CHIUSI SCALO, LA VECCHIA FORNACE DA LUOGO DELLA MEMORIA A OPPORTUNITA’ PER UN NUOVO INIZIO
CHIUSI SCALO – Io alla Fornace praticamente ci sono nato. E ci ho vissuto a lungo. Andai ad abitare nelle case popolari a ridosso della fabbrica dei mattoni nel 1959, avevo 3 anni. Poi vi ho passato tutta l’infanzia, l’adolescenza e ho continuato a frequentare quel palazzo e quella zona finché hanno vissuto i miei.
Io me la ricordo la fornace, quando ancora era in funzione. Ricordo il piazzale pieno di mattoni e “forati” accatastati. Ricordo bene gli operai in canottiera e sandali che spingevano le carrette. Ricordo che ci lavoravano anche le donne. Quasi tutte vestite di nero. Ricordo il trenino coi carrelli tipo miniera che portava le argille dalla cava. Ricordo le mine che scoppiavano. E il suono della sirena a mezzogiorno, all’una e alle 5 del pomeriggio. Un richiamo che segnava il tempo e ci diceva (anche a noi ragazzi di quella via Pal che era via Oslavia) che era l’ora di andare a mangiare o a fare i compiti. Ricordo il via vai di camion che portavano la terra, la scaricavano nella cava… ricordo quelli che uscivano carichi di mattoni. Era una processione, ne passavano decine e decine al giorno e per noi sche scorrazzavamo in bicicletta o giocavamo a pallone in mezzo alla strada erano una bella rottura di coglioni. E un pericolo costante. Ce n’era uno verde, più grosso di tutti, con il motore avanzato davanti, tipo quello del film “Duel” di Spielberg, che aveva certamente più di 20 anni e una scritta a vernice sopra al parabrezza: “Dio mi salvi” e noi lo chiamavamo così: il “diomisalvi” tutto attaccato. Faceva paura. Ma era anche, a suo modo, rassicurante… Forse c’era, davvero, un dio dei camionisti… Incidenti non ne ricordo. Neanche uno.
Ricordo che la Fornace all’ingresso aveva anche una fontana con i pesci. Poi un distributore di carburante, interno, per i mezzi aziendali. Ricordo la palazzina uffici che era proprio sotto al palazzo della case popolari. E le case degli operai.
Poi ricordo di aver giocato tante volte nella cava, che somigliava, nella nostra fantasia di ragazzi, ai canyon dei film western e all’Arizona di Tex Willer, il fumetto che divoravamo e sul quale abbiamo imparato ad essere contro i politicanti corrotti, i trafficanti di armi, i giocatori d’azzardo e i magnati delle ferrovie che per far passare il treno facevano sterminare i nativi…
Ricordo partite di pallavolo giocate nella sabbia grigia e argillosa quando il beach volley nessuno sapeva neanche che esistesse (se esisteva). Ricordo i fortini costruiti con i materiali di recupero della Fornace, assi di legno, mattoni venuti male e scartati, vecchi macchinari e porte in disuso. Ricordo le zattere costruite sempre con quelle assi di legno, con le quali facevamo i pirati nei laghetti che si formavano nella cava dismessa… e se cadevi in acqua erano cazzi, perché uscivi che eri una maschera di creta, dalla testa ai piedi. Facevi i “fanghi” gratis, insomma, senza bisogno di andare alle terme.
Ricordo che andavamo con la carabina ad aria compressa a sparare alle ranocchie… e poi qualcuno a casa se le mangiava fritte. Io no, che ero schizzinoso. Ma ne prendevamo a… damigiane.
Ricordo bene quando il vecchio opificio con il forno Hoffman chiuse i battenti nel 1977, con gli operai in lotta. L’occupazione. Con le donne del quartiere che portavano il vino e i rigatoni con il sugo e le salsicce per tutti, come alla festa de l’Unità. E gli striscioni e le bandiere rosse attaccate ai cancelli. E le riunioni interminabili. Le “nazionali senza filtro” e le bestemmie per una trattativa che non si schiodava e che per decine di famiglie non lasciava presagire nulla di buono.
