CHIUSI E UNO STRANO DIALETTO CHE TROVA ANALOGIE IN MAREMMA E IN LUCCHESIA PIU’ CHE IN VALDICHIANA
CHIUSI – Il Comune di Chiusi ci fa sapere che mercoledì scorso, nella sala del consiglio comunale si è tenuto “un interessante incontro dedicato a un’approfondita indagine linguistica sui dialetti di confine tra Toscana, Umbria e Lazio“.
L’iniziativa, fa sapere ancora il comune, “rientra nel progetto del linguista e glottologo ed è stata condotta dal suo collaboratore Lorenzo Ballini, con la partecipazione della vicesindaca Valentina Frullini e di due chiusini doc Mauro Patrizi e Dino Lucioli, che hanno condiviso curiosità e sfumature del nostro parlato locale. Un lavoro prezioso che potrà contribuire, in futuro, a una migliore comprensione dell’area chianina senese e del suo naturale ‘incontro’ con la vicina zona umbra”.
Bene. Ci chiediamo se e come tale incontro sia stato pubblicizzato e se era prevista partecipazione di pubblico, perché non ne abbiamo visto traccia nei giorni precedenti.
Il tema poteva interessare anche qualche persona in più, oltre quelle che erano presenti (4) perché la lingua e i dialetti sono uno specchio “tangibile” di ciò che è una realtà territoriale e a Chiusi si parla un dialetto abbastanza particolare che meriterebbe a nostro avviso valutazioni approfondite, proprio per capire da dove deriva tale “parlata” e che tipo di “connesioni” abbia con altre di zone limitrofe e non solo.
A Chiusi si parla un dialetto che è chiaramente toscano, ma non è il classico dialetto toscano. A Chiusi non si aspira la c, per esempio, come avviene a Firenze, a Siena, o anche a Montalcino. A Chiusi si parla più o meno come a Montepulciano, a Chianciano, a Cetona, a Sarteano, a Torrita di Siena, ma non proprio uguale. E si parla in maniera diversa da Sinalunga che ha influssi aretini.
Anche il dialetto chiusino ha influssi esterni precisamente umbri e laziali, ma a Chiusi si parla diversamente da Città della Pieve (il dialetto umbro più vicino) e da Castiglione del Lago dove il dialetto locale mixa perugino, chiusino e aretino..
Ed è singolare che il dialetto chiusino trovi analogie forti e quasi totale identità, con quello di località non lontane, ma neanche vicinissime, certo meno vicine dei paesi della Valdichiana, come ad esempio alcuni comuni del grossetano, sia dell’Amiata (Santa Fiora, Castel del Piano e Arcidosso, dove si parla più come a Chiusi che come ad Abbadia San Salvatore o a Piancastagnaio), che della Maremma interna e della costa sud (Scansano, Manciano, Pitigliano, Sorano, Roccastrada, Capalbio) dove l’influenza senese è meno marcata rispetto allo stesso capoluogo Grosseto, o a Follonica, Castiglion della Pescaia, Massa Marittima.
Ed è singolare che il dialetto chiusino trovi corrispondenze, anche in alcuni termini specifici e particolari, addirittura più a nord, nell’area della lucchesia (Pietrasanta) e all’Isola d’Elba (Rio nell’Elba per esempio) o più a sud, in alcune zone dell’alto viterbese e della costa laziale (Montalto di Castro).
Reminiscenze dovute alla comune origine etrusca? Possibile. Ma è probabile che oltre l’antico ceppo comune, ci sia anche una questione legata all’appartenenza nel Medio Evo alla Repubblica di Siena, e poi a certi flussi migratori e ai lavori stagionali che portavano molte persone dalla Valdichiana alla Maremma e verso il mare e viceversa dalla Maremma verso Chiusi che è sempre stata un crocevia stradale e dalla metà dell’800 anche un approdo ferroviario rilevante nel centro Italia.
