CHIUSI COM’ERA NEGLI ANNI ’60 E ’70 E COME E’ ADESSO: CI RASSEGNAMO AL DESERTO?

giovedì 03rd, dicembre 2015 / 17:49
CHIUSI COM’ERA NEGLI ANNI ’60 E ’70 E COME E’ ADESSO: CI RASSEGNAMO AL DESERTO?
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CHIUSI – Ieri, qualcuno ha postato su facebook una vecchia locandina, datata 29 giugno 1971. Annunciava un “grande spettacolo”. A Chiusi Scalo. Il grande spettacolo era il Cantagiro, decima edizione. E la locandina annunciava la presenza tra gli altri di Lucio Dalla, Mia Martini, Gianni Morandi e Mauro Lusini (l’autore di “C’era un ragazzo che come me…”), i Pooh, Milva, Rosalino (che poi diventerà Ron), i New Trolls. E anche, special guest, con uno show di 45 minuti, Aretha Franklin.

Avete capito bene? Dalla, Morandi, Rosalino, i Pooh e i New Trolls e Aretha Franklin, tutti insieme in una botta sola. A Chiusi Scalo.

Ora, non ricordo se Aretha Franklin venne davvero. Ma gli altri sì c’erano tutti. Quello dei New Trolls  fu il primo concerto rock che vidi dal vivo. Poco dopo comprai il loro disco Concerto Grosso che affiancava al rock l’orchestra diretta da Luis Bacalov e testi tratti da Shakespeare…

Il Cantagiro fece tappa al Campo sportivo. Molti cantanti alloggiavano al Centrale e negli altri alberghi dello Scalo, la mattina ci fu una certa ressa per gli autografi…

1971. Chiusi allora era ancora Chiusi e si poteva permettere anche il Cantagiro. Per due anni di seguito. Con tutti quei cantanti di grido che passavano per strada su macchine scoperte e tappezzate di manifesti, come quelle del Giro d’Italia o delle campagne elettorali…

Adesso, già averne uno di nomi del genere sarebbe un’impresa. E infatti da quando anche le Feste de l’Unità sono diventate festicciole rionali, tristi come certi film felliniani, al massimo ti becchi uno di quei ragazzotti usciti dai talent show.

E’ vero, del resto, che non c’è più neanche il Cantagiro. Che oggi manifestazioni del genere non se ne fanno più. Ma è innegabile che Chiusi non sia più la cittadina vivace e in crescita del 1971.

E Aretha Franklin, o anche solo Ron oggi se li sogna.

Sempre su Facebook circola un filmatino, girato in super 8 a metà degli anni ’60 a Chiusi città e Chiusi Scalo. La qualità del video non è granché, ma la cosa che più salta agli occhi è la quantità di gente che allora circolava per le strade, in piazza della stazione, quanti negozi erano aperti… Un via vai. La stazione sembra quella di Firenze, piena di viaggiatori, tassisti, autisti della Sita e delle Autolinee Reali, “conduttori” (che erano quei signori in divisa che accaparravano clienti per gli alberghi di Chianciano)… L’orologio segna le 9,40 del mattino: nel “piazzale” (come i chiusini chiamavano la piazza della Stazione) si possono contare più di 100 persone… Via Leonardo da Vinci pare via Veneto. Poi si vede gente in via Garibaldi a Chiusi città, davanti alle case popolari di Via Oslavia e della Fontina, in via Isonzo e via Buonarroti. Si vedono bar pieni di gente, artigiani all’opera e il cantiere delle scuole medie inaugurate nel 1967, particolare questo che permette di datare con una certa precisione il video ad un paio di anni prima.

Certo, si dirà, da allora è cambiato il mondo. Ma ci piacerebbe che quelli che oggi e nella prossima e imminente campagna elettorale ci parleranno di una cittadina che cresce, “piena di strade e di negozi e di vetrine piene di luce, con tanta gente che lavora con tanta gente che produce, con le reclames sempre più grandi… e tante macchine sempre di più”, si soffermassero a guardare quel filmatino del ’65 e anche la locandina del Cantagiro 1971. Così, forse si renderebbero conto che Chiusi non è sempre stata il deserto che è adesso, un dormitorio triste, grigio, buiccio… E’ stata anche una cittadina viva, produttiva, pulsante…

Difficile tornare a quel clima, a quelle atmosfere. E, diciamolo pure, a  quei fasti… Però, io credo che con un po’ di fantasia, con qualche idea (e facendola finita con la propaganda), qualcosa per ricreare almeno un po’ di clima si potrebbe fare.

Chiusi oggi non è più nemmeno un paese. Perché non fa vita di paese. Non c’è a Chiusi una identità comune che faccia sentire la gente parte della medesima comunità. E non mi si dica che ci sono le contrade e i terzieri. Perché sia le une che gli altri hanno al massimo ritardato il processo di disgregazione e di disfacimento. Hanno tenuto la posizione, ma hanno aggiunto poco, in termini di creatività, di vitalità, di innovazione… Cosa serve allora? Intanto un po’ di umiltà da parte di tutti e la voglia di mettersi intorno ad un tavolo a ragionare su cosa si potrebbe fare, sul piano culturale soprattutto, perché è una piccola rivoluzione culturale, forse,  la prima priorità: riportare la gente fuori di casa, riabituarla a stare in piazza, ad ascoltare musica, a seguire spettacoli, a parlare di politica, o magari di arte… In una parola riconquistare una identità e un senso di comunità. E attrarre così anche persone e idee da fuori, quantomeno dai dintorni. Non ci possiamo permettere Aretha Franklin e nemmeno Morandi? Pazienza. Si può fare anche con meno. A partire dalle risorse presenti sulla piazza.

Marco Lorenzoni

 

 

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