GIORNATA DELLA MEMORIA: CHIUSI, QUEI FERROVIERI CHE LIBERAVANO I DEPORTATI DAI VAGONI PIOMBATI
DOMANI ALLA STAZIONE DI CHIUSI, ORE 11,00, UNA CERIMONIA COMMENORATIVA E UNA TARGA RICORDO
2005, il 27 gennaio si celebra la Giornata della Memoria. La data non è casuale. Il 27 gennaio del 1945 è il giorno in cui l’Armata Rossa aprì il cancello del campo di sterminio nazista di Auschwitz, in Polonia, liberandone i superstiti e consentendo al mondo di conoscere quella terribile verità. Una giornata dunque in memoria delle vittime della Shoa e di tutte le vittime delle deportazioni operate dai nazifascisti. Ebrei in gran parte, ma anche zingari Rom e Sinti, omosessuali, comunisti e oppositori o presunti tali. Di solito la Giornata della Memoria si celebra ascoltando le testimonianze di chi ha vissuto quella tragedia, come Liliana Segre, leggendo brani di scrittori che l’hanno raccontata come Primo Levi, proponendo spettacoli teatrali, letture, film sul tema. Tutto ciò perché non si dimentichi, per mantenere viva la memoria, appunto. Perché senza memoria non c’è futuro.
La ricorrenza di quest’anno, vogliamo celebrarla proponendo un brano tratto da un libricino di testimonianze intitolato Nove mesi, ovvero i 9 mesi che intercorsero, in questo territorio, tra l’8 settembre del ’43, data dell’armistizio e dell’inizio dell’occupazione tedesca in Italia e il giugno del ’44 quando la zona fu liberata dagli Alleati e dai partigiani. Il brano in questione racconta un episodio avvenuto in quel periodo, alla stazione di Chiusi, così come lo raccontò uno dei protagonisti, un ferroviere castiglionese. Episodio che riguarda proprio le deportazioni verso i campi di concentramento e di sterminio. Ecco il testo:
Nei mesi di ottobre e novembre del ’43 prima che a stazione fosse bombardata e distrutta a Chiusi c’era un gran via vai di treni, tutti scortati dai soldati tedeschi. Erano carri bestiame coi agoni piombati. Alcuni stavano fermi per ore a Chiusi, in attesa di ripartire verso nord. Dentro non c’erano mucche o pecore, ma persone. Io facevo il manovratore delle ferrovie: dovevo azionare gli scambi a mano. A Chiusi ci andavo in bicicletta, tutti i giorni. Abitavo nei pressi di Panicale. Alle volte io e un mio collega che abitava vicino a me si andava a lavorare insieme, in due sulla stessa bicicletta: uno pedalava e l’altro teneva il manubrio, seduto sulla canna. Mi ricordo che u giorno, mentre ero al lavoro, vid uno di que treni fermo alla stazione . Era lunghissimo. Dentro c’era gente che si lamentava e chiedeva acqua e pane. Alcune persone che erano lì ad aspettare i loro treni, provarono a passare a quei disgraziati delle bibite, qualche panino, ma i tedeschi di guardia li bloccarono urlando e minacciando di sparare.
C’era un prete, ce poi seppi essere il vescovo di Chiusi: si mise la fascia alla vita come pr dare la benedizione, quindi andò a parlare con il comandante della guarnigione tedesca e poco dopo si fece tramite tra la gente che era sulla pensilina e quei poveracci che erano dentro i vagoni, passando loro acqua e pane e bibite…Dopo un po’, mi ricordo come fosse ora, dai vagoni cominciarono ad essere lanciati fuori dei biglietti, sembravano coriandoli: molti li davano direttamente in man o al vescovo dai piccoli finestrini, altri li gettavano fuori e le persone li raccoglievano. Ne raccolsi qualcuno anche io: c’era un nome e un indirizzo. Seppi più tardi che il vescovo inviò a tutte quelle famiglie una cartolina con su scritto “ho visto vostro figlio, di passaggio per Chiusi. Sta bene e vi saluta”.