Certo, rimane un mistero il fatto che si parli diversamente tra Chiusi e Po’ Bandino o Moiano (rispettivamente 900 metti e 5 km di distanza) e si parli lo stesso dialetto a Chiusi e a Scansano (100 km). E che a Chiusi si parli come ad Arcidosso, ma non come ad Abbadia San Salvatore, che è nella stessa provincia. Ma è un mistero comune a molte realtà “di confine”.
Perché a Città della Pieve che fa parte della stessa diocesi di Perugia non si parla perugino? E nemmeno come a Paciano, a Piegaro o a Castiglione del Lago che sono ad un tiro di schioppo? E perché a Piazze che è una frazione di Cetona si parla un idioma diverso dal cetonese, dal chiusino, dal chianino in genere e anche dal pievese? Oppure, perché in Valdorcia, nel cuore delle terre di Siena non si parla come nelle Crete, poco distanti, e nemmeno come a Trequanda, Rapolano o Sinalunga?
Si dice che il miglior italiano si parli nella zona di Pienza-San Quirico d’Orcia. E forse è vero. Il Teatro Povero di Monticchiello (comune di Pienza) offre un paradigma abbastanza illuminante in tal senso. E si dice che il dialetto toscano con meno inflessioni toscane o toscaneggianti sia quello della zona di Chiusi che forse però è anche il più “contaminato” da quello del “romano” che fino all’Unità d’Italia era lì a due passi.
C’è un detto popolare che dice “parla come mangi”. Bene, a Chiusi si parla forse un po’ ibrido, ma si mangia toscano e soprattutto si mangia come in Maremma e sulle pendici dell’Amiata, con analogie pari a quelle del dialetto. Magari la “ribollita” viene chiamata “minestra di pane”, ma questo è un dettaglio.
m.l.










Non cambia da Sinalungaa ma da Torrita. A Torrita dicono come a Sinalunga Alò
Non sono del tutto convinto. Così a orecchio, il “chiusino” (se così si può definire, non essendo un vero e proprio dialetto quanto piuttosto un italiano con accento toscano sud est) mi somiglia decisamente più alla tipica parlata della Valdichiana senese, in particolare Chianciano, Sarteano e Montepulciano, anche Torrita e Sinalunga dove però è più forte l’ influenza senese. Ci vedo poi poco le similitudini con alcune zone del grossetano e ancor meno con Pietrasanta, dove sono stato tanto per lavoro e ho riscontrato accento marcatamente viareggino.
Assolutamente errato. A Sinalunga e Torrita non c’è influenza senese ma aretina. Lì dicono Alò.
Sono un po’ sorpreso nel leggere che certe parole della parlata chiusina rassomiglino a quelle di Pietrasanta,perchè la lucchesia è lontana ed in quelle zone l’influsso è quello appunto del viareggino ed anche del pisano in piccola parte, cosa molto diversa lo è per il livornese che ha un influsso ed una cadenza tutte proprie,come nelle zone limitrofe delle terre di Migliarino e dell’area lacustre di Massaciuccoli dove non si nota una grande differenza all’interno di quell’area col viareggino o con il massese, ma già il massese risente dallo spezzino, come invece la differenza del chiusino la si nota anche nelle terre di confine dell’aretino e del perugino. Il fatto poi che rimanga strano che Città della Pieve pur facendo parte della stessa diocesi di Perugia si parli diversamente,di sicuro l’appartenenza alla diocesi credo che nulla stia a significare nella differenziazione della parlata poichè la diocesi non segnava nè all’epoca nè adesso un terreno ben definito di gergo usato dal popolo. Ed è proprio per questo motivo che in paesi come Città della Pieve si riscontri una presenza di calata e di gergo che risente e proviene in parte dal romano o piutosto più dal Viterbese che dal romano stesso.Comunque sia la Toscana e soprattutto la bassa Toscana è un crogiuolo di cadenze diverse che solo un attento ascoltatore possa distinguere tanto per dire il castiglionese dal magionese(su questo mi riesce discretamente anche a me il riconoscimento ) mentre molto più difficile è il distinguere il campigiano dal signese o dall’empolese. E pur avendoci lavorato per più di 30 anni da quelle parti ancora oggi faccio molta fatica a distiguere tali diversità e spesso non mi riesce. Personalmente posso a mala pena distinguere il pratese dal fiorentino ma perchè tale distinzione è facile farla,ma solo perchè c’ho vissuto e lavorato da quelle parti,chiaramente se lo si chieda ad un emiliano o ad un lombardo per loro sono tutti fiorentini e la stessa cosa se un chiusino va in Lombardia e lo sentono parlare a primo impatto ti possono dire come mi è capitato che sei romano.