Poi lo spostamento nel capannone nuovo con le pareti di metallo, posto dietro alla fornace vecchia. Con un camino molto più basso della ciminiera di mattoni, che per noi era una specie di monumento. Un simbolo di Chiusi Scalo, di quel quartiere operaio e popolare dove i ragazzi erano i figli di tutti. E nessuno chiudeva la porta di casa a chiave. Un simbolo di riscatto attraverso il lavoro. Ricordo benissimo le prime 500 e le prime 850 posteggiate insieme alle moto Benelli, ai Motom e alle biciclette a lato del piazzale, sotto una tettoia di Eternit sorretta inizialmente da una struttura di tubi Innocenti.
Ricordo che durò poco anche l’opificio nuovo. Il boom economico stava già finendo. Cominciava il declino. Il passaggio ad un’altra economia, non più basata sul mattone, sul ferro, sul cemento, ma sulla carta… sui servizi. Insieme e poco dopo la Fornace chiusero altre aziende. Una dopo l’altra, in uno stillicidio inesorabile. Chiusi Scalo stava facendo lo fine di Sesto San Giovanni e di Settimo Torinese… Ma senza riconversione.
La vecchia Fornace io l’ho vista cadere pezzo dopo pezzo, giorno dopo giorno. Ogni giorno andavo a pranzo da miei e contavo le finestre rimaste in piedi. Ogni giorno una di meno… Con la vegetazione che saliva e aumentava, che si mangiava i muri, le colonne, le lamiere… Perfino quella fontana posta a lato del cancello principale e che forse, sotto ai rovi, ci sarà ancora…
Ho visto il tetto cadere un pezzo alla volta, la palazzina uffici diventare un rudere ricettacolo di animali ed erbacce. Ho visto poveracci cercarvi rifugio. Adattarsi ad occupare (abusivamente) la vecchia casa del guardiano rimasta senza porte e senza finestre… Ho visto i caprioli scorrazzare liberi nel piazzale che un tempo ospitava i mattoni raccolti in cataste. Poi i cinghiali prendere il sopravvento sui caprioli e i lupi cacciare anche i cinghiali e avvicinarsi ai cassonetti delle spazzatura delle case. E le massaie, ormai vecchie, impaurite…
Ho visto la vecchia fornace diventata una specie di boscaglia diventare terreno di caccia controllata ai cinghiali, quando questi erano diventati davvero troppi. E ho visto tracce di caccia non controllata, fatta nottetempo, di frodo, con le balestre come ai tempi di Robin Hood.
Ho assistito e seguito – anche per lavoro – i dibattiti che ogni tanto, ciclicamente si accendevano sul recupero dell’area. Non ho mai creduto che la proprietà privata del comparto, né altri privati potessero vederci un affare e mettervi mano. Ho sempre pensato che la vecchia Fornace fosse, benché di proprietà privata, un bene pubblico, inteso come patrimonio della comunità e testimonianza di un passato industriale rilevante della città e come tale dovesse essere trattato. Ho sempre pensato che l’unica possibilità di recupero dell’area e di qualche tassello di memoria muraria di quel passato, fosse un intervento e un progetto pubblico a fini di pubblica utilità. Ovviamente non escludendo qualche spazio e possibilità per l’edilizia privata. Adesso peraltro i vincoli per salvare qualche “testimonianza” del vecchio opificio sono di fatto caduti insieme agli ultimi muri. Non c’è più niente da salvare e recuperare.
Il Comune è tornato in questi giorni sull’argomento, annunciando l’affidamento a breve di un incarico per progettare il recupero dell’area ex Fornace. Qualcuno, anche tra le forze politiche locali, bolla l’annuncio come l’ennesimo tentativo di fare un po’ di propaganda e di mascherare il nulla di fatto di tre anni di legislatura. Purtroppo in passato è sempre stato così. Non sarebbe dunque la prima volta.
