E DRUSILLA INCANTO’ IL MASCAGNI CON LA SUA VENERE FUSTIGATRICE DELLE MISERIE UMANE

CHIUSI -Domenica 9 febbraio il Genius Loci del teatro Mascagni si è assolutamente saziato di comicità e bellezza.
Qui dalla redazione, con la recensione in fase di stesura, ci piace pensarlo ancora ben desto, a teatro chiuso con le luci spente insieme a Venere scalza che, seduti sul parterre in prima fila, se la ridono e brindano alle nostre miserie umane.
Grande serata davvero!
Novanta minuti di notevole prosa dove fiaba e mito, poesia e sentimenti si sono intersecati accompagnati da una musica scelta che calza a pennello con le vivaci dinamiche della pièce.
Venere Nemica (spettacolo scritto da Gianluca Gori/Drusilla Foer e Giancarlo Marinelli), con Drusilla Foer ed Elena Talenti, per la regia di Dimitri Milopulos, ha proiettato il pubblico dentro una sorta di Olimpo terreno, elegante e stiloso, abitato dalla dea Venere e dalla sua inseparabile cameriera.
Stufa di muoversi nell’umido delle acque, circondata dai suoi parenti livorosi e volubili, Venere decide di abbandonare la comfortzone propria della dimora degli dei per scendere tra gli umani e sceglie Parigi come suo locus vivere.
La dea si presenta al pubblico come un soggettino piuttosto tormentato e civettuolo, non facile da gestire per nessuno; irascibile e poco incline all’essere contraddetta Venere sputa fuori verità assolute senza andare troppo per il sottile e senza guardare in faccia a nessuno.
La vicenda trae ispirazione dalla favola di Apuleio Amore e Psiche, nella quale lo scrittore, sacerdote, filosofo e mago dell’antica Roma narra che Psiche, ragazza bellissima, aveva suscitato l’ira e la gelosia di Venere poiché suo figlio Amore, ingaggiato da lei per far innamorare Psiche di un uomo brutto e vecchio, se ne era a sua volta innamorato.
La divina madre, portatasi dietro per millenni la bruciatura del tradimento, è il deus ex machina dal quale emerge tutta la prospettiva delle pièce.
Venere fa della sua casa parigina la dimora perfetta per rievocare il tradimento da parte del figlio accaduto millenni fa e utilizza l’arma della vanità per comunicare ai mortali il motivo della sua ira, raccontando esattamente come sono andate le cose tra lei e Psiche.
Nei suoi monologhi Drusilla Foer declina abilmente antico e moderno, classicismo e contemporaneità, trattando temi relativi alle pochezze umane come l’eterna diatriba tra suocera e nuora, la decadenza della bellezza, l’attaccamento materno nei confronti dei figli, la secolare discordanza tra uomini e dei.
Si sofferma anche a riflettere sull’ego, quel vermicello dell’anima a causa del quale l’uomo fa del suo peggio.
L’io umano danneggia quasi sempre con profonda fierezza, spinge alla disonestà, incita a nuocere al prossimo e finisce per devastare la vita di ognuno. Immancabile l’intento didascalico del teatro quindi, la sua funzione intrinseca, che è quella di ammonire, educare, risvegliare le coscienze. Attraverso la querelle di Venere infatti siamo tutti chiamati in causa, uomini e dei, sacro e profano.
La rabbia, il dolore, l’orgoglio, la brama di riscatto, l’amore materno che torna ad accogliere e curare le ferite dell’anima, si cristallizzano in un’unica figura che tutto può e tutto sa, controllando gli eventi dall’alto.
Venere pensa, decide, trama, chiama le altre divinità al telefono affinché l’aiutino a concretizzare i suoi piani: Atena, Marte, Giove, Giunone, tutti ai suoi ordini, tutti al suo cospetto, lei è sempre stata la sua unica priorità.
Intanto, nella notte dei tempi, dopo un allontanamento e poi un ritorno, amore e Psiche si sposano ma la loro passione, al pari di quella dei mortali si consuma e si dissolve.
“Fino ad un po’ fui felice”dice Psiche, “fino a che non cominciai ad auspicare ad un amore umano”.
Comprendiamo dunque che il ti amerò per sempre è una formula che non funziona troppo nemmeno nell’Olimpo limpido e candido.
La noia, illegittima alleata del tempo, scaraventa tutti sul baratro, persino gli dei.
Umani e immortali, una dicotomia che attraversa la Storia ed è racchiusa nel sigillo dei tempi, nella quale è possibile riconoscere divergenze e affinità.
Gli dei così lontani e perfetti; i mortali così finiti e manchevoli, differiscono dai primi perché dotati di quella scintilla sacra chiamata vita che fa acquistare senso e valore a tutto proprio perché intrisa di finitudine. Venere invidia gli umani proprio per questo, per la possibilità che hanno di giocarsi tutto in una manciata di decenni. In questo lasso di tempo essi amano, odiano, costruiscono e distruggono animati da quella bramosia di vivere che ha soltanto chi sa di dover morire.
Psiche, da sempre odiata e contrastata, nel momento della pièce vive con Venere sulla Terra facendole da cameriera, unita nel bene e nel meno bene a colei che le aveva fatto tanto male; entrambe sono lo specchio delle nostre mancanze e delle nostre frivolezze ma anche della nostra forza e della nostra capacità di amare.
C’erano una volta…, inizia così la favola di Apuleio, ma forse chissà ci sono ancora, uomini e dei, entità imbrigliate nell’eterna giostra del tempo, chiamati a vivere e a morire in quell’attimo esatto che intercorre tra una pennellata di fard ed un tocco di rossetto.
Inattaccabile Gianluca Gori con la sua Venere nemica.
Standing Ovation per Foer e Talenti.
Il Mascagni estasiato, ricorderà a lungo il passaggio di Venere e della sua Psiche. Che poi i teatri si riempiano fino al massimo della capienza possibile (ed è cosa rara) se sul palco c’è un volto televisivo è un altro discorso che porterebbe lontano. Chissà che Drusilla Foer non ci pensi per un prossimo spettacolo…
Paola Margheriti