“PERCHE’ HO DECISO DI LASCIARE IL PD”. L’EX SEGRETARIO CHIUSINO E CAPOGRUPPO IN PROVINCIA NASORRI SPIEGA LE SUE RAGIONI

“ABBIAMO SMARRITO LE NOSTRE RAGIONI FONDATIVE”
di Marco Nasorri
Caro Direttore,
alcuni giorni fa ho comunicato al Segretario provinciale del Partito Democratico Niccolò Guicciardini la decisione di non rinnovare l’iscrizione al partito e, di conseguenza ho presentato le dimissioni da Capogruppo in Consiglio Provinciale.
Da tempo, avevo manifestato un forte dissenso per le scelte compiute dal PD, soprattutto, a livello nazionale. Come avevo ritenuto sbagliato il sostegno al governo Monti, considero ancora più inaccettabile un governo con il PDL di Berlusconi. Il “governissiomo” non rappresenta la volontà degli elettori e non è in grado di produrre nessun miglioramento delle condizioni reali del paese. L’unico obiettivo realizzabile sembra essere rastrellare un po’ di soldi, mentre nella realtà finisce per proteggere i soliti noti, consente a chi ha devastato l’Italia di riaffermare il proprio protagonismo.
Il PD con le larghe intese ha smarrito le proprie ragioni fondative. Contribuisce, suo malgrado, a condannare l’Italia all‘inerzia del presente. Questa innaturale maggioranza fa svanire il senso stesso della politica e finisce per “legittimare” la totale inconcludenza delle istituzioni. Segna la cecità completa di un intero ceto politico che si dimostra subalterno al perenne condizionamento di un personaggio spregiudicato e pluricondannato, immobile di fronte ad un malessere sociale che rischia di esplodere, impotente di fronte al calpestio dei basilari principi di moralità.
Se siamo giunti a questo punto, non è solo per l’esito del voto di Febbraio. Dinanzi ad un’opinione pubblica che comunque chiedeva la rottura con le derive del passato, il PD ha voltato le spalle. Ha dimostrato assenza di coraggio e incapacità ad assumersi una responsabilità storica. Si è perso nei soliti tatticismi, nel tradimento dei 101 deputati, in una strategia spregiudicata messa in atto da una parte del partito, che in modo ambiguo ha creato le condizioni per imporre un governo di larghe intese.
Una decisione che cambia il senso del percorso politico dei Democratici. La stessa identità (mai compiutamente definita) assume un’impronta sempre più moderata e neocentrista. Questo segna la trasformazione del progetto originario e la sconfitta della sinistra che in quel progetto aveva creduto. Oggi, il PD trasmette l’idea di un partito rassegnato e senza iniziativa. Costretto a puntellare il governo. Piegato a discutere di regole congressuali, mentre, suoi presunti leader viaggiano per l’Italia presentando libri, vanno in tv e stanno sui social network promuovendo se stessi.
In questi anni il PD doveva definire e rendere forti le proprie basi sociali e culturali, unirle in una prospettiva realmente progressista di rinnovamento della politica e della società italiana. Ha finito, invece, per inseguire un nuovismo senza rinnovamento delle idee. Ha rincorso un riformismo liberista che ha ampliato le distanze sociali e non ha curato i mali veri del paese. Non è riuscito a costruire al suo interno un senso di comunità, in cui ognuno potesse sentirsi partecipe di un destino comune e interprete di un impegno collettivo.
E’ stato dominato dalla personalizzazione, da un leaderismo di capi corrente che hanno portato a logiche per cui bisogna schierarsi con qualcuno o in qualche comitato per esistere politicamente. Si finisce sempre per parlare di persone, perché mancano contenuti e la volontà di ricercarli là dove sono: nella società reale, nei bisogni inespressi, nelle infinite contraddizioni, nella regressione sociale e culturale che imprigiona il paese. La ricerca ossessiva del consenso è l’unica misura dell’azione politica. Alla fine è rimasto un contenitore che resiste grazie alle attese che esso stesso aveva saputo generare con la sua nascita e che in troppi utilizzano solo per fare carriera e raggiungere cariche nelle istituzioni pubbliche.
E’ duro a dirsi, ma non si vedono le energie e forse neanche la volontà per superare quello che ha zavorrato il PD. La sensazione è che, giunti a questo punto, nessuno abbia la forza per ragionare sulla praticabilità di una sintesi con cui definire un’identità precisa, una visione condivisa di società da proporre al paese. Una simile ammissione per molti sarebbe una sconfitta, per altri la perdita di un luogo sicuro.
E’ probabile che le diverse correnti trovino un accordo su alcune cose da fare o peggio tutto si risolva con una spartizione d’incarichi presenti e futuri. La politica, tuttavia è visione e senso. Un partito è identità riconoscibile in un progetto. All’orizzonte queste cose non ci sono. C’è un’idea moderata e consociativa della realtà e della politica. Ma, io non voglio stare in un partito in cui sono così marginali i valori e la cultura della sinistra. L’elezione a segretario di Guglielmo Epifani è segnata non dalla consapevolezza di dover fare una scelta realmente condivisa per preparare al meglio il congresso, bensì dalla debolezza di un vertice, in cui troppi giocano per se stessi.
Ecco perché, in questo PD non mi riconosco più e se guardo a quello che doveva essere, alle occasioni sprecate, mi viene da pensare che non sia io a lasciare i democratici, ma il PD che ha lasciato se stesso.
Marco Nasorri