GIULIO REGENI, UN ALTRO GIORNALISTA MORTO PER RACCONTARE LA VERITA’

Ancora uno. L’ennesimo giornalista che muore ammazzato. In una zona pericolosa, ma non si sa da chi. Giulio Regeni, il ragazzo trovato senza vita, in un fosso, con il corpo straziato (forse da torture) non era solo uno studioso. Era un collaboratore de Il Manifesto. E la sua fine ricorda da vicino altre storie, come quelle di Enzo Baldoni, di Ilaria Alpi e Milan Hrovatin, di Maria Grazia Cutuli, o Antonio Russo. Più recentemente Fabio Polenghi e Vittorio Arrigoni.
Una morte senza un perché apparente. Ma in certi posti il solo parlare o scrivere di come stanno le cose è ritenuto “sconveniente”. Spesso intollerabile. E ad uccidere possono essere squadroni della morte, sicari prezzolati, bande criminali al soldo dei signori della guerra o anche il potere costituito, la polizia, i servizi segreti.
Scriveva per il Manifesto, Giulio Regeni e oggi il Manifesto adombra qualche sospetto, mettendo in evidenza le contraddizioni e le cose che non tornano nelle dichiarazioni ufficiali delle autorità egiziane. E il fatto che il ragazzo sia scomparso il 25 gennaio, anniversario della rivolta di Piazza Tahir del 2011, può essere un caso. O forse no. Perché quel giorno c’era una grande mobilitazione giovanile al Cairo.
E poi, scrive il Manifesto, Giulio temeva per la sua incolumità, tanto che aveva chiesto di firmare i suoi articoli solo con un pseudonimo… E il Manifesto è finito spesso nel mirino di attentatori, sequestratori e bande armate. E’ una voce scomoda. Da sempre.
E certo la morte di Giulio Regeni, giovane reporter italiano, stride con la visita ufficiale di una delegazione confindustriale con la Ministra Guidi al Cairo, per stringere rapporti commerciali con il regime egiziano. Regime che il premio Nobel Orhan Pamuk ha definito “come quello di Pinochet”.
Vedremo quale “verità” emergerà dalle indagini. E ci auguriamo che l’Italia (il governo italiano) chieda tutta la verità al governo egiziano, senza depistaggi o versioni di comodo.
Come Primapagina, al Forum Nazionale Cronache Italiane di Città della Pieve, abbiamo affrontato spesso questo tema: i giornalisti morti ammazzati. Nel 2007 parlammo di Enzo Baldoni, con il fratello. Nel 2008 di Peppino Impastato, anche in questo caso con il fratello.
Nel 2010 presentammo la mostra-dossier “Penne spezzate”, sui giornalisti caduti sul lavoro e sui pericoli della “professione reporter”. Solo l’anno prima, 2009, i giornalisti uccisi furono 76, 33 quelli rapiti, 573 gli arrestati, 1.476 quelli aggrediti o minacciati. Questi i giornalisti. Più un blogger morto in prigione e 151 cyber dissidenti arrestati.
Anche la lista dei giornalisti italiani caduti è lunga: il primo fu Cosimo Cristina, ucciso a Termini Imerese nel 1960, l’ultimo è Giulio Regeni. Nel mezzo tanti altri: i citati Enzo Baldoni, Ilaria Alpi, Milan Hrovatin, Maria Grazia Cutuli, Antonio Russo uccisi in zone di guerra (dall’Iraq alla Somalia, all’Afghanistan, alla Cecenia…) come Almerigo Grilz, Marco Lucchetta, con gli operatori Ota e D’Angelo… poi Fabio Polenghi, caduto in Thailandia durante scontri di piazza, e Vittorio Arrigoni ucciso nella striscia di Gaza nel 2011.
Prima di loro Mauro De Mauro, Giovanni Spampinato, Giancarlo Siani, Mauro Rostagno, Peppino Impastato, Pippo Fava e Giuseppe Alfano trucidati dalle mafie. Walter Tobagi e Carlo Casalegno fatti fuori dalle Br; Mino Pecorelli ucciso da sicari sconosciuti forse della Banda della Magliana o dei Servizi segreti…
Tra loro reporter della Rai e di grandi giornali come il Corriere della Sera, redattori di giornali come l’Ora, l’Unità o Radio Radicale, ma anche collaboratori di testate e radio locali e freelance…
Quasi tutti voci fuori dal coro, penne coraggiose, in alcuni casi pagate poco o per nulla che avevano deciso di raccontare comunque la verità. Verità scomode e ingombranti.
