COME E COSA MANGIAVANO E BEVEVANO GLI ETRUSCHI? UN BEL MISTERO
CHIUSI – Interessante e godibile incontro, ieri sera, davanti al Museo Nazionale Archeologico di Chiusi, location non casuale, perchè si parlava di cosa e come mangiavano gli etruschi. E anche di cosa bevevano. Ne hanno parlato l’assessore alla cultura del Comune Mattia Bischeri, il direttpre del Museo, Dott. Fabrizio Vallelonga e Giorgio Franchetti autore del libro “A tavola con gli etruschi”, il quale per rendere meglio l’atmosfera e i concetti si è avvalso della partecipazione di due musici, con strumenti etruschi e di una archeocuoca (Cristina Conte) che ha preparato degli assaggi di cucina “alla etrusca”. Alla etrusca, non etrusca, perché sia Vallelonga che Franchetti hanno spiegato che di cosa mangiassero e di come cucinassero gli etruschi si sa davvero poco, se non nulla. Però qualcosa si può intuire, desumendo dai reperti fossili trovati nelle tombe e negli insediamenti abitativi (ossa di animali, semi, anfore con tracce vino e altro) e soprattutto dalle pitture e dalle ceramiche dipinte che in molti casi raffigurano proprio dei banchetti, o scene di caccia e di preparazione del cibo. Pitture in cui si riconoscono facilmente uova, pollame e animali da cortile, maiali, cinghiali, cervi, prima cacciati e poi messi allo spiedo e anche uva e vino…
Alcuni di questi ingredienti avevano significati religiosi. L’uovo per esempio rappresentava la “rinascita” e per questo si trova spesso nelle pitture finerarie. 
Uno degli assaggi proposti è stato desunto proprio da una pittura funeraria: un composto di castagne e cipolle, due prodotti che nel territorio dell’Etruria sono ancora oggi molto presenti. Un coltivatore aretino ha parlato del suo tentativo, eroico, lo potremmo definire, di produrre vino con gli stessi metodi arcaici usati dagli etruschi (tipo l’invecchiamento in anfore poste sotto terra) e con l’uso di vitigni antichi recuperati e mixati, come del resto avveniva fino a non molto tempo fa nelle famiglie contadine e mezzadrili, non ancora strutturate come “industrie agricole”. Il vino si faceva con l’uva che c’era. Cercando di trarre da ogni vitigno, attraverso il dosaggio, le giuste caatteristiche.
A sostegno delle digressioni sul cibo degli etruschi, Giorgio Franchetti ha utinizzato diapositive con immagini dei banchetti e delle scene di caccia o di cucina presenti in moti siti archeologici. E ne ha citati a decine, da Perugia, ad Orvieto, da Tarquinia a Populonia, perfino alcuni nella zona di Mantova e in Emilia Romagna… ma alla fine dell’esposizione – conclusa dallo stesso Franchetti che ha cantato accompagandosi con una cetra un brano in greco antico, traduzione musicale di un epitaffio – ai presenti sarà venuto un dubbio: ma gli etruschi di Chiusi, che non erano proprio gli ultimi della fila, mangiavano anche loro come gli altri, oppure no? Perché l’autore del libro “A tavola con gli Etruschi” ne ha citati parecchi tra pitture e reperti da cui ha desunto le informaziomni necessarie, in varie parti d’Italia, ma di Chiusi neanche l’ombra. Eppure anche nella chiusina Tomba del Colle sono raffigurate scene di banchetto.. Altre sono presenti in vari reperti del Museo.
Una cosa che invece Franchetti ha a più riprese sottolineato è la presenza e la “posizione sociale” delle donne, nella civiltà e anche nelle pitture e nei bassorilievi etruschi. Una posizione “paritaria” rispetto agli uomini e non di secondo piano, cosa questa non riscontrabile tra i greci nè, più tardi, tra i Romani. E questo atteggiamento “liberal” dei nostri antenati è, anche oggi, una cosa di cui andare orgogliosi.
Ha sfatato Franchetti anche la convinzione che l’uso del vino nei banchetti rituali, ma forse anche nell’alimentazione quotidiana, gli etruschi lo abbiano appreso dai greci, spiegando che in realtà in Etruria la vite si coltivava e si produceva vino, molto prima…
Del resto è noto che nelle Grotte preistoriche di Belverde, vicino a Cetona, sono state ritrovate tracce di produzione di una bevanda fermentata che somigliava alla birra… Quindi è assai probabile che anche il vino, prodotto dalla spremitura dell’uva, abbia una genesi molto antica… Ci ha spiegato Franchetti che gli Etruschi, considerati dai greci dei pirati, erano arrivati fino in nord Europa… 
Che poi Etruschi e Romani fossero usi a mangiare la cacciagione e quindi animali selvatici, ce lo dicono anche due reperti custoditi nel museo nazionale: uno strano otre di coccio bucato che pare servisse per tenerci dentro a ingrassare un ghiro che poi sarebbe stato cucinato, e un mosaico con una scena di caccia al cinghiale con lance, archi e asce… Che fine avrebbe fatto quel cinghiale è facilmente immaginabile. Al “buglione” probabilmene no, perché etruschi e romani nn conoscevano il pomodoro, ma allo spiedo magari sì. Alla Taverna del Barbacane del Terziere Casalino a Città della Pieve, che è ad un tiro di schioppo, dopo più di 2000 anni, ancora lo fanno. E non è da disprezzare.
Però, alla fine dei conti e della serata, la cosa che è emersa più chiaramente è che gli etruschi non hanno lasciato e tramandato ricette. Su cosa mangiavano e come preparavano i cibi possiamo fare solo congetture. Possiamo immaginare, ipotizzare, ma senza certezze. Per esempio il piatto più tipico della cucina chiusina, il “brustico” (pesce di lago “abbrustolito” su fiamma viva di canna, sfilettato e condito con olio sale, pepe e limone) è una pietanza in uso anche al tempo degli eruschi, coe si legge in qualche guida? Non si sa e non lo sapremo mai. In compenso sappiamo che è buono.
M.L.