Certo l’amministrazione comunale in carica da sola difficilmente avrà la forza per portare avanti un progetto del genere. Anche perché è una amministrazione politicamente debole, che ha perso per strada la maggioranza larga che vinse le elezioni del 2021 e adesso è una sorta di monocolore Pd che ha solo un voto in più in consiglio rispetto alle opposizioni e ai Podemos che hanno fatto un passo di lato…
Personalmente, per averci vissuto e convissuto tutta la vita con la Fornace, oggi ho il cuore che sanguina (direbbe Tex Willer) nel vedere che la fabbrica dei mattoni non esiste più, neanche come rudere, ed è solo un ammasso di macerie e vegetazione incolta.
Non so se anche stavolta tutto si risolverà nell’ennesima bolla di sapone. Ma il fatto che se ne parli e che si parli di “intervento pubblico” e di un progetto che prefiguri un utilizzo a fini pubblici dell’area e dei volumi edificabili, mi sembra un passo in avanti e un segnale positivo.
Ovviamente oltre a dirci cosa vorrebbero farci (il campus scolastico ecc.) Sonnini e la giunta dovranno dire come intendono ottenere la disponibilità dell’area che è e resta privata e con quali risorse. Dire che saranno coinvolti Regione, Provincia e Ministero non è sufficiente. Un intervento pubblico in un comparto privato si può fare in tre modi: 1) espropriandolo; 2) acquistandolo; 3) con un project financing pubblico-privato, strada questa che però si è spesso (il più delle volte) rivelata una bufala… E personalmente questa eventualità la eviterei.
Poi va anche detto che una Variante al Piano Urbanistico relativa alla ex fornace concordata tra ente pubblico e proprietà privata (che la propose) è stata approvata sul finire della legislatura Bettollini nel 2021 e anche quella prevedeva una larga parte ad uso pubblico. Tale variante è da considerarsi abbandonata e superata? Sonnini & C. intendono ripartire da zero?
Naturalmente, che il degrado di un comparto come quello della ex fornace a ridosso dell’abitato di Chiusi Scalo e di una delle maggiori strade di accesso, sia un problema non più rinviabile e da affrontare con decisione è un fatto incontrovertibile. Se non ci riuscirà Sonnini, dovrà farlo, per forza di cose, chi verrà dopo. Senza se e senza ma…
La vecchia fornace è un luogo della memoria (quasi 10 anni fa, nel 2016, volevamo farci un mega concerto, per aiutare le popolazioni terremotate e segnalare la necessità del recupero di un’area cittadina a suo modo terremotata anch’essa, ma non fu possibile per ragioni di sicurezza, lo spostammo in piazza Dante e diluviò…) e io stesso l’ho buttata inizialmente sulla poesia, sui ricordi. Ma il recupero dell’area ex fornace non è una questione di poesia. O solo di memoria, di archelogia industriale. E’ un passaggio obbligato, intanto per risanare una zona degradata, poi per ridare fiato e nuove prospettive alla città. E insieme alla salvaguardia e potenziamento della stazione ferroviaria con annessi e connnessi, è la prima e principale cosa da fare. La Fornace è il “Bagno grande” di Chiusi Scalo. Il passato recente non è meno importante del passato remoto. E’ da lì, e solo da lì e dalla stazione che si può ipotizzare l’avvio di un nuovo inizio.
Marco Lorenzoni
Di fatto il piano come viene annunciato prevede soltanto opere pubbliche che vanno a remunerare la proprietà che a suo tempo fece un investimento sbagliato pensando all’edilizia residenziale in una fase che ormai non aveva più domanda
Eravamo un cinquantina di “fregnotti” a giocare a indiani e cowboys nella fornace.
Ricordo. In questo stato non è più possibile neppure quello. In un commento precedente è stato scritto che soltanto la messa in sicurezza (demolizione e smaltimento del demolito costerebbe 15 milioni di euro. Anche se fossero 10 dovrebbe essere la proprietà afarsene carico. Poi i costi della edificazione di quanto previsto. Non si tratta della partitella che purtroppo non troverebbe più i giovanissimi giocayori che ora vanno al campo sportivo.