Certo capita più difficilmente (anzi non capita mai) che a cadere siano giornalisti “embedded”… quelli in servizio permanente effettivo nelle truppe del potere o aggregati alle truppe di occupazione. E ce ne sono tanti che la sera dagli schermi della Tv ci spiegano le cose da comodissime e super protette camere d’albergo. Noi, modestamente, da questa postazione di periferia, preferiamo senza dubbio alcuno chi rischia come Giulio Regeni. E come Vittorio Arrigoni, Ilaria Alpi o Giancarlo Siani e Peppino Impastato…
m.l.
diceva Bob Capa se la foto non è abbastanza buona è perché non eri abbastanza vicino …. Giulio era abbastanza vicino e ha pagato il prezzo conflittuale che il potere esige a chi disgela le sue trame scriveva di sindacati oppressi, scriveva di un regime di polizia scriveva di un colpo di stato. ora come spesso accade dovremo raccogliere la bandiera di giulio prima che sfiori terra con nostro impegno quotidiano.
…….utilizzare un ragazzo che si trova in Egitto, paese sotto attacco dal IS, per indagare giornalisticamente sulle ” attività ” del governo lo trovo semplicemente CRIMINALE non si può mandare allo sbaraglio un ragazzo in questo modo…………….!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Non era un giornalista. Neanche lontanamente, era un ricercatore. Informatevi prima.
Giornalista è chi racconta delle cose sui giornali… Giulio lo faceva, anche se era un ricercatore…
Che gli Stati Autoritari comprimano le libertà d’informazione è cosa nota.E non c’è da risdalire a Marx ed Engels, Croce o Gramsci per spiegare che l’analisi che ne esca è quella in cui dove per esercitare il predominio economico delle ”Borghesie” cher oggi non si chiamano più ” compradore” -ma è variato poco-si appoggiano quando non possono più reggere, agli apparati militari. Di questo nessuno si stupisce e credo che sia un messaggio questo che è passato da tempo dentro la societa. Quello per il quale secondo me ci si debba ancor oggi stupire è il modo di reagire dell’opinione pubblica definita ”informata” in un mondo globalizzzato come quello che vediamo intorno a noi.Il bombardamento che chiamerei ”dell’emergenza” fa si che risultino le situazioni in questo caso come quella dell’omicidio a scopo politico di Giulio Regeni una cosa per la quale non ci si debba più stupire.Questo la dice lunga sulla ”sublimazione” che stia dietro un fatto come è stato questo e come sono stati i fatti di Ilaria Alpi e di Rovatin e di tanti altri che hanno lottato e si sono impegnati con grande determinazione morale ed anche per amore del loro mestiere a far si che la lotta per la liberazione degli oppressi guadagnasse traguardi sempre crescenti. In una mia mostra fotografica a Città della Pieve di qualche anno addietro fatta in occasione del Convegno Annuale della ”Stampa dell’italietta” organizzato da Primapagina, ebbi ad esporre accanto alle foto di reportage un manifesto dove ricopiai queste parole tratte da un discorso di Daniel Mermet che condivisi ed ancora di più oggi condivido totalmente :” Spesso di fronte all’abitudine di vedere le tragedie umane esposte in fotografia mi si affaccia alla mente ciò che scriveva Robert Capa nel 1936 a proposito della Guerra di Spagna:: ”Questi uomini saranno morti invano,se i vivi rifutano di vederli”.Oppure la riflessione ancora più vera e più fiorte,appunto di Daniel Mermet,giornalista di Radio France Inter,opportuna proprio in risposta al cinismo dei tempi in cui viviamo:….”…Ma esporre la sofferenza non basta.Mostrare il crimine contro l’umanità non basta.per combatterlo.Lo spettacolo della disperazione non può sostituirsi alla riflessione sul male e sulla questione della responsabilità politica.Quando l’evento politico viene ridotto ad un patetico fatto di cronaca, LA PIETA PARALIZZA IL PENSIERO,l’aspirazione alla giustizia si degrada in consolazione umanitaria. E’LI’CHE SI ANNIDA LA BANALIZZAZIONE DEL MALE !!! ”
Dovrebbero riflettere molti di coloro che alla fine dei loro ragionamenti approdano alla considerazione che non serva ricercare le responsabilità e le ragioni del male,poichè quest’ultimo viene vissuto dalla maggior parte delle persone come parto dell’egoismo umano e ritenuta questa una condizione quasi naturale dell’esistenza.Si finisce in maniera più o meno cosciente-ma inevitabilmente-per fare il giuoco di coloro che organizzano consapevolmente le regole per la difesa di ciò che credono che sia il proprio orticello, poichè è nelle ”loro ragioni”-vissute e presentate come tali-che ha sede l’animale contrapposto a ciò che l’uomo dovrebbe per sua natura evolutiva poter rappresentare. Mi sembra che abbia detto già tutto…..Ma tutto questo se ci pensate bene è cosa tragica.I poveri del mondo sono poveri non tanto perchè non hanno da mangiare,ma vengono ridotti a comportamento animalesco dalle strutture dei sistemi in cui vivono e dove vige la legge del più forte,del gerarca o del satrapo di turno,che si avvale del miscuglio del sentimento religioso innestato nelle condizioni materiali dell’esistenza dei sottoposti,dalla loro stessa mente e coscienza che tali uomini hanno dentro loro stessi.Tutto questo insieme ad altri istinti naturali come è quello della sopravvivenza, spinge gli uomini ad essere schiavi e subordinati alle strutture economiche, etiche, sociali e religiose dei luoghi dove vivono.Tutto il mondo funziona così,a diversi gradini evolutivi rispetto al progresso tecnologico dove anche noi occidentali siamo immersi, ma anche il nostro funziona perfettamente in detto modo. anzi, è il nostro che è diventato negli ultimi due secoli il riferimento globale di tutti gli altri.
