CHIUSI, I TIR CHE ENTRANO ED ESCONO DALLA LODOVICHI VANNO TOLTI DALL’ABITATO. LA CITTADINANZA NON NE PUO’ PIU’

mercoledì 05th, marzo 2025 / 16:34
CHIUSI, I TIR CHE ENTRANO ED ESCONO DALLA LODOVICHI VANNO TOLTI DALL’ABITATO. LA CITTADINANZA NON NE PUO’ PIU’
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CHIUSI –  Ieri martedì 4 marzo, poco dopo l’ora di pranzo un Tir in uscita dalla Lodochi spa carico di traversine ferroviarie è rimasto “incagliato” diversi minuti all’incrocio tra via Manzoni e via Cassia Aurelia a causa di un’auto parcheggiata male. Non riusciva a curvare e passare. Capita abbastanza di frequente. Per altri automobilisti, per i pedoni, per gli avventori di un bar e di un ristorante che si trovano proprio lì, sulla curva, quando capita una cosa del genere è un problema: vibrazioni, gas di scarico, rumore, clacson, ritardi a lavoro o ad appuntamenti, bestemmie a go-go ecc… Qualcuno quando poi la vicenda si sblocca, passando davanti alla chiesa, poco più avanti, si fa il segno della croce, per redimere i peccati e le bestemmie di cui sopra all’indirizzo di santi incolpevoli. Ma il problema principale non sono gli “incagli” dei tir. Quelli sono il meno, diciamo. Il nodo è il numero dei TIR in entrata e uscita dalla fabbrica delle traversine. Si va dai 50, nei giorni più tranquilli, agli 80 al giorno. Nelle 8 ore di lavoro o poco più, perché qualche mezzo che magari arriva tardi rimane anche la notte in via Manzoni e aspetta lì la riapertura dei cancelli.

Via Manzoni, per chi non fosse di Chiusi, è una strada urbana di Chiusi Scalo, così come lo è via Cassia Aurelia (tratto urbano della SR 146 che da Po’ Bandino arriva alla Cassia a San Quirico d’Orcia, solo in parte bypassabile con il cavalcaferrovia realizzato nel 1986). La Lodovichi Spa è ubicata infatti in fondo ad una strada abitata, quella dove  si trovano gli storici “palazzi dei ferrovieri” e l’ex dormitorio FS, un quartiere che negli anni ’20-30 del ‘900 fu pensato proprio per i lavoratori delle ferrovie, che però via via si è allargato e popolato. Da qualche anno in via Francesco Redi, traversa di via Manzoni, c’è anche il Centro Medico della Misericordia, con gli ambulatori di medici di base e specialisti, frequentati da centinaia di persone al giorno. Ci passa anche il bus urbano oltre ai Tir da e per la Lodovichi. Per accedere alla fabbrica delle traversine quella è l’unica via, non ce ne sono altre.

Su un articolo di qualche giorno fa parlavamo di una iniziativa del Comitato Opzione Zero, quello che si batte per la valorizzazione della stazione e contro ogni ipotesi di stazione in linea. Dicevamo in quell’articolo che il Comitato aveva messo all’ordine del giorno il rilancio dell’idea di un Centro Intermodale Merci (come tassello per rilanciare anche il ruolo della stazione) e l’annosa questione appunto dei Tir che entrano ed escono vuoti e pieni dalla Lodovichi. Non solo quelli carichi di traverse, ma anche quelli scarichi e quelli che portano all’azienda le materie prime (cemento e ferro) e quant’altro serva alla produzione. Insomma il problema non è più ignorabile e una soluzione, in un modo o nell’altro, va trovata.

Tra l’altro che il transito dei mezzi pesanti verso la Lodovichi sia anche una delle cause del frequente dissesto delle strade in questione è certificato da un atto amministrativo del Comune che all’inizio della legislatura Bettollini (nel 2017) impose all’azienda di compartecipare alla spesa per il rifacimento dell’asfaltatura e di alcuni sottoservizi danneggiati.  Il problema dei Tir emerse già nel corso di ben tre processi giudiziari che l’azienda stessa intentò nel 1994 contro questo giornale e prima, nel 1989, contro L’Unità e Nuovo Corriere Senese, per articoli che sollevavano il tema dell’inquinamento da Creosoto (sostanza cancerogena usata all’epoca per il bagno delle traversine in legno e vietata in alcuni Paesi europei) possibile causa di morti da tumore e malattie gravi sia tra i lavoratori che tra la popolazione chiusina, soprattutto quella dei quartieri più vicini. Inquinamento dovuto alle esalazioni della fabbrica ma anche al passaggio di tir carichi di quelle traversine con l’odore di catrame che si spargeva per tutto il paese. I tre processi si conclusero tutti con l’assoluzione piena dei giornali e dell’autore degli articoli (il sottoscritto e la Lodovichi dovette cambiare sostanza per bagnare e impregnare le traversine in legno, via via sostituite, ma non del tutto, da quelle in cemento.