Se dessi un occhiata nell’archivio di mio padre credo che salterebbe fuori qualche lastra 13×18 degli anni ’50-60 sulla fornace e sulle costruzioni annesse.Ricordo che in tali lastre vidi molti anni fa la rotaia dove correva il trenino che dice Marco e qualche capannone ormai cadente anche all’epoca.Esiste anche una bella cartolina panoramica degli anni ’30-40, forse scattata da Montorio dove si vede il panorama di Chiusi Scalo fino alla ferrovia ed al di là di questa anche la casa attigua alla strada ferrata dove era la Trattoria Porsenna al di là del passaggio a livello di mio zio Vittorio Rocchini detto Chielli. A ”Montorio” andavamo a ricercare i fossili di conchiglia negli anni ’50 perchè ce n’erano molti e di questo sicuramente si ricordano coloro della mia fascia generazionale.Chissà se questa sia la volta buona come dice Marco Lorenzoni ma come ho già detto, le altre volte si è imboccata con modalità diverse la stessa strada e non si è arrivati a nulla…c’era una canzone negli anni ’60 che si sentiva alla radio che diceva ” spera pur se vuoi sperar, però se speri , speri mal ”. E perdipiù valutato che oggi non sono più i tempi molto più possibilistici di una volta, la vedo dura davvero ed ecco allora che prende forma il senso del detto ” arma di distrazione di massa” come status molto più plausibile.E allora se è così come penso lo sia ,credo che questo voglia dire solo una cosa: che s’inizi a vedere il fondo politico del barile e lo intuiscono anche gli addetti ai lavori.
La parte nostalgica dell’ articolo ricorda la prosa di Calvino, (è possibile percepire durante la dedcrizione dello spazio dove sorgeva la vecchia fornace lo stesso spirito che aleggiava sui luoghi e sulle strade dove si muoveva Pin ne IL SENTIERO DEI NIDI DI RAGNO…. ).
Stile giornalistico e prosa narrativa si intrecciano sapientemente in questo pezzo… Speriamo sia in grado di muovere nella giusta direzione gli animi di chi sta ai vertici per una degna riqualificazione dell’ area.
non esageriamo…
Non esagero…. È quello che ho percepito io leggendo l’ articolo. Tutto qua.
Lo prendo come un complimento. Grazie
Nel giugno 2021 fu approvgata una Variante al piano urbanistico, per consentire il recupero dell’area da parte della proprietà. Adesso quella variante è da ritenersi superata e aabbandonata? https://www.primapaginachiusi.it/2021/06/chiusi-puo-partire-il-progetto-di-recupero-dellarea-fornace-le-opposizioni-votano-contro/
Bei ricordi, pur non abitando in zona fornace tante cose descritte le ricordo anche io, la sirena in particolare. Ma la poesia purtroppo in questo momento non serve e sognare che un’amministrazione pubblica come il comune di Chiusi sia in grado di reperire decine di milioni per un progetto per l’appunto tutto pubblico è utopia, così come è utopia pensare che i privati che sono proprietari di quell’area possano vederci un affare. Lieto di sbagliarmi e di vedere il miracolo ma un’amministrazione seria dopo tre anni di nulla cosmico non può uscire con proclami che sono solo campagna elettorale anticipata e che servono a coprire il fatto di non aver mosso un passo riguardo ai tanti problemi che ci affliggono. Ne cito tre dei tanti: lo stato di abbandono del centro storico in mano a traffico parcheggi selvaggi e scarsa o nulla manutenzione, il traffico dei mezzi pesanti a Chiusi Scalo e il nuovo palasport voragine infinita di risorse pubbliche e con una futura gestione che è un grande punto interrogativo. Un’amministrazione che avesse non dico risolto ma almeno affrontato questi problemi, insieme ai tanti altri, potrebbe anche permettersi voli pindarici sulla fornace.