È più facile che un pievese venga scambiato per toscano. Io ho riscontrato analogie forti fra il chiusino e il dialetto maremmano, dell’Amiata grossetana, di alcuni paesi dell’Elba e anche di alcune zone della Lucchesia. Ho scritto Pietrasanta per intendersi, ma potevo dire Luni… Quando dico analogie mi riferisco all’inflessione, all’uso di certi termini identici, a ceti modi di dire, alle vocali aperte o chiuse… E anche alla diversità rispetto per esempio al toscano classico e al senese classico e anche al “chianino” e al “valdorciano”, idiomi simili e vicini al chiusino, ma non identici. Molte espressioni o parole non sono uguali. A Manciano, ad Arcidosso o a Scansano invece sì. Basta entrare in bar e ascoltare gli avventori… Anche in Umbria c’è un’area in cui si parla un dialetto molto diverso dal perugino e dal ternano e anche da altri dialetti umbri e più simile (non uguale) all’idioma chiusino. Non si tratta di un Comune confinante: si tratta di Marsciano che da Chiusi dista una cinquantina di km.
Si è vero tutto quello che dici ma mi riesce difficoltoso comprendere l’interazione che la storia abbia avuto in aree come per esempio tu specifichi al riguardo della rassomiglianza di Chiusi con Marsciano,che a veder bene dire ”rassomiglianza” non è cosa vera, ma se si volesse entrare caparbiamente nelle peculiarità dialettali, delle cadenze ma anche dei toni di voce con le quali si pronunciano le parole, le esternazioni, ci vorrebbe chiaramente una conoscenza pazzesca delle lingue, dei dialetti e soprattutto delle ragioni sulle quali la storia abbia giocato questi effetti che sono essenziali a capire. Perchè si tratta di storia e la storia su quanto ne è derivato alle popolazioni non è affatto casuale poichè tutto ha una spiegazione, anche su cose che sembrano a noi oggi non più esistere perchè ci appaiono lontane ed insignificanti e che non concorrano più alla formazione del pensiero. Ma ci vorrebbe una cultura infinita a sapere specificatamente certe cose e certi rapporti ed i perchè ed il come si siano dipanati. Credo che oggi non ci possa essere nessuno,nemmeno gli studiosi dell’Accademia della Crusca od anche di soggetti individuali, studiosi che per cultura e passione sappiano spiegare certe derivazioni. Ci vorrebbe una macchina del tempo ed una intelligenza artificiale accoppiata alla meccanica ondulatoria (si fa per dire e per ridere… ) che ci riportasse indietro nel tempo,ma per tanti aspetti, credo per i più grandi, se la fantasia applicata a tutto questo scoprisse i veli e le nebbie della storia , coloro che parlano per esempio che la donna derivi dalla costola di Adamo e con tutto quanto ne è conseguito, probabilmente sarebbe giusto che andassero al lavoro in fabbrica. E pensare che centinaia di generazioni in passato ci hanno creduto e si sono formate da questo anche le istanze politiche, spesso basate sulle menzogne che arrivano fino ad oggi ad interferire col mondo attuale.Mi ripeto, ma disse bene il mio amico Dr. Khalili quando disse che ” la più grande arma di distruzione di massa è l’ignoranza e se l’ignoranza è il problema la soluzione deve essere l’educazione”. E allora il problema è anche in chi l’educazione la veicoli affinchè si arrivi alla conoscenza. E allora si arriva alla determinazione seguendo questi discorsi e ricalcando lo slogan ”un altro mondo è possibile” che è cosa vera che sia possibile e gli aspetti ed anche la lotta per arrivare a questo credo che avrà nel tempo avanzamenti ed indietreggiamenti a seconda degli interessi che prendono forma all’interno di un sistema ”economico-socio