Già allora si parlava della necessità di una strada alternativa per i mezzi pesanti. Ed erano pochi, perché a quel tempo gran parte del materiale entrava ed usciva via treno, attraverso un binario di carico e scarico che entrava direttamente nel piazzale dell’azienda e finiva sotto un carroponte, che c’è ancora. Qualcuno ricorda che anche alcuni autocarri entravano nel piazzale sui vagoni ferroviari. A partire dai primi anni 2000 però, probabilmente anche per scelte delle Fs e non solo dell’azienda chiusina, il trasporto delle traversine e delle materie prime si è via via spostato dal binario agli autoarticolati. Il braccetto ferroviario della Lodovichi è andato pertanto in disuso. I Tir in transito per il centro abitato di Chiusi Scalo si sono moltiplicati.

La situazione oggi è insostenibile. Quali possono essere le soluzioni? Non sta a noi dirlo, non siamo tecnici. Ma nel corso degli anni qualcuna l’abbiamo indicata, lasciando ovviamente ai tecnici il vaglio della fattibilità. Ma far finta che il problema non sussista non pò essere la soluzione giusta. Anzi a questo punto diventa un’aggravante.

  1. E’ possibile ipotizzare e realizzare una strada di accesso anche solo per i mezzi pesanti da e per la Lodovichi? c’è lo spazio sufficiente? Una ipotesi del genere fu messa sul tappeto quando fu realizzato il cavalcaferrovia (inaugurato nel 1986) e anche successivamente, quando è stata realizzata la variante tutta umbra di Po’ Bandino e la prosecuzione verso la strada di Fondovalle, direzione Fabro. Non se ne fece niente però. Sia dalla Variante di Po’ Bandino che dal Cavalcaferrovia, per entrare alla Lodovichi Spa, occorrerebbe superare la ferrovia. Nella zona corrono la linea lenta Firenze-Roma con la curva sotto alla collina de Le Coste tra Chiusi Scalo e Moiano e anche la linea di Siena-Interconnessione con la Direttisima Chiusi-Montallese. Per di più quella zona è attraversata da un corso d’acqua, il canale di Bonifica detto Chianetta, ed è soggetta ad allagamenti e ristagno d’acqua quando piove un po’ più forte del normale.  In sostanza l’opera sarebbe fattibile, ma non semplicissima e richiederebbe una spesa probabilmente consistente. Chi metterebbe i soldi dato che trattasi anche di zona di confine tra comuni, province e regioni diverse?
  2. Per altri accessi dalla parte di Chiusi Scalo pare non esserci lo spazio sufficiente. Un accesso dalla zona de Le Torri, con adeguamento della strada attualmente sterrata che costeggia il sentiero della bonifica, i vivai Margheriti  e il canale Montelungo potrebe essere un’opzione, ma è impensabile che le strade attuali che dalle Torri portano a Chiusi città o a Vaiano-Villastrada, nel comne di Castiglione del Lago, siano strade per Tir come quelli che entrano ed escono dalla Lodovichi.
  3. L’opzione più percorribile e certamente meno impattante dal punto di vista delle opere da realizzare, sarebbe la riattivazione del braccio ferroviario. Un ritorno alle origini. Tanto più che i materiali da trasportare sono materiale ferroviario (le traversine) che anche come destinazione hanno cantieri ferroviari e ferrovie in manutenzione.  Se il trasporto delle traversine non potesse prescindere dall’uso dei TIR, allora oltre il braccio ferroviario dedicato servirebbe un terminal per il carico e lo scarico, fuori dall’abitato.

E qui le opzioni possono essere più d’una: 3a) un piazzale privato, attrezzato dell’azienda stessa, magari in zona industriale, collegato al binario per movimentare le traversine o direttamente i TIR carichi e scarichi per evitare l’attraversamento dell’abitato. Come avviene per esempio al Brennero dove i Tir entrano in Austria solo su treno. La Lodovichi possiede terreni e capannoni nell’area produttiva Cardete, in territorio pievese, ma contigua a quella chiusina delle Biffe a pochissima distanza dalla ferrovia.

