CHIUSI: AL MASCAGNI IL GEMELLAGGIO CULTURALE CON DESENZANO E UNA BELLA SERATA LETTERARIA ALLA (RI)SCOPERTA DELLA SCRITTRICE ANNA MARIA ORTESE
CHIUSI – “A Chiusi non c’è mai niente” è un mantra che si sente spesso, anche tra la gente che passeggia. Non è esattamente così. Anzi, spesso il problema è inverso: e cioè che le cose che ci sono, sono in contemporanea, quindi o ne segui una o ne segui un’altra. Ieri sera, per esempio, al Teatro Mascagni è andata in scena l’anteprima dello spettacolo “Like a lake”, frutto del gemellaggio artistico con la Scuola di Musica di Desenzano del Garda. Diretti da “I Macchiati” (Irene Bonzi e Alessandro Manzini) gli allievi hanno raccontato una storia con un elemento comune: il lago, elemento caratterizzante di entrambe le città. In realtà gli allievi dei Macchiati, un bel gruppo di circa 60 partecipanti, tra adulti, giovani e bambini, hanno raccontato la metà della storia, l’altra metà la racconteranno sabato prossimo a Desenzano. Un progetto che prosegue da tre anni nella direzione dello scambio culturale tra territori diversi che conferma ancora una volta la forza e la genialità artistica della coppia Bonzi-Manzini e conf erma anche che la “scuola di teatro” è una cosa che funziona e dà pure dei frutti buoni.
In contemporanea, sempre ieri sera, presso l’Atelier “Punto di fuga” di Roberta Betti, in via Porsenna, lo scrittore e saggista fiorentino di nascita, ma senese d’adozione Francesco Ricci ha presentato il suo saggio “Sta per finire l’umano”, una sorta di vademecum tascabile per scoprire o meglio riscoprire la figura, l’opera e il pensiero di Anna Maria Ortese, scrittrice tra le più rilevanti del ‘900, che però ha avuto meno fortuna di quanta ne meritasse. Vinse sì un Premio Strega nel 1967 con Poveri e semplici, e un “Viareggio”, la Ortese, ma rimase sempre ai margini del jet set letterario e dei salotti buoni della cultura italiana.
Francesco Ricci, intervistato dalla nostra Paola Margheriti, ha raccontato con precisione e dovizia di particolari la vita nomade e tribolata della scrittrice, segnata anche da lutti e tragedie familiari e da una precarietà economica, da cui di fatto non riuscì mai ad affrancarsi, fino a dover far ricorso grazie all’interessamento dell’amico poeta Dario Bellezza e della scrittrice Adele Cambria alla Legge Bacchelli, per il sostentamento degli artisti; ha parlato dei suoi libri e di un pensiero complesso di una autrice autodidatta e per nulla accademica, che sia nel primo dopoguerra (negli anni ’30), sia soprattutto nel secondo affrontò temi cruciali con un approccio filosofico particolare e per molti versi già avanti sui tempi. La Ortese nei suoi libri parla di globalizzazione prima della globalizzazione, di migrazioni, della tendenza dell’umanità a farsi del male e a fare del male al pianeta, parla della ferocia del capitalismo e degli errori e di certi orrori della cultura materialista e marxista, parla di come siano cambiate e cambiano le città e anche le persone… (e lo fa prima dell’esplosione dei social media… e in tempi in cui ancora ci si informava leggendo il giornale la mattina).
Ha raccontato, Ricci, anche della adesione di Anna Maria Ortese al Partito Comunista e del rapporto non facile con l’establishment del partito per la sua critica al comunismo realizzato in Unione Sovietica dopo una visita con una delegazione di donne del Pci, soffermandosi anche sulla polemica feroce, scatenata dal settimanale culturale del Pci Rinascita sul suo romanzo Il Mare non bagna Napoli, con cui vinse il Premio Viareggio nel ’53. Polemica che portò pure alla rottura della Ortese con il gruppo di scrittori, giornalisti, intellettuali raccolti intorno alla rivista Sud, che ella stessa frequentava, fucina del pensiero meridionalista progressista napoletano (ne facevano parte tra gli altri Raffaele La Capria, Luigi Compagnone, Giuseppe Patroni Griffi, Rocco Scotellaro, Ennio Mastrostefano, Domenico Rea, Francesco Rosi, Luigi Prunas). Non solo il Pci, ancora dogmatico e stalinista, ma anche l’intellighentia di sinistra, ma non necessariamente comunista, mal digerì quella sua rappresentazione cruda e impietosa della Napoli del dopoguerra, dove il sesso mercenario era l’unica fonte di sostentamento, ma anche dei circoli culturali napoletani dei quali mise in luce le molte miserie e le poche nobiltà…
Povera ai limiti dell’indigenza, mantenuta dalla sorella impiegata delle Poste, scrittrice non catalogabile con etichette facili, comunista convinta, ma mai irreggimentata nella letteratura militante della seconda metà del ‘900, Anna Maria Ortese è emersa dalla presentazione di Francesco Ricci (e dal suo “manuale d’uso”) come una figura da rileggere, da rivalutare, come una scrittrice feconda e di grande impatto, cui toccò una sorte purtroppo comune anche ad altri scrittori “non allineati” vedi lo stesso Pasolini, o Pavese, o anche per certi versi Cassola, Bianciardi e Ottiero Ottieri: la sorte di non essere osannati, anzi di essere perfino guardati con sospetto, osteggiati, tenuti in disparte, a distanza magari solo perché dubbiosi sul modernismo, sulle magnifiche sorti e progressive della tecnologia e dell’industrialismo.
E quella uscita finale, l’anno prima della morte, con cui la Ortese, con un appello pubblicato su Il Giornale di Montanelli, nel 1997, chiedeva l’assoluzione per Erich Priebke, il criminale nazista boia delle Fosse Ardeatine che in quel peroiodo doveva affontare un nuovo processo, Ricci l’ha catalogata come un tentativo estremo di trovare un quarto d’ora di visibilità, quella visibilità, che con i libri, sia pure bellissimi, non era mai riuscita ad avere, rimanendo sempre in un immeritato cono d’ombra. Uno scivolone forse dettato anche da una malintesa umana pietà, che fece certamnete discutere e incazzare molti, ma non cancella minimamente il valore di libri come Poveri e semplici, come Il mare non bagna Napoli, L’iguana, Il porto di Toledo, Il Cardillo addolorato, Alonso e i visionari… testi in cui il realismo tragico si fonde spesso con la fiaba e sconfina nella filosofia, nella critica sociale e civile e nel disincanto politico.
Anna Maria Ortese era nata nel 1914 ed è morta nel 1998, ha attraversato tutto il ‘900, dalla Grande Guerra,al Fascismo con la conquista dei territori d’oltre mare (visse anche in Libia), al secondo conflitto mondiale fino alla ricostruzione, al boom economico, al sorgere delle prime sensibilità ecologiste… Apparentemente una donna e una scrittrice di altri tempi, in realtà una scrittrice dei nostri tempi, in anticipo sui suoi.
Insomma una bella serata, una piacevolissima disquisizione storico-letteraria, di quelle che fanno bene allo spirito. E parlare di libri e scrittori, in un atelier pieno di quadri e altri oggetti d’arte è ancora più piacevole.
m.l.









