CORRIERE DELL’UMBRIA E CORRIERE DI SIENA CAMBIANO PADRONE. QUANDO PRIMAPAGINA SI STAMPAVA A PERUGIA…
PERUGIA – Il Corriere dell’Umbria, ma anche il Corriere di Siena, il Corriere di Arezzo e il Corriere della Maremma passano di mano e cambiano proprietà. Il Gruppo Tosinvest che fa capo alla famiglia Angelucci (il presidente Giampaolo Angelucci è deputato della Lega) ha infatti annunciato di aver ceduto la società che edita le 4 testate, ormai storiche, del centro Italia al gruppo Polimedia di Città di Castello, controllata per il 52% dal Monte Finanziario Europeo e per il resto da Università Telematica E-Campus e Link Campus University, due realtà che fanno capo alla famiglia Polidori. Francesco Polidori è il fondatore di Cepu… Il direttore Davide Vecchi passa direttamente al Tempo, sempre della famiglia Angelucci che mantiene pure la proprietà delle testate laziali che escono a Rieti e Viterbo.
Fin qui la cronaca. Nell’editoria i passaggi di mano ci sono sempre stati. Non fanno neanche tanto notizia. Sempre per la cronaca, Francesco Polidori, fondatore del gruppo Cepu, nel marzo 2021 è finito agli arresti domiciliari nell’ambito dell’indagine della procura di Roma su una ipotesi, tra gli altri reati, di bancarotta fraudolenta, autoriciclaggio e sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte. I finanzieri del Nucleo Speciale di Polizia Valutaria fecero anche un sequestro preventivo per 28 milioni di euro… Ma nella nuova società che editerà Corriere dell’Umbria e Corriere di Siena non figura direttamente Francesco Polidori, quanto il figlio Pietro Luigi.
IL RAPPORTO TRA PRIMAPAGINA E IL CORRIERE DELL’UMBRIA – Come giornale non abbiamo mai avuto grande simpatia per il tipo fi giornalismo dei “Corrierini” come qualcuno li chiamava, hanno sempre avuto uno stile e un approccio diverso dal nostro. Però con l’azienda Corriere dell’Umbria Primapagina ha avuto un rapporto lungo e consolidato. Dal dicembre 1990 alla metà del 2011, cioè per 21 anni, primapagina è stato stampato presso la medesima tipografia da cui uscivano Corriere dell’Umbria e Corriere di Siena. Per 21 anni, ogni due settimane (primapagina cartaceo era quindicinale) partivamo dalla nostra redazione alla volta di Perugia-San Sisto a mezzanotte, talvolta anche all’una o le due, per consegnare il giornale impaginato su flani di carta lucida, per la stampa in rotativa. Primapagina veniva stampato in coda ai quotidiani (che allora erano una decina)…
E la mattina dopo tornavamo a Perugia per ritirare i pacchi delle copie da mandare in distribuzione… Eravamo diventati habitué e amici con gli operai della tipografia, con gli addetti alle locandine, alle pre-stampa. Nell’arco di 21 anni ne abbiamo visti cambiare parecchi. Quell’odore di inchiostro, di carta, di olio delle rotative, il rumore infernale, quei flani che venivano trasformati in un rullo inciso e uscivano come un giornale a 20-24 pagine formato tabloid, piegato e impacchettato, facevano parte del nostro lavoro.
Abbiamo bestemmiato parecchio quando qualcosa non andava, quando le copie stampate finivano per sbaglio sul camion per Terni o Città di Castello, quando, la mattina la stampa non era stata effettuata, per un qualche motivo e toccava chiamare uno di quegli operai perché venisse a finire il lavoro e ci facesse la grazia di stampare il nostro quindicinale. Bestemmiavano anche loro, gli operai, ma poi lo facevano volentieri. Se potevano davano sempre una mano, sapevano che eravamo come loro, poveracci sulla stessa barca e un giorno di ritardo poteva significare perdere dei soldi, degli sponsor…. E’ stata dura. Qualche volta sulla via del ritorno, sulla Pievaiola, un po’ per la stanchezza, un po’ per l’ora poco consona ai viaggi, vedevamo cose strane, animali mitologici. Una volta, sui tornanti del Fornello, un cervo albino… che poi scoprimmo era “attenzionato” da tempo da stuole di cacciatori. Non fu insomma una visione.