3B) il Centro Intermodale Merci, pubblico o pubblico-privato, sempre collegato al binario dedicato della Lodovichi, per lo scambio gomma-rotaia e viceversa e sempre in zona industriale, con i Tir che arrivano lì, caricano o scaricano e ripartono. A questo proposito vale la pena ricordare che quando negli anni ’80 fu pensato e progettato il Centro Merci avviato a costruzione e abbandonato incompiuto nel 2008, la questione Tir della Lodovichi era ben presente ed era uno dei punti cardine a sostegno della necessità dell’opera, non solo per evitare il transito nel centro del paese, ma anche per la quantità dei mezzi e la mole di materiale da movimentare. E questo vale probabilmente anche adesso. Ovviamente il Centro Intermodale non servirebbe solo la Lodovichi.

Che differenza c’è tra l’opzione 3A e l’opzione 3B? che la prima sarebbe tutta a carico dell’azienda stessa, mentre la seconda sarebbe una infrastruttura pubblica, magari intercomunale e interregionale, legata alla stazione ferroviaria e verrebbe realizzata e poi gestita come tale. Non sarebbe dunque la Lodovichi (o non solo la Lodovichi) a doversene fare carico.

A dimostrazione del fatto che queste due ultime opzioni non siano impossibili da realizzare, possiamo prendere ad esempio l’Interporto Etrusco, azienda privata, costruita a ridosso dell’area che avrebbe dovuto ospitare il Centro Intermodale Merci pubblico, cui si accede dalla bretella Po’ Bandino-Fondovalle: quel complesso che ha anche l’eliporto, è dotata di un braccetto ferroviario che non è mai stato connesso con la linea Fs, perché non è stato mai messo in funzione, ma è lì, e se c’è, vuol dire che si può fare. L’azienda De Luca proprietaria dell’Interporto Etrusco aveva acquistato a suo tempo (2014-15) anche un piccolo locomotore di servizio.

Tutto questo per dire che di soluzioni se ne possono trovare. I tecnici, le amministrazioni comunali, le associazioni imprenditoriali, i sindacati che sono più bravi di noi, ne avranno anche di migliori. L’azienda Lodovichi dal canto suo avrà le proprie idee. Crediamo sia l’ora di tirarle fuori e metterle sul tavolo, darsi (e dare alla Lodovichi) un tempo definito entro il quale il problema va risolto. Senza ulteriori indugi. Perché – è bene ricordare anche questo – i Tir che vanno e vengono da quell’azienda lo fanno in deroga ad una ordinanza che vieta il passaggio di camion nel centro abitato. Tutti gli altri mezzi pesanti in transito verso Chiusi provenienti ad esempio dal casello A1, all’altezza della rotatoria della “Casa cantoniera” debbono deviare in direzione Cetona, non possono proseguire sulla 146 e non possono entrare in paese. Stessa cosa per quelli che arrivano dal lato Cetona. Che tempi si possono ipotizzare per individuare una soluzione? Secondo noi non oltre la scadenza del mandato di Sonnini, primavera 2027. Se si comincia a parlarne ci si può fare.

La Lodovichi è un’impresa importante, di livello nazionale, probabilmente la più rilevante rimasta a Chiusi. Occupa decine di lavoratori, fattura milioni di euro, produce reddito che poi ricade sul territorio, porta pure il nome di Chiusi in giro per l’Italia e non solo. Dunque va salvaguardata. Ma ciò non può avvenire non salvaguardando anche la salute e la sicurezza della popolazione che da decenni sopporta disagi, danni e rischi; creando problemi alla circolazione stradale e ad altre imprese che operano nella zona attraversata dai tir.

Una cosa è certa: la cittadinanza non ne può più. A chi spetta prendere l’iniziativa e provare a mettere tutti gli “attori” e tutti gli “interessi” di questa faccenda intorno ad un tavolo? Potrebbe farlo il Comune di Chiusi, coinvolgendo magari anche i comuni confinanti, a partire da Città della Pieve e l’azienda.  Potrebbe anche farlo il Comitato Opzione Zero o una associazione imprenditoriale (la Confindustria cui la Lodovichi sarà senz’altro iscritta). Potrebbe farlo forse l’Unione dei Comuni della Valdichiana. L’importante è che qualcuno lo faccia. Più la cosa assumerà i crismi istituzionali, meglio sarà. L’esasperazione dei cittadini è forte. In questi casi è più proficuo affrontare il problema, discutere le possibili soluzioni, senza aspettare che deflagri la protesta.

m.l.

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