PASOLINI, BERLINGUER E BIANCIARDI: QUEL CLUB DI CENTENARI ANCORA GIOVANISSIMI
Dall’inizio di marzo giornali e tv, oltre che della guerra in corso in Ucraina ci hanno parlato anche di due anniversari, due centenari tondi dalla nascita di due figure che hanno senza dubbio segnato la seconda parte del ‘900: Pier Paolo Pasolini ed Enrico Berlinguer. Lo scrittore, poeta e regista scomodo e lungimirante, ucciso barbaramente il 2 novembre del ’75 al lido di Ostia e il segretario del Pci, morto a 62 anni, nel 1984 pochi giorni dopo l’ictus che lo colpì durante un comizio elettorale a Padova, che provò a portare a termine parlando a fatica, come un disco che gira a velocità più ridotta…
Due figure cruciali della cultura e della politica. Diciamo pure due “giganti” a dispetto del fisico non proprio da corazziere di entrambi… Due grandi sconfitti. Dei quali però ancora oggi si sente clamorosamente e fragorosamente la mancanza. Due comunisti. Il primo espulso dal Pci, ma sempre fedele non solo all’idea, ma anche al partito, che considerava comunque “un paese pulito in un paese sporco, un paese onesto in un paese disonesto, un paese intelligente in un paese idiota, un paese colto in un paese ignorante…”. Ma appunto un “paese separato” che con il resto del Paese poteva avere un rapporto “diplomatico”… in questo senso considerava il compromesso storico di Berlinguer, come una “alleanza tra due stati confinanti o tra due stati incastrati l’uno nell’altro”...
Detto questo però, Pasolini vedeva nella “diversità” del Pci anche il suo limite, ovvero un contropotere, che però era esso stesso potere, con i dirigenti del partito che “non potevano che comportarsi anch’essi come uomini di potere…”.
Berlinguer, nato un mese e 20 giorni dopo Pasolini, quest’ultimo il 5 marzo e lui il 25 maggio del ’22, è stato senza dubbio un grande segretario, colui che era riuscito nel decennio dei ’70, a fare davvero del Pci il partito nuovo ideato da Togliatti, un partito veramente di massa, ma sempre più sganciato dall’ortodossia filosovietica (cosa che Togliatti non fece), sempre più europeista e addirittura “atlantista”. Il Pci di Berlinguer che arrivò alla soglia del 34% dei voti, quando ancora votava il 90% degli elettori, era un partito in cui convivevano il pragmatismo di sindaci e amministratori locali e regionali, la capacità di rimanere radicati al territorio, ai luoghi di lavoro dei segretari di sezione, la fantasia, la creatività e anche certe spinte visionarie di scrittori, musicisti, cineasti, pittori. “Qualcuno era comunista perché Berlinguer era una brava persona” cantava Giorgio Gaber. E in effetti Berlinguer è stato un segretario e un politico molto amato, forse il più amato di tutti, proprio per questo. Per il rigore e l’onestà intellettuale con cui sosteneva le sue posizioni. Fu anche uno dei primi a porsi e a porre il problema della “questione morale” e anche della “questione ecologica”. Era avanti Berlinguer, solo che perse quando i quadri della Fiat gli sfilarono contro, e soprattutto è morto troppo presto. Senza nulla togliere ad Alessandro Natta e a Occhetto che ne presero il testimone, forse con Berlinguer vivo e al pezzo, la storia della sinistra sarebbe andata diversamente. Senza, sappiamo come è andata. Pensare che adesso Pasolini e Berlinguer avrebbero 100 anni, fa un po’ impressione. Ci fa capire come il tempo passi veloce. E inesorabile.