economico e quindi politico e morale”. Ecco perchè la storia è il risultato di queste forze che si mischiano e si confondo intersecandosi fra loro ed il risultato siamo noi,tutti noi che aspiriamo ad un mondo migliore.Ho detto ”aspiriamo” poi la realtà per parecchi può essere diversa…Ed è per questo che la tendenza ideologica che vorrebbe prevalere oggi è quella di relegare in un angolo le ideologie poichè le detesta,dice ai quattro angoli del globo che se ne deve fare a meno ma nello stesso tempo sà benissimo e và dicendo che sono state le ideologie a produrre milioni di morti (cosa vera questa) ma guarda caso che questi signori non considerino che anche l’ideologia del capitalismo fatto a sistema sia una ideologia ma la collocano come una prassi attraverso la quale si espletano i bisogni umani e ci si ferma li, non si và oltre, perchè se andassimo oltre si scoprirebbe che questo si basa sulla convenienza individuale e sociale delle classi.ma c’è anche chi affermi che le classi non esistono più ed il bello è che faccia anche opinione diffusa. Ed il sistema entro il quale si formano certi bisogni e certe istanze e la dialettica storica intesa come contrasto dalla quale scaturiscono le novità sono però il frutto che nasce all’interno del sistema e questo non viene mai affermato nè dai media nè dai governi poichè essi stessi sono il frutto e la derivazione del sistema e questo non è un giuoco di parole. Chi lo afferma però mente sapendo di mentire. Ed in prima fila dei mentitori ce ne sono parecchi, anche coloro che spesso amano dirsi e ritenersi progressisti (figuriamoci i conservatori ….) ma parecchi di questi non hanno il coraggio delle proprie idee e se guardassimo bene al panorama odierno che ci stà intorno vedremmo che come dice un vecchio proverbio che :” parecchi si fermano troppo presto dopo i pensieri giusti.Da qui le grandi difficoltà che sono nel mondo”. Siamo arrivati partendo dalla omogeneità e diversità della lingue a toccare i ”massimi sistemi” ma personalmente credo che tutto sia intimamente legato e connesso per non dire sempre, in maniera inscindibile ma spesso la critica di insopportabilità di tanta gente in un mondo dove il pragmatismo funzionale ha preso il sopravvento ed aborrisce le idee e quindi di conseguenza logica e semplice anche gli ideali, la fa da padrone e molte persone oggi, spesso anche categorie di ”poveri” e di ” analfabeti funzionali”, cioè coloro che pur sapendo leggere e scrivere sono incapaci si usare tali facoltà per potersi orientare e comprendere le problematiche dalle quali sono circondati e che dovrebbero affrontare per migliorare se stessi e la comprensione con cio che relazionano.Ed è chiaro che il sistema dove viviamo purtroppo faccia nulla o poco per cambiare tale condizione perchè su questo speso ci campa e si rafforza perchè se tutte queste persone che in italia per esempio reale sono stimate essere il 35% della popolazione, fossero esenti da tali discrasie, formerebbero questi una massa critica che il sistema sarebbe costretto a comportarsi diversamente verso tutto e tutti. Ecco perchè invece anche nei tempi che viviamo il sistema pompa tale materia mettendo energie economiche e morali nella formazione di ostacoli verso la possibile risoluzione e superamento di tutto questo. E allora concludo questa mia elocubrazione logorroica col dire una massima appartente a F. Dostojevskij : ”Il segreto dell’esistenza umana non stà soltanto nel vivere, ma anche per sapere per che cosa si vive ”. In questa frase c’è contenuta l’idea per la quale si è degni di vivere.
