CHIUSI SCALO, LA VECCHIA FORNACE DA LUOGO DELLA MEMORIA A OPPORTUNITA’ PER UN NUOVO INIZIO

martedì 10th, settembre 2024 / 15:54
CHIUSI SCALO, LA VECCHIA FORNACE DA LUOGO DELLA MEMORIA A OPPORTUNITA’ PER UN NUOVO INIZIO
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CHIUSI SCALO – Io alla Fornace praticamente ci sono nato. E ci ho vissuto a lungo. Andai ad abitare nelle case popolari a ridosso della fabbrica dei mattoni nel 1959, avevo 3 anni. Poi vi ho passato tutta l’infanzia, l’adolescenza e ho continuato a frequentare quel palazzo e quella zona finché hanno vissuto i miei.

Io me la ricordo la fornace, quando ancora era in funzione. Ricordo il piazzale pieno di mattoni e “forati” accatastati. Ricordo bene gli operai in canottiera e sandali che spingevano le carrette. Ricordo che ci lavoravano anche le donne. Quasi tutte vestite di nero. Ricordo il trenino coi carrelli tipo miniera che portava le argille dalla cava. Ricordo le mine che scoppiavano.  E il suono della sirena a mezzogiorno, all’una e alle 5 del pomeriggio. Un richiamo che segnava il tempo e ci diceva (anche a noi ragazzi di quella via Pal che era via Oslavia) che era l’ora di andare a mangiare o a fare i compiti. Ricordo il via vai di camion che portavano la terra,  la scaricavano nella cava… ricordo quelli che uscivano carichi di mattoni. Era una processione, ne passavano decine e decine al giorno e per noi sche scorrazzavamo in bicicletta o giocavamo a pallone in mezzo alla strada erano una bella rottura di coglioni. E un pericolo costante. Ce n’era uno verde, più grosso di tutti, con il motore avanzato davanti, tipo quello del film “Duel” di Spielberg, che aveva certamente più di 20 anni e una scritta a vernice sopra al parabrezza: “Dio mi salvi” e noi lo chiamavamo così: il “diomisalvi” tutto attaccato. Faceva paura. Ma era anche, a suo modo, rassicurante… Forse c’era, davvero, un dio dei camionisti… Incidenti non ne ricordo. Neanche uno.

Ricordo che la Fornace all’ingresso aveva anche una fontana con i pesci. Poi un distributore di carburante, interno, per i mezzi aziendali.  Ricordo la palazzina uffici che era proprio sotto al palazzo della case popolari. E le case degli operai.

Poi ricordo di aver giocato tante volte nella cava, che somigliava, nella nostra fantasia di ragazzi, ai canyon dei film western e all’Arizona di Tex Willer, il fumetto che divoravamo e sul quale abbiamo imparato ad essere contro i politicanti corrotti, i trafficanti di armi, i giocatori d’azzardo e i magnati delle ferrovie che per far passare il treno facevano sterminare i nativi…

Ricordo partite di pallavolo giocate nella sabbia grigia e argillosa quando il beach volley nessuno sapeva neanche che esistesse (se esisteva). Ricordo i fortini costruiti con i materiali di recupero della Fornace, assi di legno, mattoni venuti male e scartati, vecchi macchinari e porte in disuso. Ricordo le zattere costruite sempre con quelle assi di legno, con le quali facevamo i pirati nei laghetti che si formavano nella cava dismessa… e se cadevi in acqua erano cazzi, perché uscivi che eri una maschera di creta, dalla testa ai piedi. Facevi i “fanghi” gratis, insomma, senza bisogno di andare alle terme.

Ricordo che andavamo con la carabina ad aria compressa a sparare alle ranocchie… e poi qualcuno a casa se le mangiava fritte. Io no, che ero schizzinoso. Ma ne prendevamo a… damigiane.

Ricordo bene quando il vecchio opificio con il forno Hoffman chiuse i battenti nel 1977, con gli operai in lotta. L’occupazione. Con le donne del quartiere che portavano il vino e i rigatoni con il sugo e le salsicce per tutti, come alla festa de l’Unità. E gli striscioni e le bandiere rosse attaccate ai cancelli. E le riunioni interminabili. Le “nazionali senza filtro” e le bestemmie per una trattativa che non si schiodava e che per decine di famiglie non lasciava presagire nulla di buono.

Poi lo spostamento nel capannone nuovo con le pareti di metallo, posto dietro alla fornace vecchia. Con un camino molto più basso della ciminiera di mattoni, che per noi era una specie di monumento. Un simbolo di Chiusi Scalo, di quel quartiere operaio e popolare dove i ragazzi erano i figli di tutti. E nessuno chiudeva la porta di casa a chiave. Un simbolo di riscatto attraverso il lavoro. Ricordo benissimo le prime 500 e le prime 850 posteggiate insieme alle moto Benelli, ai Motom e alle biciclette a lato del piazzale, sotto una tettoia di Eternit sorretta inizialmente da una struttura di tubi Innocenti.

Ricordo che durò poco anche l’opificio nuovo. Il boom economico stava già finendo. Cominciava il declino. Il passaggio ad un’altra economia, non più basata sul mattone, sul ferro, sul cemento, ma sulla carta… sui servizi. Insieme e poco dopo la Fornace chiusero altre aziende. Una dopo l’altra, in uno stillicidio inesorabile. Chiusi Scalo stava facendo lo fine di Sesto San Giovanni e di Settimo Torinese… Ma senza riconversione.