Quest’anno, 2022, ricorre un altro centenario della nascita. Ancora uno scrittore, ancora uno di quelli che hanno segnato la letteratura italiana del secondo ‘900, e un altro che è morto prima del tempo. Non aveva neanche 50 anni…Si tratta di Luciano Bianciardi. Grossetano trapiantato a Milano. Dove si trasferì per fare “il lavoro culturale”, ma anche perché voleva far saltare in aria il Palazzo della Montedison, come vendetta per la strage dei minatori di Ribolla, nel grossetano, avvenuta per lo scoppio di un tunnel nel 1954…
Bianciardi i 100 anni li compirebbe il 14 dicembre, ma a Grosseto e provincia le celebrazioni sono già cominciate. In questi giorni è in corso una sorta di festival itinerante “I luoghi del tempo”, dedicato appunto allo scrittore morto nel 1971. A Ribolla, a Castiglione della Pescaia, a Talamone, a Giuncarico, ad Alberese, a Niccioleta, fin al 12 giugno si tengono conversazioni, passeggiate, concerti per parlare di Luciano Bianciardi. Tra le presenze Davide Riondino, Giovanni Veronesi, Stefano Mancuso, Marino Bartoletti, Ascanio Celestini, ma anche i musicisti Ginevra Di Marco, Francesco Bianconi, Francesco Magrelli, Max Casacci. Anche a Grosseto città una serie di altre iniziative letterarie ricorderà lo scrittore, la sua amicizia e il suo rapporto con Cassola, le sue opere, quelle più note e quelle meno note.
Anche Bianciardi è stato uno scrittore scomodo. Per molti versi anche incompreso. E’ stato un grande traduttore di autori americani, ma soprattutto ha raccontato in maniera magistrale, senza fronzoli e con una lucidità estrema i primi anni del boom economico, con tutte le contraddizioni che il boom stesso si portava dietro, così come ha raccontato la durezza del lavoro nelle miniere della Maremma… “Dalla sede centrale mandavano a dire ogni mese che la miniera costava troppo, facevano i conti lassù e trecentocinquanta tonnellate uomo-giorno rappresentavano una perdita pura… Raddoppiasse la produzione, subito, almeno settecento tonnellate per quest’anno, oppure lui il direttore, cominciasse a cercarsi un altro posto… Quel direttorino doveva ficcarselo bene in testa che qui non era storia di rapporti tra uomo e uomo, tra operaio e dirigente e ditta, ma fra uomo, giorno e tonnellata”… Da La vita agra, 1962.
Trovate una spiegazione più sintetica e più efficace e comprensibile dei rapporti di produzione.
Ma anche le descrizioni che Bianciardi fa della Milano dei primissimi anni ’60, quando cercava di sbarcare il lunario con traduzioni di London, Faulkner, Steinbeck, Miller e articoli per giornali come l’Avanti! il Giorno e l’Unità, ma pure per testate non certo intellettuali come ABC, Playman, o il Guerin Sportivo sono altrettanto sferzanti, delle vere e proprie istantanee.
Come Pasolini anche Bianciardi è stato un “atipico”, una voce fuori dal coro. Era senza dubbio di sinistra, scriveva per l’Unità, ma non si iscrisse mai al Pci. Era un arrabbiato-disincantato-deluso, un “anarco insurrezionalista” letterario, verrebbe da dire. Uno sconfitto dal consumismo e dalla stessa industria culturale. La Feltrinelli lo licenziò per scarso rendimento… Un perdente, come tanti altri. Che si perse in una vita sregolata e nella dipendenza dall’alcol, che infatti se lo portò via che non era finito neanche il primo tempo… Se fosse vissuto a fine ‘800 sarebbe stato uno scapigliato o un bohemien. Ha vissuto e scritto negli anni ’50-60, è stato Luciano Bianciardi. Basta e avanza.
In ogni caso, a pensarci bene, ci sono dei centenari come questi tre, che sono tutt’oggi giovanissimi. Rileggere ciò che hanno detto e scritto Pasolini, Berlinguer e Bianciardi è un esercizio che consigliamo per quest’estate. E anche una qualche puntata in Maremma nei “luoghi del tempo” potrebbe essere una buonissima idea. Non è neanche tanto lontana. E c’è il mare, quello bello, in Maremma.
Marco Lorenzoni