ORIZZONTI: PROVOCAZIONE ASSOLUTA AL LAGO DI CHIUSI

venerdì 07th, agosto 2015 / 11:13
ORIZZONTI: PROVOCAZIONE ASSOLUTA AL LAGO DI CHIUSI
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L’omosessuale o la difficoltà di esprimersi. Questo è il titolo di un testo dell’ autore Copi del 1971. Non era bastato il 68 a proteggerlo da censure e condanne. E il motivo si capisce anche oggi. Uno spettacolo che sferza lo spettatore, irriverente, senza regole , tra l’assurdo e il demenziale, non puoi guardarlo senza metterti in gioco. Il contesto è un dialogo psicotico fra tre persone in crisi di identità e sicuramente in preda alla follia. Il gender ovvero il sesso di appartenenza e il sesso di arrivo, la mutazione psicologica del se, il delirio. Dialoghi serrati, provocazioni continue sui nostri “ valori”, un’azione teatrale di destrutturazione dell’etica o disvelamento dell’ipocrisia. L’autore sbeffeggia le nostre verità, le nostre morali . Lo spettacolo travolge, ottunde, suscita smarrimento, insomma fa il suo mestiere: coinvolge e provoca. Provocazione è una parola importante: l’etimo latino si chiarisce specificando la preposizione : pro–vocazione: a favore di un tuo coinvolgimento di una tua parola di commento, di una tua scelta; niente a che vedere con la regressione dei nostri tempi che vede la provocazione come un’offesa o un’aggressione, in origine era lo stimolo ad un confronto una pro-vocazione appunto. E lo spettacolo provoca , eccome se provoca. In tempi in cui l’Italia arranca a riconoscere pari diritti a tutti i suoi cittadini discriminandoli per l’orientamento sessuale, lo spettacolo di Copi affonda la lama dentro la psicologia di tre personaggi dalle sessualità di provenienza non chiara e non è nemmeno chiara la sessualità di arrivo. Ma non hanno diritto ad un’esistenza libera o devono sottoporsi all’autorità del generale bolscevico, in una Russia ancora sovietica, sono in fuga da tutto soprattutto da se stessi. Non dimentichiamo che due dei personaggi sono deportati proprio in quanto transessuali. Facile sarebbe sorridere sull’ autoritarismo del regime comunista sovietico, più difficile rendersi conto della attuali ipocrisie che negano oggi , non ieri e non altrove, il diritto alla protezione reciproca del matrimonio a persone omosessuali, ma non omologate all’ipocrisia. Viviamo una morale che tuttora è degradata a moralismo. Ma il testo di Copi se ne frega anche di questo, sfugge alle briglie di una qualsiasi morale della tolleranza. Va oltre, riconosce l’esistenza per come è al di là dei “credo” e “non credo” di ciascuno.
La provocazione del testo riguarda anche le attrici: Anna Amador, Olga Durano Eva Robin’s , che riescono a servire il testo con naturalezza, inventiva e arte, obiettivo per nulla facile e lo stesso va detto per una regia che risolve con essenzialità minimalista la provocazione del testo. Il merito è di Andrea Adriatico.. Curioso che queste tre donne transgender recitino il dramma dell’identità sessuale sul Lago che ha accolto la leggenda di una donna che camminava sulle acque forse su un mantello o forse a diretto contatto con l’acqua. A distanza di un’ora sul lago di Chiusi si celebrava Santa Mustiola attraverso la performance di Silvia Frasson .
Questa commistione tra mito leggenda religione, follia, sacro presunto, profano attuale è merito del coraggio di Andrea Cigni, direttore artistico di Orizzonti, che ha pro – vocato in maniera estrema ciascuno di noi con le nostre convinzioni, i nostri taboo, le nostre certezze, le nostre mediocri recite “out of theater” , le nostre eterne campagne elettorali e continue fughe dalla responsabilità. Da oggi il lago non è più solo il luogo simbolico del miracolo al confine tra fiaba, leggenda e mito che si sostiene con l’autorità della religione, è il luogo dell’identità ambigua, del disagio psicologico, del mal di vivere, del rifiuto a comprendere l’altro e il diverso. Lo spettacolo si chiude insacchettando quei “ rifiuti” umani protagonisti della loro fuga mancata, scorie da nascondere, pezzi di noi stessi da negare. Saremo capaci noi di riaprire quel sacchetto e di accogliere nei diritti quella parte di noi che ancora ci fa paura? ce lo avremo questo coraggio? la risposta non possiamo chiederla al teatro ma a noi stessi. Fuori dalla platea i protagonisti siamo noi.

Alessandro Lanzani

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