LOMBARDIA E LAZIO, ALTRA DISFATTA EPOCALE DELLA SINISTRA. ORA GLI ARTEFICI DEL DISASTRO SI TOLGANO DI TORNO

lunedì 13th, febbraio 2023 / 21:28
LOMBARDIA E LAZIO, ALTRA DISFATTA EPOCALE DELLA SINISTRA. ORA GLI ARTEFICI DEL DISASTRO SI TOLGANO DI TORNO
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Per scaramanzia diciamo “attendiamo i dati finali”, ma le proiezioni sulle confermano e consolidano quanto emerso da subito negli exit poll. Nel Lazio e in Lombardia la destra è in netto vantaggio e per il Pd e il centro sinistra si profila un’altra debacle epocale dopo quella delle politiche.

Al momento in cuo scriviamo, in LombardiAttilio Fontana, presidente uscente e candidato del centrodestra, è dato al 54,4% delle preferenze, seguito da Pierfrancesco Majorino (centrosinistra-M5s) che raggiunge il 33,3%. Più di 20 punti di distacco. Una partita senza storia. Non sfonda Letizia Moratti (Terzo Polo) ferma al 10%; ancora peggio Unione Popolare che con Mara Ghidorzi si ferma all’1,4%. All’interno della coalizione di Majorino raccolgono poco il M5s (4,4%), la Lista Majorino (4,4) e Verdi-Sinistra (2,9)…Il Pd ottiene il 21,2%. Nel centro destra si conferma prima forza Fratelli d’Italia con il 26,6%, mentre la Lega si ferma al 16% e Forza Italia al 6%.

Nonostante la pessima gestione della pandemia, con il record mondiale di morti e le dimissioni dell’assessore regionale Gallera, il centro sinistra non è riuscito a scalzare Fontana, che addirittura infligge agli sfidanti un distacco tale da non ammettere repliche.

Nel LazioFrancesco Rocca, candidato centro destra si attesterebbe tra il 48 e il 52,2% (coalizione al 53,8%); Alessio D’Amato, centro sinistra al 34%. Anche qui siamo vicini ai 20 punti di scarto. Che se anche diventassero 12 o 15 sarebbero sempre un’enormità. Perché nel Lazio governava il centro sinistra con Nicola Zingaretti, già segretariio nazinale Pd.  In questo caso dunque lo smacco è ancora più pesante.
A differenza della Lombardia, dove era alleato con il Pd, nel Lazio il M5S correva da solo, con Donatella Bianchi, volto noto  della Tv che però si è attestata sul 12%. L’alleanza Pd-Calenda non ha portato dunque grandi risultati a D’Amato, ma neanche ha favorito i 5 Stelle. Quanto alle singole liste le proiezioni danno Fratelli d’Italia al  31,2%, il Pd   al 20,9, il M5S al 10%, Forza Italia all’8, la Lega all’8,6, Italia Viva-Azione al 4,9, Unione Popolare all’1,2.
Probabilmente a scrutinio terminato la forbice tra destra e centro sinistra si ridurrà. Ma la tendenza chiara e inequivocabile.
Tra i primi a commentare i risultati che stanno emergendo dalle urne nelle due regioni, il candidato alla segreteria Pd, Stefano Bonaccini: 

“La sconfitta di oggi è in continuità con quella delle politiche del 25 settembre scorso, dove un Pd ridotto e un campo progressista diviso regalano un’altra vittoria alla destra, anche quando è in difficoltà”. Lo dichiara Stefano Bonaccini, presidente della Regione Emilia-Romagna e candidato alla segreteria del Pd, sul risultato delle regionali. “Credo non ci sia proprio nulla da rimproverare ai nostri due candidati, Pierfrancesco Majorino e Alessio D’Amato, che anzi ringrazio. E con loro tutte le donne egli uomini del Pd che hanno provato a scongiurare un esito per molti aspetti atteso. Dobbiamo chiudere questo capitolo e aprirne uno nuovo, dove il Pd torna centrale e attrattivo”.

Enrico Letta invece pare accontentarsi e gioire della seconda piazza ottenuta in entrambi i casi dal Pd. Evidentemente l’esperienza come deputato del collegio di Siena non gli ha insegnato granché: a Siena, al Palio, arrivare secondi è una disgrazia. Guai al fantino che arriva secondo. .

Per quanto riguarda la destra, nel giorno in cui tutti i giornali hanno parlato delle dichiarazioni di Berlusconi su Zelensky (“se fossi stato premier non lo avrei incontrato”, “se avesse smessi di attaccare le regioni del Donbass tutto questo non sarebbe successo”…)  che hanno di fatto messo in discussione la politica del Governo italiano e dello stesso centro  destra, minando la maggioranza stessa, i risultati nel Lazio e in Lombardia invece consolidano la coalizione di governo e il gradimento degli elettori per la destra. Elettori che però hanno votato in pochi, in media il 40%. Il che vuol dire che il 60% è rimasto a casa. E c’era il sole. Figuriamoci se pioveva…

Il dato dell’astensionismo dal voto segnala uno scollamento grave e sempre più marcato dell’opinione pubblica dalla politica. E uno sgretolamento inarrestabile della democrazia rappresentativa, come l’abbiamo conosciuta fino ad ora. Le percentuali ottenute da candidati e partiti sono infatti calcolate sui voti validi, cioè su quel 40% scarso degli aventi diritto. Il consenso reale è meno della metà di quelle percentuali.

Se la destra ha comunque motivo per festeggiare, perché mantiene la Lombardia e riconquista il Lazio dopo 10 anni, a sinistra di motivi di soddisfazione non ce n’è nemmeno mezzo. Chi ha fatto questo disastro a pochi mesi dal quello delle elezioni politiche che hanno incoronato Giorgia Meloni e riportato i post fascisti al governo, dovrebbe solo chieder scusa, comprare una canna da pesca e togliersi di torno. Tutti: da Letta a Zingaretti, a Majorino, ai gruppi dirigenti della Lombardia e del Lazio del Pd, ma non solo quelli del Pd. Anche i capataz del M5s, di Sinistra Italiana, Verdi, Unione Popolare, e pure Calenda e Renzi. Nessuno è senza peccato.

Il congresso Pd, da occasione di riflessione e di cambiamento, è diventato la difesa acritica di un fortino vuoto, con i dirigenti del partito, anche quelli locali, che invece di aprire il partito e cercare nuova linfa e nuove idee ed energie, si sono rinchiusi dentro una botola a dirsi che sono bravi. Gli altri, fuori dal Pd, non sono stati capaci, nessuno, di offrire una alternativa valida e credibile, anche loro arroccati ognuno a difesa del proprio orticello asfittico e rinseccolito.  La debacle, a sinistra è di tutti.  E chi ha portato la sinistra a questo punto, a percentuali marginali senza riuscire a dire una parola nemmeno sulla guerra (lo ha fatto Berlusconi!) non può più stare sul ponte di comando con il timone in mano.  Dopo due batoste come le politiche e le regionali in Lombardia e Lazio in altri tempi qualcuno sarebbe fuggito in Svizzera o in Tunisia, senza lasciare tracce.

m.l.

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