CHE ROBA, CONTESSA, ‘STE RAGAZZE!
La pallavolo mi è sempre piaciuta, come sport, perché è lo sport di squadra per eccellenza, perché il passaggio al compagno è obbligatorio, perché quel darsi continuamente il cinque in campo tra chi gioca è un segno di condivisione. Se fossi cattolico direi di comunione. Ho seguito la pallavolo a lungo, per più di vent’anni ho passato i sabato pomeriggio e spesso anche le serate a vedere le partite di mio figlio che ha giocato una decina (forse più) di campionati di serie C. Come primapagina nella stagione 2015-16 mettemmo in piedi una squadra di serie C, che giocava a Città della Pieve, ma era una sorta di “nazionale” del territorio, una rappresentativa della Valdichiana senese e del Trasimeno. Una bella esperienza anche se finita non benissimo.
Non mi sono mai appassionato più di tanto al volley femminile, perché nonostante le giocatrici siano mediamente molto belle da vedere e giochino una pallavolo spettacolare, a me è sempre sembrata un po’ troppo lenta, troppo poco “potente” rispetto a quella maschile. Troppo scolastica. “La palla non cade mai a terra”. Ma il problema è solo mio. Questione di gusti.
Oggi, però, guardando la finale olimpica a Parigi tra l’Italia e gli Usa della Pallavolo femminile, non solo mi sono appassionato, mi sono emozionato fin quasi alle lacrime per i colpi e i punti della Danesi, della Bosetti, di Paola Egonu di quella forza della natura che è Myriam Sylla che la cronista ha definito “ministra della difesa”.
Mi sono emozionato peché giocavano una pallavolo che raramente si vede nei campionati femminili, anche come potenza e velocità. Perché davanti, le ragazze azzurre avevano la squadra che ha vinto l’oro a Tokio, quella della nazione che il volley lo ha inventato… Mi sono emozionato perché il panchina c’erano due leggende del volley: da una parte Kiraly, dall’altra Bernardi, i migliori giocatori di tutti i tempi. Ma Lollo Bernardi c’era come vice di Julio Velasco – ecco il terzo motivo di emozione – che si è dimostrato ancora una volta non solo un grande allenatore, ma un quello che è: un professore universitario dello sport. Un filosofo dello sport. Uno che insegna anche a perdere e non solo a vincere, uno che due giorni prima aveva esortato tutti a farla finita con il piagnisteo della medaglia d’oro che manca… uno che, come si fa all’università, insegnava e insegna ai ragazzi e alle ragazze che se l’alzata non è perfetta, lo schiacciatore non deve prendersela con il pallegiatore, ma correggerla e cercare la soluzione per metterla a terra lo stesso. Idem se la ricezione non è perfetta, l’alzatore deve correggere quella palla, non imprecare e cercare il colpevole… Ma non solo: Velasco è argentino. E’ un “compagno” (in senso lato) che a suo tempo ha usato lo sport come strumento per combattere la dittatura dei generali e a 70 anni suonati è riuscito a dimostrare in campo, con una squadra multietnica e multicolore, che l’Italia non è una colonia degli Stati Uniti.
Julio Velasco, Lorenzo Bernardi, Barbolini e tutte le ragazze del dream team azzurro hanno dato uno schiaffone a chi anche dagli scranni della politica ha ironizzato sui tratti somatici poco italiani di Paola Egonu e delle sue sorelle “colored” (ma non, stranamente, su quellli di Sarah Fahr o di Ekaterina Antropova, una di origini tedesche e l’altra di origini russe) e hanno rotto un incantesimo, anzi due: quello della medaglia d’oro che mancava e quello della sovranità limitata dell’Italia nei confronti del grande fratello Americano. Viene da parafrasare la famosa canzone di lotta di Pietrangeli: che roba contessa, ste ragazze!
E – tanto per gradire – e per sottolienare il concetto – mi sembra doveroso rimarcare che in campo maschile l’oro se lo è preso la Francia. Ma con un italiano in panchina: Andrea Giani, uno di quelli della generazione dei fenomeni di Velasco degli anni ’90. In qualche modo si è chiuso un cerchio (forse più di uno).