Quei disgraziati rinchiusi e stipati nei carri piombati erano ebrei e soldati italiani fatti prigionieri. Li deportavano i Germania. Per farli lavorare, dicevano. Come detto, ogni giorno vedevamo passare quei treni: era uno strazio. Ma che potevamo fare? I partigiani un giorno riuscirono a sabotare un vagone e afar scappare tre o quattro prigionieri. Erano tutti ufficiali dell’esercito italiano che poi si unirono ai combattenti sul Monte Cetona. Si trattava di azioni rischiose, tra l’altro difficili: se ti scoprivano finivi dentro il vagone piombato pure te, o ti fucilavano sul posto. Eppure non mancarono episodi di eroismo. Ma per un motivo: perché quando vedi certe situazioni diventi eroe per forza. Certe cose non si possono sopportare. Una volta anch’io mi son trovato a fare l’eroe, o quasi. Una sera che facevamo il turno di notte, due miei colleghi, uno di Chiusi e uno di Castiglione del Lago mi pare (non erano partigiani, anzi: uno aveva anche a tessera del Pnf, che diceva di aver dovuto prendere per essere assunto in ferrovia; se col cazzo!) vennero a lavoro con due grosse tronchesi. Mentre il treno era fermo, un po’ fiori della stazione, in una zona buia, mi dissero di fare chiasso nel mio lavoro per attirare l’attenzione delle sentinelle. Io cominciai a picchiare con una mazza, facevo un baccano della madonna! Loro si avvicinarono ad un vagone e, non so come fecero con le tronchesi e un paranco riuscirono ad aprirlo e poi tornarono a lavorare e si misero anche loro a picchiare con la mazza. Appena il treno ripartì, fatte poche centinaia di metri, alcuni prigionieri saltarono giù, dileguandosi nella campagna, verso il Ponte di ferro. Non ho mai saputo se riuscirono a salvarsi o se li ripresero. Ma non credo, altrimenti ci sarebbero state rappresaglie, che non ci furono. Dopo quell’azione, rientrando a fine turno verso il nostro deposito, incrociammo un soldato tedesco di quelli che erano di guardia al treno fermo. “Ora ci spara” dissi al mio collega. Ci guardò negli occhi, accennò un sorriso e un mezzo saluto militare. Non aveva la faccia da aguzzino e portava gli occhiali. Forse non ci vedeva bene e non aveva visto niente. O forse no.
Il libricino citato è, come già detto, “Nove mesi” di Marco Lorenzoni, Edizioni Del Bucchia (2009). La testimonianza è quella di G.B. di Castiglione del Lago, “manovratore Fs alla stazione di Chiusi” morto nel 1998. Per riservatezza e per non voler apparire come “persona che si vanta di aver compiuto atti eroici quando ha solo aiutato due amici a fare quello che era giusto fare” G.B. volle che il suo nome rimanesse soltanto siglato e non fosse divulgato. Volontà rispettata nel libro, in uno spettacolo teatrale allestito nel 2004 dagli studenti del Liceo Calvino di Città della Pieve, e che rispettiamo anche oggi, in questo articolo.
Come si vede si può essere eroi anche nostro malgrado. Solo perché ci sono cose e situazioni che non si possono sopportare, che scatenano la rivolta della coscienza anche se ciò può essere molto pericoloso per sé e per altri. Si può essere eroi solo perché si decide di fare la cosa giusta. Perché non puoi fare altro. Anche in questo territorio ci fu in quei 9 mesi la resistenza armata, quella dei partigiani e di chi li aiutò, ma ci fu anche una resistenza fatta di piccole cose, di gesti individuali o di pochi dettati solo da un moto di coscienza. Gesti d’istinto, umanitari, fatti senza porsi troppe domande.
Quel ferroviere ha avuto pudore a passare per un eroe. Un pudore che ancora oggi lascia tramortiti, come il pensiero di “quei disgraziati” dentro i vagoni piombati fermi alla stazione. Quanti saranno tornati a casa? Quanti saranno riusciti a scappare in seguito ad azioni come quella dei ferrovieri chiusini? Ci piace anche pensare che quel soldato tedesco con gli occhiali non è che ci vedesse poco, non volle vedere. “Non aveva la faccia da aguzzino” dice il testimone-protagonista. Forse è così, tra soldati della Wehrmacht, che scortavano e facevano la guardia ai treni, non tutti erano fanatici come le SS della divisione Herman Goering che a Chiusi, nel giugno del ’44 diedero filo da torcere agli Alleati che liberarono la città.
In occasione della Giornata della Memoria, domani 27 gennaio 2022, a Chiusi si terrà una cerimonia commemorativa: Comune e Anpi, proprio alla stazione ferroviaria, alle ore 11,00 apporranno una targa in ricordo dei deportati verso i campi di prigionia e di sterminio. Molti di loro passarono per la stazione di Chiusi, dentro quei cari bestiame, prima di arrivare ad Auschwitz, a Dachau, a Treblinka…Qualcuno per fortuna e grazie al coraggio e alla pietà di alcuni lavoratori non ci arrivò mai. E ci fu tra questi ultimi chi si fermò da queste parti a combattere insieme ai partigiani fino alla liberazione. Forse sentirono anche loro il dovere di farlo, per coloro che erano rimasti sui treni…
Nella foto (di repertorio): una scena simile a quella vista dal protagonista alla stazione di Chiusi alla fine del ’43.