Anche allora non eravamo d’accordo su niente con il Corriere dell’Umbria e con il Corriere di Siena, li consideravamo concorrenza, ma non la migliore, eppure quella tipografia (che per un periodo al piano di sopra aveva un night club e nel posteggio c’era un traffico… ) rimarrà sempre la capanna dove ogni 15 giorni nasceva primapagina, che noi aspettavamo come i pastori il bambinello. Anche d’estate. Perché ogni 15 giorni l’uscita di primapagina era un parto, non scontato, non facile. Pieno di insidie. Solo negli ultimi anni (2009, 2010 e 2011) ci venne in soccorso la tecnologia: i files per la stampa potevamo inviarli in Pdf per via telematica. Il viaggio notturno di andata riuscivamo ad evitarlo, quello per il ritiro delle copie stampate, ovviamente no. Cominciò a mancarci però quell’odore d’inchiostro e quel rumore infernale. Era l’inizio di un’altra era. Per alcuni anni, da metà 2011 al 2015 compreso la stampa di Primapagina l’abbiamo fatta in proprio in digitale; dal 2016 il passaggio totale alle versione on line, certo più immediata, più rapida, non più periodica, ma quotidiana. Anche meno costosa e meno faticosa nella gestazione rispetto alla versione cartacea che presupponeva doppio e triplo ruolo, anche quadruplo: giornalisti, impaginatori, grafici, trasportatori… Oggi ci limitiamo a scrivere, a titolare e a scegliere qualche foto appropriata, rilanciando l’articolo anche sui social. Tutto molto più smart, ma anche molto meno romantico. Ovviamente anche prima non era solo romanticismo…
m.l.
Vero, verissimo…in piccola parte ho vissuto anch’io quell’epopea attorno a Primapagina, ma se richiedeva il dispendio di ben altre forze economiche e temporali, dall’altra devo dire che era un altra emozione sentire il ruotare delle rotative e l’odore dell’inchostro che veniva assorbito dalla carta mentre quelle le rotative giravano sferragliando e coprendo la voce degli operai- addetti anche a notte fonda che urlavano fra di loro dandosi i comandi e le notizie di come e quando controllare ed intervenire nel processo produttivo,voci che sovrastavano il rumore delle ferraglie di un serpente d’acciaio che si scuoteva e che sputava carta stampata. C’era in quel processo qualcosa come dire ” di primordiale” paragonabile alle officine o fucine di un secolo passato dove ferveva una catena di produttori che si dedicavano senza sosta alla manovra delle prime automazioni,quasi una fucina meccanica dove si passa dalla materia prima al prodotto finito attraverso una serie di passaggi che dovevano essere controllati dai produttori-operai che si affannavano intorno e che non perdevano mai di vista quel mostro d’acciaio che sputava il prodotto finito.Per rendere bene l’idea sulla differenza delle emozioni parlando di Sport e paragonando il lato emozionale di certe manifestazioni, anzi più propriamente di automobilismo, è come vedere oggi una Gran Premio in televisione contrapposto al fatto di essere ai bordi della pista,dove si sentiva il rombo che ti rempiva lo stomaco di un dodici cilindri Ferrari tirato a dodicimila giri. Altre emozioni al posto di un ronzio sordo e continuo che oggi s’impone dalle regole di un mondo già tutto organizzato dove nulla è lasciato al caso e dove il fattore umano ed emozionale è quasi del tutto cancellato.Si, volendo, oggi pigiando un bottone di un qualsivoglia computer si può leggere una qualsiasi ” Primapagina” dall’ America,dal’Asia oppure da qualsiasi altra parte del mondo ed è la globalizzazione che lo pone in essere tale processo che usa la tecnologia ma diciamolo pure che toglie emozionalità ad una parte del lavoro creativo degli addetti ai lavori e che fà loro percorrere logiche produttive che lasciano poco spazio alla creatività ma che forse possono essere fonte di altre creatività più tecnologiche, piegabili es adattabili e sottoposte più velocemente alla logica produttiva odierna.E l’uomo non è fatto solo di mera materia anche se si capisce bene che il progresso tecnologico tendenzialmente e teoricamente possa liberare l’uomo dal bisogno e dalla fatica. Ma alla fine credo che occorra chiedersi se sia proprio cosi e la risposta sarebbe forse quella che debba comprendere il fatto relativo al sistema all’interno del quale tale liberazione dai bisogni venga espletata.Il principio di liberare dal bisogno è giusto ma se per farlo si debba privare altri dal lavoro con il quale possano vivere, la vita diventa una prigione per tanti ed un arricchimento per pochi.Ed oggi tutto questo meccanismo cresce sempredipiù e viene usato in misura semprepiù squilibrata a sfavore degli uomini.Questo è il problema che il sistema non ha risolto e che però ci spinge a pensare che sia il progresso tecnologico la salvezza dell’umanità.Credo che stia crescendo il numero di chi dubiti che avvenga questo proprio perchè è l’uso che ne viene fatto di tale progresso che è un uso distorto e che produce dislivelli sociali e sottocultura ed e alla fine anche le guerre che spesso o sempre sono le guerre che fanno i ricchi contro i poveri.