CHIUSI E UN PASSATO INDUSTRIALE CHE E’ ORMAI SOLO ARCHEOLOGIA (DA STUDIARE E VALORIZZARE)
CHIUSI – Camminando per strada non è che uno si sofferma ad osservare i tombini. Ma a Chiusi Scalo, osservare i tombini può farti fare un salto indietro di 50 anni e passa. Può riportarti agli anni in cui Chiusi Scalo non solo cresceva a vista d’occhio, con i palazzoni che sostituivano le casette basse a uno o due piani e andavano a riempire tutti i prati, come nella via Gluck di Celentano, ma era anche una discreta “realtà industriale”. Che è diversa da una realtà commerciale e artigianale.
Il tombino immortalato nella foto risale a quegli anni. Diciamo tra il 1950 e il 1965. Porta infatti al centro un ovale con la scritta “Officine Fonderie Chiusi”. Il che vuol dire che è stato prodotto in loco. Nelle Officine Fonderie Chiusi. Sì, perché a Chiusi Scalo c’era anche una fonderia. Era una succursale di una ditta di Foligno che aveva mandato a Chiusi anche alcune maestranze, per insegnare il mestiere e avviare l’attività. Si trovava in via Cassia Aurelia, dove adesso c’è il Commissariato di Polizia e dove, dopo la fonderia, ha avuto sede anche una ditta di materiali per l’edilizia. La fonderia chiuse i battenti nel ’65 e le maestranze trovarono lavoro nelle aziende artigiane metalmeccaniche che cominciarono a nascere, per rispondere alla forte domanda di infissi, serramenti, cancelli ecc. che cresceva con il boom edilizio. Quel tombino è in sostanza un pezzo da museo in esposizione permanente en plain air… Un reperto di archeologia industriale. Quando la scritta sarà consumata del tutto, come in altri tombini identici, ma posti su strade più transitate, anche il museo a cielo aperto non sarà più visitabile. Ne abbiamo già parlato altre volte, anche sul giornale cartaceo, anni fa. Adesso ci torniamo perché quei tombini si stanno consumando e tra un po’ non saranno più visibili, con essi sparirà anche la memoria di passato industriale rilevante.
Eppure il passato industriale di Chiusi e Chiusi Scalo in particolare meriterebbe di essere studiato, approfondito, valorizzato. Alla fine degli anni ’60 ad esempio fu abbattuto a colpi di maglio, il vecchio “Pastificio Pianigiani” e nello stesso periodo chiuse i battenti anche il “Pastificio Rettori” due opifici storici che si trovavano uno dirimpetto all’altro in via Fabio Filzi, laddove oggi c’è il Supemarket Carrefour (ex Super Co-chi) e il Chester Pub.
Nel 1977 chiuse la vecchia fornace Sail di Via Oslavia che rimase attiva per un po’ nella parte nuova costruita sul retro… Fino a tutti gli anni ’60 vi lavoravano centinaia di operai, uomini e donne. Un’altra fornace era alla Biffe. Quella chiuse prima…
Ma il grosso del tessuto industriale chiusino fu spazzato via dalla crisi del ’29 e ciò che restò in piedi, dalla guerra che lasciò Chiusi ridotta in macerie. C’erano una filanda, classica industria ottocentesca a manodopera femminile, un opificio che produceva materiale cementizio, un “sansificio” che trasformava la sansa di oliva in olio lampante per uso non alimentare. L’industria più famosa però era la “Distilleria Pianigiani” che pare avesse inventato il brevetto di un drink diventato poi famosissimo in mano ad altri…
Ma negli anni 20 a Chiusi Scalo oltre le industrie, c’erano anche officine meccaniche per la riparazione di auto, moto e corriere tra le più rilevanti della provincia di Siena e dalla vicina Umbria, come l’Officina Mori (di cui è ancora oggi visibile il pomposo marchio con l’aquila su una ruota) nel palazzo che oggi ospita la filiale Unicredit, o l’Officina Donati nei pressi della stazione. Era un paese “futurista” Chiusi Scalo, dove il rombo del motore delle auto e delle moto era già familiare tra il 1910 e il 1930… Nel ’26 c’era una concessionaria della Harley Davidson. Che poi forse – dato che al regime dell’epoca non piacevano i prodotti, la lingua e le tendenze anglofone o americane, passò alla autarchica Moto Guzzi o alla altrettanto autarchica Gilera. Ma su questo le testimonianze e i ricordi però non collimano e lasciano dei dubbi…
Qualche anno fa fu allestita una bella mostra itinerante nei negozi dello scalo, con foto “prestate per l’occasione” dalle famiglie interessate. Qualche negozio ce ne ha ancora qualcuna attaccata alle pareti… Forse meriterebbe riprendere quel discorso e rilanciare una riflessione sul passato industriale e produttivo di una città che sembra aver perso quell’afflato di innovazione e sperimentalismo che ebbe nel primo e nel secondo dopoguerra, per capire il passato, certo, ma anche per cercare qualche risposta per il futuro. La storia nasconde sempre qualche ricetta interessante anche per l’avvenire.
