26 GIUGNO, LA LIBERAZIONE DI CHIUSI: QUEST’ANNO VOGLIAMO RICORDARE I PARTIGIANI E MILITARI COMBATTENTI?

lunedì 08th, giugno 2020 / 17:54
26 GIUGNO, LA LIBERAZIONE DI CHIUSI: QUEST’ANNO VOGLIAMO RICORDARE I PARTIGIANI E MILITARI COMBATTENTI?
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CHIUSI – Da 2016 il Comune di Chiusi, il 26 giugno celebra in forma ufficiale la Liberazione della città, avvenuta appunto quel giorno del 1944 dopo una dura battaglia tra la guarnigione tedesca di stanza nella città (i paracadutisti della famigerata Divisione SS Herman Goering) e le truppe alleate.

E proprio per onorare il sacrificio di quei ragazzi quasi tutti di 19-20 anni venuti volontari dal Sudafrica a combattere il nazifascismo in Italia con l’esercito britannico, la celebrazione è avvenuta per 4 anni di fila, con una visita ad un cimitero di guerra del Commonwealth dove riposano le spoglie dei caduti a Chiusi e nei dintorni. Nelle battaglie di Città della Pieve, e poi sulle colline del Trasimeno per esempio.

Nel 2016 ad Orvieto, nel 2017 a Foiano della Chiana, nel 2018 ad Assisi e nel 2019 a Bolsena. L’iniziativa fu istituzionalizzata dalla giunta Bettollini, da poco insediata, dopo che nel 2014 e 2015 l’aveva promossa e organizzata Primapagina, in collaborazione con l’ANPI.

Quest’anno, al di là dell’emergenza covid, che ha cancellato molte iniziative, compresa la consegna della Costituzione ai nei 18enni (avvenuta a domicilio e non in piazza, come sempre), e dopo che il “giro” dei cimiteri di guerra si è concluso, non sappiamo di preciso cosa abbia previsto l’Amministrazione Comunale per celebrare la ricorrenza.

Come facemmo 6 anni fa, ci permettiamo di avanzare una proposta al Comune, che dal 2016 in poi ha mostrato su questo terreno grande sensibilità e condivisione. La proposta è quella di concludere il giro dei cimiteri in cui riposano i “liberators” alleati, con una visita ufficiale e istituzionale al cimitero di Chiusi, per rendere omaggio ai “liberatori” del luogo. Cioè ai partigiani combattenti, ai militari chiusini che dopo l’8 settembre ’43 scelsero di continuare a combattere a fianco degli Alleati e della Resistenza, come il chiusino Mario Morgantini, Medaglia d’Oro al Valor militare, caduto ad Alfonsine (Ravenna) nella battaglia del Senio ma sepolto a Chiusi,  a quelli catturati dai nazisti e morti nei campi di prigionia o fucilati. 

E per rendere omaggio anche a quei soldati che si schierarono con i partigiani, ma caddero per mano di partigiani stessi come “il polacco” Joseph Kluczinij, fucilato per motivi mai chiariti dai partigiani della Simar sul Monte Cetona e Pietro Guazzini, militare passato coi partigiani titini in Jugoslavia e passato per le armi insieme ad altri commilitoni perché tra loro c’era anche un ufficiale fascista.

Ci piacerebbe che nell’occasione fossero ricordati anche i ferrovieri di Chiusi e dei paesi limitrofi, che in più occasioni aiutarono partigiani, militari sbandati a salire sui treni e a liberare e far fuggire alcuni prigionieri destinati alla deportazione nei campi di prigionia e di sterminio…

E con loro pure gli antifascisti che magari non parteciparono ad azioni armate, ma costituirono il CLN locale e poi l’ossatura della nuova organizzazione democratica come il primo sindaco dopo la Liberazione Luigi Romanini, Bruno Donati, Loris Scricciolo, Piero Duchini, Mario Bologni, Luigi Boni, Foresto Paolucci, Lauro Tofani, Carlo Rossi, Eligio Nocentini…

Quanto ai partigiani combattenti, Chiusi diede un contributo importante alle bande attive nella zona con alcune decine di effettivi.