La vecchia Fornace io l’ho vista cadere pezzo dopo pezzo, giorno dopo giorno. Ogni giorno andavo a pranzo da miei e contavo le finestre rimaste in piedi. Ogni giorno una di meno… Con la vegetazione che saliva e aumentava, che si mangiava i muri, le colonne, le lamiere… Perfino quella fontana posta a lato del cancello principale e che forse, sotto ai rovi, ci sarà ancora…

Ho visto il tetto cadere un pezzo alla volta, la palazzina uffici diventare un rudere ricettacolo di animali ed erbacce. Ho visto poveracci cercarvi rifugio. Adattarsi ad occupare (abusivamente) la vecchia casa del guardiano rimasta senza porte e senza finestre…  Ho visto i caprioli scorrazzare liberi nel piazzale che un tempo ospitava i mattoni raccolti in cataste. Poi i cinghiali prendere il sopravvento sui caprioli e i lupi cacciare anche i cinghiali e avvicinarsi ai cassonetti delle spazzatura delle case. E le massaie, ormai vecchie, impaurite…

Ho visto la vecchia fornace diventata una specie di boscaglia diventare terreno di caccia controllata ai cinghiali, quando questi erano diventati davvero troppi. E ho visto tracce di caccia non controllata, fatta nottetempo, di frodo, con le balestre come ai tempi di Robin Hood.

Ho assistito e seguito – anche per lavoro – i dibattiti che ogni tanto, ciclicamente si accendevano sul recupero dell’area. Non ho mai creduto che la proprietà privata del comparto, né altri privati potessero vederci un affare e mettervi mano. Ho sempre pensato che la vecchia Fornace fosse, benché di proprietà privata, un bene pubblico, inteso come patrimonio della comunità e testimonianza di un passato industriale rilevante della città e come tale dovesse essere trattato. Ho sempre pensato che l’unica possibilità di recupero dell’area e di qualche tassello di memoria muraria di quel passato, fosse un intervento e un progetto pubblico a fini di pubblica utilità. Ovviamente non escludendo qualche spazio e possibilità per l’edilizia privata. Adesso peraltro i vincoli per salvare qualche “testimonianza” del vecchio opificio sono di fatto caduti insieme agli ultimi muri. Non c’è più niente da salvare e recuperare.

Il Comune è tornato in questi giorni sull’argomento, annunciando l’affidamento a breve di un incarico per progettare il recupero dell’area ex Fornace. Qualcuno, anche tra le forze politiche locali, bolla l’annuncio come l’ennesimo tentativo di fare un po’ di propaganda e di mascherare il nulla di fatto di tre anni di legislatura. Purtroppo in passato è sempre stato così. Non sarebbe dunque la prima volta.

Certo l’amministrazione comunale in carica da sola difficilmente avrà la forza per portare avanti un progetto del  genere. Anche perché è una amministrazione politicamente debole, che ha perso per strada la maggioranza larga che vinse le elezioni del 2021 e adesso è una sorta di monocolore Pd che ha solo un voto in più in consiglio rispetto alle opposizioni e ai Podemos che hanno fatto un passo di lato…

Personalmente, per averci vissuto e convissuto tutta la vita con la Fornace, oggi ho il cuore che sanguina (direbbe Tex Willer) nel vedere che la fabbrica dei mattoni non esiste più, neanche come  rudere, ed è solo un ammasso di macerie e vegetazione incolta.

Non so se anche stavolta tutto si risolverà nell’ennesima bolla di sapone. Ma il fatto che se ne parli e che si parli di “intervento pubblico” e di un progetto che prefiguri un utilizzo a fini pubblici dell’area e dei volumi edificabili, mi sembra un passo in avanti e un segnale positivo.

Ovviamente oltre a dirci cosa vorrebbero farci (il campus scolastico ecc.) Sonnini e la giunta dovranno dire come intendono ottenere la disponibilità dell’area che è e resta privata e con quali risorse. Dire che saranno coinvolti Regione, Provincia e Ministero non è sufficiente. Un intervento pubblico in un comparto privato si può fare in tre modi: 1) espropriandolo; 2) acquistandolo; 3) con un project financing pubblico-privato, strada questa che però si è spesso (il più delle volte) rivelata una bufala… E personalmente questa eventualità la eviterei.

Poi va anche detto che una Variante al Piano Urbanistico relativa alla ex fornace concordata tra ente pubblico e proprietà privata (che la propose) è stata approvata sul finire della legislatura Bettollini nel 2021 e anche quella prevedeva una larga parte ad uso pubblico. Tale variante è da considerarsi abbandonata e superata? Sonnini & C. intendono ripartire da zero?

Naturalmente, che il degrado di un comparto come quello della ex fornace a ridosso dell’abitato di Chiusi Scalo e di una delle maggiori strade di accesso, sia un problema non più rinviabile e da affrontare con decisione è un fatto incontrovertibile.  Se non ci riuscirà Sonnini, dovrà farlo, per forza di cose, chi verrà dopo. Senza se e senza ma…

La vecchia fornace è un luogo della memoria (quasi 10 anni fa, nel 2016, volevamo farci un mega concerto, per aiutare le popolazioni terremotate e segnalare la necessità del recupero di un’area cittadina a suo modo terremotata anch’essa, ma non fu possibile per ragioni di sicurezza, lo spostammo in piazza Dante e diluviò…) e io stesso l’ho buttata inizialmente sulla poesia, sui ricordi. Ma il recupero dell’area ex fornace non è una questione di poesia.  O solo di memoria, di archelogia industriale. E’ un passaggio obbligato, intanto per risanare una zona degradata, poi per ridare fiato e nuove prospettive alla città. E insieme alla salvaguardia e potenziamento della stazione ferroviaria con annessi e connnessi, è la prima e principale cosa da fare. La Fornace è il “Bagno grande” di Chiusi Scalo. Il passato recente non è meno importante del passato remoto. E’ da lì, e solo da lì e dalla stazione che si può ipotizzare l’avvio di un nuovo inizio.

Marco Lorenzoni

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