Chi resiste per affermare la permanenza e la ricerca della cultura e della diversità è quasi sempre schiacciato,come è toccato a Giulio Regeni,una persona intelligente che sapeva guardare lontano per se e per gli altri. e non rincorreva ” più soldi ” come fanno molti poveri con un grosso conto in banca. A lui non serviva,perchè non serve intelligenza per fare soldi, anzi la maggior parte delle volte è proprio la presenza dell’intelligenza,quella che limita tale azione…..ma purtroppo di questo e su questo l’opinione pubblica soprattutto italiana è muta e guidata.Le capacità reattive di tale opinione pubblica sono guidate, smorzate, esplicitate magari con quel sentimento che diceva appunto Daniel Mermet :
” l’aspirazione alle giustizia si degrada in consolazione umanitaria.E’ lì che si annida la banalizzazione del male !”.
Così la madre di Regent sul Corriere della Sera
«Giulio non collaborava con Il Manifesto, avrebbe voluto ma non lo hanno considerato…». Lo scrive testualmente Paola Deffendi, la madre di Giulio Regeni, in una mail inviata a un amico di famiglia, Fabio Luongo, al quale ha chiesto di diffondere la dichiarazione, dopo aver letto sui giornali italiani della collaborazione di suo figlio con il Manifesto. «Il quotidiano ha oggi pubblicato un articolo di Regeni usando il suo nome e cognome nonostante lui, nel proporre il servizio di carattere sindacale dal Cairo avesse espressamente chiesto che fosse usato lo pseudonimo per problemi di sicurezza», ha aggiunto l’avvocato della famiglia Regeni, Alessandra Ballerini. Al Manifesto hanno spiegato che l’articolo in questione era in attesa di pubblicazione. Nel frattempo però Regeni aveva proposto lo stesso servizio, critico nei confronti del governo di Al-Sisi, al sito Nena-news.it, agenzia di stampa del Vicino oriente. E il sito l’aveva pubblicato, con lo pseudonimo di Antonio Drius.
Il manifesto ha scritto di aver pubblicato altri pezzi di Giulio, firmandoli ognuno con uno pseudonimo diverso. E se ha pubblicato l’articolo postumo, vuol dire che Giulio glielo aveva inviato. Che il giovane ammazzato al Cairo fosse o meno un collaboratore de Il Manifesto, cambia poco. Purtroppo.
X Che strana visione Mirco, trovi criminale che un ricercatotre/giornalista impegnato con istituti di ricerca, lavori in una zona del mondo calda dove si scontrano forze dirompenti quali IS e dittatura militare delle più dure-quest’ultima sicuramente responsabile della sua morte- e non trovi invece criminale chi l’ha fatto fuori ? Trovi invece criminale il fatto che ci sia andato in quel paese? Ma così si perde il senno della ragione perchè dai per scontato che sia criminale andare in quel luogo e per interesse o per proprio lavoro anche sapendo che quel lavoro contribuiva a far conoscere che la democrazia era sospesa in quel paese.Complimenti,! Secondo te allora diresti quasi che stando così le cose ” se la sia cercata” o perchè giovane, o perchè indagava, o perchè comunque in tutti i casi avrebbe dovuto lasciar perdere….infatti secondo il tuo pensiero le conseguenze che ne derivano da codesto atteggiamento mentale sono quelle che la gente deve farsi i cavoli propri, zitta, muta, allineata o comunque attenta a non andare contro il potere repressivo. Con te i satrapi che sono nei vari paesi camperebbero di forza.
Mi sbaglierò, ma mi sembra che sia in atto una corsa a criminalizzare il Manifesto. Che nella vicenda è solo osservatore e testimone, da lontano, peraltro… Una corsa che non mi stupisce. Stupisce se mai qualche iscritto alla corsa e la scuderia a cui appartiene…
Nessunissssssimo pericolo per il 99,9 % dei giornalisti italiani, beatamente sdraiati sul materasso del politicamente corretto, a disposizione(sul medesimo materasso), del padrone di turno!