Ovvio che se il Comune vuole procedere con un progetto di riconversione e sistemazione dell’area, la prima cosa che deve fare è acquistarla (o espropriarla o stipulare un accordo di project financinc con la proprietà privata), perché non si possono fare progetti per interventi in casa d’altri.
si ma ti rendi conto che si parla di decine di milioni, dove li trova i soldi il comune che hanno rinunciato anche a fare i lavori di ristrutturazione del bar chioschetto a Chiusi Città?
Luca, è il Comune non io o primapagina ad aver annunciato l’affidamento di un incarico per progettare un intervento. Un’idea di dove prendere i soldi c’è l’avrà. Se no che annuncio è?
L’esperienza della collaborazione della collaborazione pubblico/privato non ci fa essere ottimisti. Nel 2006, se non ricordo male, fu indetta un’asta per la cessione dei vecchi macelli comunali. La cessione prevedeva l’impegno di un piano di recupero da parte dell’acquirente. Fra un po’ potremo “festeggiare” il ventennale della cessione. Il piano che doveva essere fatto a breve non risulta, ma mi posso sbagliare. Tanto meno il recupero.
Ho ritrovato una vecchia interrogazione del 2011 della Primavera di Chiusi. Il Piano di recupero c’era ma non è mai stato applicato. Se non si riesce a realizzare quello non ci sono speranze per l’area della Fornace.
c’è anche la variante del 2021… vedi commento precedente
Un cambiamento di destinazione d’uso? La sostanza non cambia. Non essere riusciti a in poco meno di venti anni di far sistemare un’area come quella dei vecchi macelli che è rimasta allo stato di rudere non depone a vantaggio di altre operazioni come la Fornace.
Sul recupero mancato degli ex macelli di porta Lavinia, se non ricordo male il Comune ha anche multato i proprietari per non aver rispettato i tempi… Ma l’opera non è andata avanti lo stesso. Per la Fornace secondo me non c’è altra strada che l’acquisizione da parte del Comune. I privati proprietari presentarono un progetto nel 2021, il Comune lo agevolò con una apposita variante, ma non è stato mosso un mattone, pur non essendoci più ostacoli… Pensare ad un intervento privato mi sembra pura fantasia.
Sai quanti Concerti Rock da qui all’anno 2300 ci si pagano con quelle cifre…..meglio il Rock dammi retta, poi detto da me che lo amo tanto,il chè è tutto dire….scherzo ed un po’ di sarcasmo non guasta mai , ma i voli pindarici non sono proibiti, i sogni sono aggratisse….semprechè si abbia la consapevolezza che siano sogni, perchè se tale consapevolezza non ci fosse, allora sarebbe un casino per chi sogna, e siccome poi i sogni debbono essere trasferiti in atti concreti sennò si è in preda a qualche cosa d’altro, è meglio restare con i piedi in terra , se non altro anche se nulla ne esca, risulta più produttivo per la considerazione che possa venire da parte dei cittadini.
La sia parte il pubblico l’ha fatta con la messa in sicurezza dell’area da possibili inondazioni.Ora il privato faccia la sua con la messa in sicurezza dai possibili ulteriori crolli causati dalla mancanza di azione di mezzo secolo. Non si può continuare a invocare Pantalone.
X paolo Scattoni. Non sò sia proprio messa in sicurezza e se il muro considerato pericolante possa appartenere all’aerea della Fornace ma in Via Oslavia percorrendola verso Chiusi Città all’altezza grossomodo del muro dove venivano attaccati i manifesti lo stesso muro era pericolante.Fra l’altro se ben ricordo lo stesso Comune aveva posto un divieto di transito nella stessa direzione dalla parte sinistra della strada ma non sò se il problema è risolto oppure ancora langue.Ci passo poche volte a piedi da quelle parti ma cerco di starne lontano e percorro il marciapiede sulla destra.
Fai una segnalazione e se pericolante il soggetto responsabile dovrà trovare le risorse per il lavoro. Quello che qui si discute è ben altra cosa. Luca Scaramelli cita una valutazione di massima per le necessarie demolizioni e rimozione del demolito per un costo di 15 milioni. Penso di aver interpretato bene, ma se anche fossero la metà chi paga?