CHIUSI SCALO, LA MORTE LENTA DI UNA CITTADINA CHE UN TEMPO PULSAVA E ADESSO BOCCHEGGIA

venerdì 05th, maggio 2023 / 15:55
CHIUSI SCALO, LA MORTE LENTA DI UNA CITTADINA CHE UN TEMPO PULSAVA E ADESSO BOCCHEGGIA
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CHIUSI – C’è stato un tempo, neanche troppo lontano, in cui Chiusi Scalo sembrava… Firenze. Non per bellezze architettoniche, questo no. Per “movimento” sì. La stazione brulicava di gente, il piazzale antistante pure: viaggiatori in arrivo e in partenza, tassisti, ferrovieri, portabagagli, autisti delle autolinee, conduttori degli alberghi di Chianciano che tentavano di accalappiarsi i clienti. Poi la gente del paese che viveva la piazza come si vive la piazza in tutti i paesi: artigiani sull’uscio della bottega, commercianti, rappresentanti di commercio, albergatori, gente comune intenta a far compere… Trovavi di tutto a Chiusi Scalo e la gente ci veniva anche da fuori, dai paesi limitrofi, ma non solo, anche da Orvieto, da Corciano, da Torrita, da Abbadia San Salvatore e perfino da Arcidosso e Castel del Piano. C’erano anche dei pullman che portavano sul versante grossetano dell’Amiata.

Chiusi Scalo forse più che a Firenze somigliava a un quartiere di San Francisco. Era molto “american”, anche nelle insegne pubblicitarie. Del resto era nata come tante cittadine del Far West, alla metà dell’800, intorno ad una stazione ferroviaria. E un po’ quell’aria di paese di frontiera (al di là del fatto di trovarsi proprio sul confine tra  Toscana e Umbria) l’ha mantenuta per parecchio tempo. Piazza Dante, la piazza della stazione, era il fulcro di tutto ciò. Tutto passava di lì. Nel mezzo c’era un birillo, e tutto ci ruotava intorno.

C’erano anche due bar sulla piazza. Uno, il Cavallino Bianco aveva anche il cinema (che nel ’65 si spostò un paio di isolati più indietro) ed era il “bar dei compagni”, l’altro, il Bar Italia era invece un po’ più d’elite e lo frequentavano i commercianti, gli avvocati, i commercialisti, i direttori di banca… Sopra (per un certo periodo) aveva la sezione del Msi e questo gli conferiva anche una nomea di bar di destra. In realtà ci andavano anche i socialisti. I comunisti meno. Pochi. 

Entrambi i bar erano sempre pieni, dalla mattina a notte fonda. Entrambi avevano il biliardo e la sala per le carte. Un tempo al bar s tirava tardi giocando a stecca o a carte, appunto: al Bar Italia a scala 40, al Cavallino Bianco più a tresette.

Nella foto a destra il Bar Italia, all’inizio degli anni ’70. Di mattina.  Ci saranno 20 persone sedute ai tavoli fuori. Tutte eleganti, in giacca e cravatta. Nella porta accanto il barbiere ad osservare il mondo. Sia il Cavallino Bianco che il Bar Italia erano punti di riferimento per i chiusini, ma anche per i viaggiatori che arrivavano o dovevano partire con il treno, con un bus o con un taxi, per chi veniva da qualche paese vicino e voleva prendere un caffè. All’epoca al bar andavano solo gli uomini. E da una certa età in su. I ragazzini under 20 no. Non erano posti per loro.

La costante era comunque la folla, dentro e fuori. E il fumo.

Chiusi Scalo è cambiata. Anzi è cambiato il mondo. Oggi il Cavallino Bianco è gestito da ragazzi cinesi. Il Bar Italia ha addirittura chiuso i battenti. Si spera momentaneamente. E’ aperto solo come tabaccheria. Come bar no, da un mesetto e mezzo. Non sappiamo le ragioni e non intendiamo sindacare sulle scelte della proprietà, ma certo anche questa è una “ferita dolorosa” che sanguina. Un colpo duro, allo stomaco, per la città. Vedere turisti e viaggiatori con il trolley che vanno diretti al bar, proprio davanti alla stazione, e poi trovandolo fuori servizio si guardano intorno increduli e delusi, fa male al cuore. Vedere quel marciapiede, da sempre affollato di tavoli, tristemente vuoto fa venire la tristezza.

D’altra parte, è noto, i bar, soprattutto quelli in prossimità di punti di approdo e nei luoghi centrali di una città, sono il primo biglietto da visita, il primo punto di accoglienza. Se vengono a mancare o sono inadeguati, l’effetto negativo è forte e può essere addirittura devastante.

Chiusi, come città, questo problema se lo deve porre. Non può far finta che non sussista. Negli ultimi 4-5 anni la città ha aumentato e migliorato l’offerta per quanto riguarda le strutture ricettive (alberghi, agriturismi, case vacanze, bed & breakfast…), con i ristoranti più o meno se la cava, ce ne sono abbastanza e tutti di buona qualità, alcuni addirittura eccellenti. Ci sono anche 4 pizzerie a taglio per i ragazzi, per chi va di fretta o vuole spendere meno.

