorno alle dieci persone. Una più una meno.
Qui si apre un’altra questione molto più ampia, che da osservatore esterno (sono un giornalista pubblicista milanese in vacanza a Chiusi in questi primi giorni d’agosto, proprio perché a Chiusi c’è Orizzonti) mi sembra opportuno sottolineare.
Come tutti sanno e come si evince dal volantino di presentazione dello spettacolo, questa piece teatrale è “ Produzione festival Orizzonti Fondazione “
Chiunque sappia di cose di spettacolo e cultura sa che “Produzione” significa non solo realizzare un bello spettacolo (e gli Dei di Lampedusa è anche di più di un bello spettacolo) significa anche e soprattutto proteggere gli spettacoli dai flop di pubblico e si preoccupa di curare marketing, pubbliche relazioni, scelta dei programmi, affinché lo spettacolo, magari ad alto contenuto artistico non subisca il flop causato appunto da deficit organizzativi: di “produzione” appunto. Il Comune delegando ad una fondazione ha esternalizzato la produzione di cultura, ma ne ha comunque la responsabilità primigenia della scelta politica iniziale. La fondazione produce valore artistico e lo distrugge con l’assenza di una strategia di consenso popolare. I soldi investiti per la cultura non sono soldi a “perdere”. Sono investimenti che in qualche modo devono tornare al paese facendo spettacoli che interessino alla comunità e questo si misura nel solito unico modo : la partecipazione del pubblico; se il pubblico non c’è qualcuno ha sbagliato qualcosa. Oppure nel momento in cui la fondazione progetta la stagione si assume la responsabilità di una scelta precisa, di un identità forte, anche elitaria, che sappia però attrarre attenzione e pubblico di nicchia specializzato da tutta Italia e restituisca attraverso l’indotto turistico l’impiego di energie economiche che le sono state attribuite e contribuisca a rafforzare il nome e il prestigio del Comune nel mondo. Non preoccuparsi né del pubblico locale, generalista e popolare, né del pubblico di elite, verticale e forestiero, significa precipitare in un operazione autoreferenziale che al di là dell’indubbio valore della “performance” non restituisce alla collettività alcunché.
E’ andata un po’ meglio, al Chiostro San Francesco (l’orario era più consono, la temperatura più accettabile) per “Ballata per Giufà”, spettacolo scritto dalla stessa Fatini e diretto da Gabriele Valentini che si propone come un “unicum” con Gli Dei di Lampedusa, perché con richiami che spaziano da Dante a Pirandello, della medesima questione tratta: i migranti, la gente che scappa in cerca di altri mondi. Un messaggio forte e chiaro, ma reso con una certa fatica, quasi una ricerca spasmodica del “complicato”, del “se non soffri non è teatro”. Bravi comunque tutti, regista e attori, belle le musiche e appropriati i filmati… Platea esaurita, ma 50-60 posti, in due sere al massimo saranno 100 spettatori… Insomma è vero che un festival ha ritmi un po’ particolari e orari particolari, per poter presentare più cose nell’arco della giornata, ma così sembra proprio che lo sforzo sia superiore alla resa. Ed è un peccato.
Da osservatore esterno, mi sembra che mentre intorno a Chiusi altri comuni da anni hanno cercato una loro identità sul territorio come ad esempio Città della Pieve, Montepulciano e Castiglione del Lago, Chiusi non ha una visione, non ha nemmeno un miraggio intorno ai suoi orizzonti. E mi dispiace.
Alessandro Lanzani
Una recensione che non leggeremo mai sui bollettini quoridiani scritti dai Montebove di turno.
I Montebove di turno non scrivono su Primapagina.