Nella formazione dei dialetti e nelle analogie tra i dialetti credo che influiscano, come ho scritto nell’articolo molti fattori: i confini prima di tutto, quindi la contaminazione con aree limitrofe, ma anche i flussi legati ad antiche vie di comunicazione, le origini comuni e le comu i sovrapposizioni successive (etruschi, romani, longobardi…), le dominazioni più o meno durature (molti paesi della Repubblica di Siena, furono per decenni “occupati” da guarnigioni francesi per conto dei senesi, e sicuramente dei termini derivanti dal francese sono rimasti , in altre zone è successo con gli spagnoli), anche le Diocesi hanno avuto un peso: Città della Pieve è stata per secoli, fino al 1600 sotto la diocesi di Chiusi, e infatti alla Pieve si parla un dialetto più simile al chiusino che al perugino… Hanno pesato le signorie medievali e la presenza di conventi francescani o di altri ordini… e più tardi hanno pesato i processi migratori legati allo sviluppo economico. La lingua non è una cosa che cade dal cielo, al contrario è una questione molto materiale.
Mi trovi d’accordo pienamente.Nel mio ultimo intervento come al solito ho deviato verso la definizione dei dialetti rasentando ” i massimi sistemi” ma comunque credo che chiaramente il legame ci sia con questi ultimi e sia molto condizionante,perchè la storia è fatta sì di casualità che condizionano,ma anche allo stesso tempo di interessi che si dipanano. E spesso per non dire sempre anche i modi di espressione si mischiano risentendo delle macchie di leopardo entrando a far parte del gergo parlato.
Veramente un peccato che un’iniziativa così interessante non abbia coinvolto la popolazione e non sia stata pubblicizzata, detto senza troppo polemizzare nè incolpare nessuno.
Vivo in Umbria a c.ca 40 km da Chiusi e avrei partecipato molto volentieri perché quello dei dialetti -incluse le “parlate” locali- è un tema multidisciplinare con connessioni e implicazioni sorprendenti.
Se tra i commentatori ci fosse un esperto o anche solo appassionato di linguistica o dialettologia avrei piacere di sottoporgli alcune domande e riflessioni.
Per aumentare il caos nell’aver scoperto che il chianino di Chiusi ha somiglianze con il dialetto della lucchesia, vorrei aggiungere che nell’alto orvietano, dove io vivo, riscontro l’uso dell’espressione “Mira!” abbreviato poi in “Mì!” stante a significare “girati, guarda adesso prima che passi” e per estensione” “guarda che si vede/guarda che è successo”, esattamente come ho sentito dire solamente (per adesso, almeno), in quel di Pisa.
L’espressione “mira”, abbreviato in “mì'” per dire “guarda”, si ritrova anche nel dialetto chiusino e degli immediati dintorni, lato Valdichiana.
Non ricordo di averlo mai sentito dire nel senese o altrove che nel pisano, forse per quella sorta di “contegno” che subentra nel parlare con uno che si percepisce come forestiero. Quindi il “mì!” è meno esotico di come immaginassi.
Noto da parte vostra dei commenti interessanti e puntuali e mi chiedevo se anche a voi, visto che apparteniamo a un’area geografica e culturale più simile che diversa, capita di provare un moto di orgoglio e rivincita quando un settentrionale o meridionale ride di un termine caratteristico della nostra zona salvo poi scoprire che non essere puramente dialettale ma anche e soprattutto appartenente ad un italiano antico e scomparso, sostituito da altro.
Gli esempi potrebbero essere tantissimi ma in questo momento mi ricordo in particolare di un mio collega fiorentino trasferito nella mia zona, che non riusciva a trattenere una risata nel sentire i locali storpiare la seconda persona del verbo salire da “sali” a “salisci”.
Ricordo divertito quando, vocabolario alla mano, gli feci notare che “salisci” è una forma ottocentesca del fiorentino abbandonata -probabilmente- come è successo a “novo” sostituito da “nuovo” preferito dal Manzoni per “I promessi sposi”.
Un’opera che ridettò e ridefinì i riferimento dell’italiano moderno che parliamo adesso.
Anzi, per, adesso.