Quanto ai bar e ai locali di intrattenimento invece è un pianto. Ne sono rimasti pochi: oltre al Bar Italia, nei mesi scorsi a Chiusi Scalo ha chiuso anche lo storico bar del Dopolavoro ferroviario, anche quello vicino alla stazione. Dei pochi rimasti alcuni chiudono alle 20, qualcuno anche prima.  Un tempo solo allo Scalo ce ne erano una decina. Ora siamo sulla metà. I pub hanno resistito poco, adesso non ce ne è più nessuno. Né a Chiusi Scalo, né a Chiusi città. Ce ne sono un paio tra Querce al pino e Macciano. Ma è il cuore della città che soffre, sia quello storico che quello più moderno. Qualche paese dei dintorni con i “localini”, i bistrot, le enoteche, ha ritrovato appeal, non solo per i turisti, anche per la gente del posto e dei dintorni, vedi Montepulciano, vedi Chianciano paese, vedi Castiglione del Lago o Sarteano.

Chiusi invece è rimasta al palo. Sembra legata al palo. Non riesce a trovare una strada. Sembra una città rassegnata a diventare una ghost town, un dormitorio, perché così va il mondo. E invece non è così che va il mondo. In molte città italiane (ma non solo italiane) si sta sviluppando la tendenza ad un ritorno alle “osterie” di paese e ai negozi di vicinato, sia alimentari che di altre tipologie: prodotti del territorio, qualità più alta, ma anche beni che non si trovano nei supermercati. Insomma una tendenza ad abbandonare i centri commerciali per tornare nel cuore dei paesi, con una offerta commerciale “più umana”. E umanizzante.

Chiusi in questo campo è stata una città pilota negli anni ’20 del ‘900, un secolo fa e nel secondo dopoguerra fino a tutti gli anni ’80. E’ stata una locomotiva, non un vagone a rimorchio. Possibile che abbia smarrito del tutto la sua carica di innovazione e di fantasia e subisca il declino senza sparare un colpo?

Questa della mancanza (o scarsità) di locali di prima accoglienza o primo impatto, ma anche di servizio alla vivibilità dei residenti, è un’emergenza primaria. Una delle priorità da risolvere. Il problema se lo deve porre il Comune per primo, ma anche gli operatori del settore, le associazioni di categoria. Assistere inermi allo stillicidio di chiusure è  come guardare l’erba che cresce inesorabile e si mangia le aiole, le panchine e i marciapiedi.

Qualcosa questa città che ha resistito agli assedi, ha fatto da apripista alla modernità, quando di modernità in giro ce n’era poca, che è stata per decenni un porto di mare, ma anche una  realtà vivace sia dal punto di vista commerciale che da quello politico, quasi mai allineata e coperta, sempre refrattaria ai diktat dei piani superiori, oggi sembra il contrario di sé stessa: muta, allineata alla voce del padrone, intristita, con la faccia di chi è senza speranza e la saracinesca abbassata come quando c’è un lutto in casa.

Non è questo il verso, si dice da queste parti… Il verso va invertito, va ritrovata la voglia di stupire. Chiusi è sempre stata due città in una una. Una antica, gloriosa, un po’ decaduta, ma comunque ricca,  forse solo un po’ sonnacchiosa come forse erano di indole gli etruschi; l’altra non bella, ma moderna, pulsante, spesso innovativa, vivace, talvolta fuori dalle righe e dagli schemi. Non può essere che adesso sia la somma di due deserti. E soprattutto non è possibile che nessuno se ne preoccupi. O cerchi una via di uscita.

Gli altri paesi dei dintorni, almeno su alcuni terreni, galoppano. Qualcosa si sono inventati. Chiusi galleggia a malapena, è un gommone mezzo sgonfio alla deriva, in balia dei venti e delle decisioni sbagliate di timonieri e capitani di vascello che non saprebbero guidare una scialuppa e navigano sempre in direzione contraria. 

Serve una scossa, uno scatto almeno di orgoglio. Del sindaco, di qualche assessore, di qualche forza politica, di qualche giovane curioso e intraprendente. Serve soprattutto qualche idea che faccia tornare Chiusi e Chiusi Scalo quello che sono sempre state. Luoghi in cui ci devi venire perché certe cose le trovi solo lì. Possono essere piatti tipici, prodotti particolari, ma anche pezzi di ricambio per le moto o le bici, oppure eventi culturali (musica teatro, libri, arte), è sempre la specificità, la capacità di diventare punto di riferimento per qualcosa che fa la differenza. 

Naturalmente la specificità va accompagnata dalla cura del luogo, dall’immagine che non può essere quella sciatta e trasandata che la città offre adesso con l’erba alta, le panchine e i cestini sgarrupati, gli alberi potati ad minchiam, le auto posteggiate anche anche nelle ztl e negli stalli per le bici elettriche mai comprate e mai messe in funzione.

Allargare le braccia e trincerarsi dietro il fatto che è cambiato il mondo è la peggiore delle risposte. E purtroppo è la più frequente.

m.l.

 

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