“Perché una cosa è chiara: un bellissimo festival può richiamare pubblico e attenzioni mediatiche, può ottenere recensioni della stampa specializzata, può anche riempire alberghi e ristoranti nei dieci giorni in cui si svolge, ma… Ma per far crescere culturalmente una città, per creare un clima di nuovo Rinascimento, per far uscire la gente di casa e farla andare anche al festival, serve un coinvolgimento ampio, duraturo, continuo della popolazione, anche quella più “lontana” e restia alla cultura alta. Serve insomma un bel festival estivo, una bella stagione teatrale invernale, ma pure qualcosa di più nell’arco dell’anno. Serve che nessuno si senta “straniero” in patria, che tutti, in città, si sentano parte attiva, consapevole, partecipe, non solo spettatori. E serve che il festival, anche se “eccellente” dal punto di vista qualitativo, non sia (o non sia percepito) come avulso rispetto alla realtà cittadina, come un corpo estraneo, o una cosa per pochi.” Da un articolo di Primapagina su Orizzonti, del 21.03.2015… Mi pare che le questioni poste allora come “essenziali” stiano emergendo adesso a festival in corso. La sensazione è che tante belle cose e spettacoli di qualità assoluta ne escano penalizzati, frustrati,ridotti ad appuntamenti per pochi intimi, “avulsi” appunto dal contesto cittadino e dalla gente del luogo e dei dintorni… E’ questo che non torna e non fa tornare i conti…
Sarebbe bello che queste considerazioni non restassero lettera morta, perchè penso che un obiettivo di qualsiasi iniziativa culturale sia quello di far crescere e coinvolgere più cittadini possibile.
Ritengo che lo spettacolo di Domenica avrà sicuramente più pubblico. Questo festival è il primo della nuova gestione della fondazione e ritengo, che gli indirizzi che, come consiglio comunale, abbiamo dato sono stati rispettati. Naturalmente si può migliorare, ma come prima risposta mi sembra soddisfacente.
nel 2012, come Primapagina avevamo proposto, non a caso, “gli stati generali della cultura”, proprio per fare considerazioni di questo tipo e valutare ciò che c’è, cosa si può fare, con quali risorse ecc… Nessuno li ha voluti fare. Ma i nodi vengono al pettine… e le domande, alla fine son sempre le stesse… Vero che è il primo festiva della nuova gestione della Fondazione, ma è già il secondo sotto la direzione Cigni e il 13° se non vado errato in generale… Non è che prima non ci fosse niente. Credo che discuterne,a bocce ferme, sarebbe opportuno e utile…Per migliorare e non per affossare, naturalmente. Perché due conti sui costi-benefici, trattandosi di soldi pubblici, è sempre bene farli. No?
Il problema che si ripropone è quello della navigazione a vista. Da anni ormai a Chiusi non si fa programmazione, si improvvisa, l’improvvisazione si trova in tutti i settori, cosa c’è ad esempio alla base delle grandi questioni degli ultimi anni nel nostro comune se non la mancanza di una programmazione seria: la progettazione di un nuovo stadio inutile senza neppure sapere a cosa sarebbe potuto servire, la propaganda su una stazione in linea sulla ferrovia ad alta velocità, che definire una buffonata è un complimento, il mancato sfruttamento di un patrimonio archeologico di valore assoluto, il bilancio stesso del comune, che se letto attentamente ha in se proprio la caratteristica dell’improvvisazione, dove si capisce che per questo paese non esiste da anni un progetto su cosa deve essere veramente. E là dove c’è improvvisazione si possono anche raggiungere picchi di qualità elevati, come è per il programma del festival orizzonti, ma rimangono degli assoli in un mare di niente.
X Luca Scaramelli.Quella che dici è realtà oggettiva senza ombra di smentite.Il dramma vero è che oltre al permanere ormai da anni di tale situazione, corrisponde un ” nulla” della gente.La gente- e talvolta la si nomina in senso generale proprio per riferirsi ad un modo comune di comportarsi e di pensare-si comporta come si è visto. quando ci sono le elezioni la gente pensa che quando ha messo quella croce sul partito che crede migliore pensa di aver fatto tutto e che poi i delegati facciano come vogliono. la gente non ha tempo, non ha modo, nemmeno se ce la tiri per il collo s’interessa alle cose del paese.In tale stato di cose quali sono le iniziative o le cose che prendono forma e forza? Il risultato si vede, e la classe politica può fare il bello ed il cattivo tempo forte dei consensi ricevuti di quei cittadini-a chiamarli così si fa un eufemismo-che non sanno più distinguere il bene pubblico e quello privato,non riescono a vedere il comportamento degli amministratori e giudicarlo.Eh sì, perchè allora come spiegarsi ancora che facciano affluire i loro consensi verso tali amministrazioni ? Vuol dire mancanza di giudizio, volontà di non conoscere a prescindere, menefreghismo, individualismo, difesa dei propri orticelli.tutte cose comuni a cui assistiamo ed assisteremo anche in futuro.Ed allora dall’equazione cosa ne esce ? Ne esce quello che succede, nè più nè meno.Si ricade nel qualunquismo becero e sciocco se si dice che ogni paese si merita il governo che ha ?