Tra questi Ermanno Mario Baldetti  detto “Bibi”,  morto sul Monte Cetona, il 16 giugno ’44, Medaglia di bronzo al V.M.; Ermanno Margheriti, fucilato a Brescia il 6 febbraio ’44, Medaglia di Bronzo alla memoria. E poi Dino Morelli, Natale Tiradritti cui è intitolata la sez. ANPI; Dino Dell’Agnello detto “Quintale”, Alberto Laurini, Deo Totini, Pliamo Pennecchi, Giovacchino Rossi detto “Nino”,  Orlando Rapi, Libero Betti Roberto Rossi detto “Capino”, Bruno Radici detto “Bombò”, Goffredo Pucci, Armando Bistarini, Carlo Rossi, Lino Talozzi, Vito Volpi, Cesare Paolucci, Lido Lisi, Grimbo Marchini, Francesco Rosati, Aroldo Luigi Galli, Lino Toppi, Egone Marchini, Eraldo Morgantini, Francesco Stendardi, Provimo Giulianelli , Bruno Crocchi, Fabio Morgantini, Elvio Barni, Bruno Fiorini, Renato Spadea, Livio Laurini, Ilio Dell’Agnello detto “Stoppino”, Dino Antolini, Piero Barni, Pilade Barni, Quintilio Bernardini, Attilio Bertoldi, Remo Bertoldi, Giuseppe Biagioli, Piero Bozzi, Adolfo Chionne, Marino Culicchi, Santi Del’Agnello, Antonino Della Marta, Enea Fabbroni, Ezio Faralli, Sirio Feri, Domenico Fiorini, Guglielmo Giannotti, Enrico Grigioni, Elio Laurini, Leonetto Lavagni, Mario Lisi, Nublio Marcantonini, Mirio Marchetti, Vinicio Marconcini, Angiolino Mariotti, Pompeo Mariotti, Arturo Municchi, Enzo Neri, Giustino Picchiotti, Ernesto Picchiotti, Vittorio Nofroni, Angelo Rosati, Emo Radici, Alfredo Santoni, Leonetto Socciarello, Lino Terziani, Lino Toppi,  Giuseppe Tramonti, Ottorino Vittori.

Non sappiamo se qualcuno è ancora vivo. In ogni caso sarebbe oltre i 90. Molti erano giovanissimi, classe 1923 e 1924, qualcuno addirittura del ’25, renitenti alla leva dopo la chiamata della Repubblica di Salò avvenuta alla fine del ’43.  Preferirono andare in montagna piuttosto che arruolarsi coi repubblichini. Non tutti avevano una coscienza politica strutturata e “matura”, ma avevano capito da che parte stare. La componente più forte era quella socialista. Poi c’erano comunisti, cattolici, liberali. C’erano giovani renitenti, ma anche ufficiali e sottufficiali dell’esercito (gli unici con esperienza di tipo militare e sull’uso delle armi), ferrovieri e artigiani, commercianti, operai, funzionari pubblici.

Nell’elenco non figurano donne, ma il contributo femminile alla Resistenza non mancò, sia nell’appoggio logistico, nell’aiuto a nascondere i ricercati, nella trasmissione dei messaggi, nei collegamenti…
Tra i partigiani chiusini, alcuni non hanno mai digerito l’eliminazione del “polacco” Kluczinij, cui erano molto legati, ordinata dal comandante della Brigata Simar Silvio Marenco che era un militare monarchico badogliano, attendista e anticomunista e in quei giorni era intento a trattare coi tedeschi. Lo stesso Marenco non volle mai stringere accordi con la formazione partigiana Risorgimento attiva sul Monte Pausillo e nel pievese, che era invece più politicizzata e diretta da esponenti del Pci. Le due visioni della Resistenza, ebbero tra i partigiani chiusini un forte impatto e anche una chiara espressione sul campo. Fu una bruttissima storia, molto simile, per certi versi a quella del militare Pietro Guazzini.
Oggi, a 76 anni di distanza dai fatti, i fatti si possono guardare con la lente della storia e non più con quella delle passioni, dei risentimenti, cercando di capire cosa successe in realtà. Perché in 7 decenni nessuno lo ha mai voluto fare.
Tornando alla celebrazione della liberazione della città di Chiusi, forse una stele – anche provvisoria in attesa di farne una definitiva, magari riunendo sotto ad essa le spoglie di coloro che sono ancora tumulati in tombe personali e non nell’ossario comune – coi nomi di tutti (i caduti nei giorni della guerra e i combattenti che diedero comunque il loro contributo) in un punto del cimitero, potrebbe essere un modo per chiudere il cerchio delle visite ai cimiteri di guerra e un doveroso tributo alla meglio gioventù che nel ’43-’44 diede la vita o rischiò di perderla per riconquistare la democrazia e la libertà e per un futuro migliore.
Dopo 76 anni un pensiero può essere rivolto anche ai ragazzi che scelsero  in buona fede di andare invece coi repubblichini a combattere a fianco dell’ex alleato diventato esercito occupante. Ovviamente con la consapevolezza piena che i primi stavano dalla pate giusta e i secondi dalla parte sbagliata.
m.l.
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