Julio Velasco che salta in braccio a Bernardi per l’oro delle ragazze, Giani che vince con “les bleus” sono immagini che resteranno indelebili. Come le facce sorridenti e bellissime delle ragazze d’oro italiane, bionde, biondissime, more o “colored” che siano…
Stasera Paola Egonu e tutte le sue sorelle possono cantare a squarciagola “la storia siamo noi” (che non è la sigla di uno spot pubblicitario) e poi andarsene a festeggiare dove e come vogliono. Festa meritatissima. Chapeaux.
m.l.
Non mi interessano molto le implicazioni politiche del maestro Velasco o etniche delle ragazze, ma ovviamente mi associo al plauso per la conquista dell’ oro olimpico.
Se Velasco è Velasco è perché è Velasco, cioè perché ha quella storia lì e quella filosofia lì alle spalle. Ha vissuto situazioni drammatiche e particolari, è diventato allenatore partendo da quelle, per questo è un grandissimo allenatore, ma non solo un allenatore. Le “implicazioni politiche” fanno l’uomo e fanno anche il coach. Su primapagina, molti anni fa, scherzandoci un po’ su, quando il neonato PD faticava a trovare una leadership all’altezza proponemmo proprio Julio Velasco. Rimaniamo dell’idea che non sarebbe stata una cattiva scelta…
Stratosferiche. Una grande squadra, un grande allenatore. Abbiamo molto da imparare dallo sport
Si di certo,ma la buona o cattiva scelta non sarebbe stata Velasco,purtroppo è stata un altra che non riguardava per nulla Velasco. E non è stata una scelta ma una decisione di scegliere presa a tavolino, poi da lì è venuto tutto il resto.Qualcuno lo chiamò ”partito delle tessere” ed era anche socio del tuo giornale, ricordi ? E secondo me non aveva torto.
?
Carlo, esistono partiti senza tessere? e se esistono, che partiti sono?
Il mio era un riferimento non a Julio Velasco ma al fatto che hai detto di poterlo proporre come indicazione a segretario. Forse sarebbe stato meglio-come dici te- visti i risultati. Ed i punti interrogativi che fanno finto di non aver compreso potrebbero essere anche emblematici di tale status. Per le tessere-appunto- non ho mai visto un partito senza tessere certamente, ma credo che lo si capiva sulle modalità di come sia stato creato.Al di là di Velasco,la mia polemica è su questo che ho espresso.Punto e fine e probabilmente alla fin fine chissà se non sarebbe stato meglio proporre un Velasco come etica ed emblema, visti poi i risultati.Ma è sempre questione del poi….
Carlo, ma avevo anche scritto “scherzandoci un po’ su”… come dire che era una boutade. Un modo per invitare il Pd ad affidarsi ad un condottiero/a capace, intelligente, con una filosofia di squadra ben precisa ed efficace. Alla Velasco, per intenderci. Non so se Elly Schlein risponda a tali requisiti. Con tutto il rispetto francamente non mi pare. Ma questo è tutto un altro discorso. In questo articolo si parlava di volley, di Olimpiadi e di un’Italia multicolore e vincente.
Ma infatti, io intendevo rispondere alla nota che avevi sollevato tu, non tanto a Velasco ed alla sua professionalità che non è in discussione ma anche a me dopo qualche momento d’illusione-chiamiamola così-non mi appaiono le cose filare per il verso che credevo,soprattutto per il concetto di apertura che hanno voluto battezzare come ” campo largo”.Poi ognuno ha una spiegazione ed una giustificazione soprattutto strategico-politica per quanto detto, ma credo che sia bene tenere distinti i due versanti: quello politico da quello sportivo. Fine della trasmissione.
Le metafore sportive si usano per fare capire meglio i concetti che si vogliono esprimere. Si fa anche nel linguaggio comune. Sui giornali è frequentissimo.