Intanto vorremmo proporre al Comune di “salvare” quel tombino prodotto dalle Officine Fonderie Chiusi e assicurarlo alla futura memoria. Si trova in via Meucci, all’altezza del campetto della parrocchia. E da lì, magari ripartire… A Chiusi c’è un museo civico, ci sono spazi nel Palazzo della Cultura e della Biblioteca (ex scuole elementari del centro storico), forse una sezione museale dedicata all’archeologia industriale e al passato recente della città potrebbe anche essere un’idea. Se mai dovesse partire il recupero dell’area ex Fornace, uno spazio del genere lì ci starebbe proprio bene.
m.l.
Nel museo civico c’è una sezione dedicata alle attività produttive anche novecentesche soprattutto agricole ma con anche elementi industriali (fatture, pubblicità ecc.). I suoi spazi invece che uno sviluppo degli spazi e dell’allestimento? Anche con una guida scritta che non è stata mai pubblicata (anche per il resto delle sezioni del museo civico). Credo che l’errore fu nella scelta iniziale degli spazi adibiti alle tre sezioni. Quella Attività Produttive si prestava più ad essere allestita in Via Ciminia II nei locali che oggi ospitano la sezione Città Sotterranea, un tempo sede della famosa Tipografia Gentilini. Mentre la Città Sotterranea propedeutica alla visita dei cunicoli in rapporto di contiguità fisica con gli stessi sarebbe stata più logica e funzionale alla visita degli stessi.
È vero che al momento dell’allestimento delle tre sezioni già erano realizzati alcuni degli apparati esposti, come il mega plastico dei cunicoli, molto bello ma trascurato per esigenze di tempo per le visite in sotterranea e peraltro poco fruibile come attualmente posizionata rispetto al punto di vista del visitatore.
X Roberto Sanchini.Conseguentemente a quanto da lei rispostomi nell’intervento riguardante anche il ” Grosso agontano di Chiusi” e per avere informazioni da lei su tale argomento,io ho cercato di contattarla al numero di cellulare fornitomi dal Museo per ben tre volte. Ma non ho avuto nessuna risposta.Se mi potesse fornire la sua mail le sarei grato senza ovviamente pubblicare i numeri dei cellulari sul giornale on line per questioni di privacy.Grazie. A tale scopo il mio numero di abitazione è anche nell’elenco pubblico Telecom.Grazie. Carlo Sacco.
La mia email è robertosanchini@gmail.com.
Se poi mi dice l’orario in cui mi ha chiamato riesco a salvare il suo numero così sono sicuro di rispondere o richiamare. Purtroppo sono perseguitato dalle pubblicità ed evito di rispondere a numeri che non conosco
Si per l’essere perseguitato dalla pubblicità per la vendita di prodotti o servizi, lo sono anch’io.Ho provato a suo tempo ad essere iscritto al ”registro delle opposizioni” per non essere chiamato, ma mi sono in breve tempo reso conto non serve a nulla,nessuno lo consulta e le chiamate continuano imperterrite seguite dalle mie minacce di sconfinare nel penale avverso le ditte che chiamano.La ragione del vendere è superiore ad ogni limitazione e disposizione di legge purtroppo.Ho preso nota della sua e-mail ed appena posso la contatto perchè veramente mi creda sono molto curioso di questa storia del ”Grosso agontano di Chiusi” ed appassionato della storia e della numismatica.Grazie della sua disponibilità. Carlo Sacco.