MASCAGNI GREMITO PER I “4 AMICI AL BAR”, L’ITALIA IN UN’ORA E MEZZA DI MUSICA E PAROLE
CHIUSI – E’ stata un successo la “prima” dello spettacolo “4 Amici al Bar”, andata in scena domenica sera a Chiusi. Un ritorno alla grande sul palscoscenico del Mascagni per Francesco Storelli e Gianni Poliziani. Un bel segnale per la Fondazione Orizzonti che ha voluto aprire con questo spettacolo la stagione estiva e il nuovo corso targato Silva Pompili.
La storia è quella dell’Italia e della musica, o meglio di un’Italia che cambia o vuol far credere di cambiare raccontata attraverso le parole e le note di quattro grandi cantautori italiani: Luigi Tenco, Sergio Endrigo, Giorgio Gaber ed Enzo Jannacci. Quattro autori che ci hanno raccontato con il passare degli anni attraverso le canzonette più o meno scanzonate che nascondevano però sempre temi importanti.
E con lo stesso tono scanzonato è partito lo spettacolo. Francesco Storelli e Gianni Poliziani salgono sul palco e cominciano a parlare della musica della loro generazione, che sarebbe il rock britannico e americano, quello di Jimi Hendrix e dei Pink Floyd… ma in questo caso è un’altra musica. Un rivangare vecchi ricordi che all’inizio sembra un po’ confusionario…chissà dove andranno a parare…ma poi lentamente si capisce che stanno parlando di noi, della nostra musica, della nostra storia, dell’Italia.
Lo capisci quando le luci sui due attori si affievoliscono per accendersi sulla band: 5 elementi giovanissimi e una voce femminile, quella di Ornella Tiberi, che intona “Io che amo solo te”. Una scelta coraggiosa quella di mettere un gruppo con chitarra, batteria, tromba, basso e tastiere dell’età media di 25 anni, e una voce femminile per interpretare dei brani così classici e che sono ormai nell’immaginario collettivo quasi solo loro, dei 4 autori (riuscite ad immaginare “Un’idea” non cantata dal Signor G?). Ma una scelta ben riuscita, perché già alla prima nota si capisce che non è un giradischi che suona: è un reinterpretare quelle canzoni con arrangiamenti originali.
E la storia dell’Italia va, tra le parole di Storelli e Poliziani e la musica della band: il boom economico, l’emigrazione dal sud al nord con “Il treno che viene dal sud”,e “Ciao Amore Ciao“, il lavoro in fabbrica di “Vincenzina”, le speranze di un’Italia uscita distrutta dalla guerra. Le stesse speranze che si ritrovano nelle parole di Luigi Tenco “Vedrai vedrai”, in chiave leggermente blues.
Non è solo la musica che racconta questi cambiamenti. Non poteva mancare naturalmente un classico di Gaber “Com’è bella la città” recitato con pathos crescente da Storelli e Poliziani accompagnati da un leggero sottofondo musicale, come faranno poi magistralmente per “Quelli che” e per “Qualcuno era comunista”. Ma a questo punto ormai si capisce che siamo arrivati ai giorni nostri e le speranze sono ormai passate, lasciando lo spazio alla delusione, al rimpianto anche di un grande come Gaber che con “La presa del potere”, canzone che ha 40 anni, ci fa capire che non era poi così imprevedibile capire a che punto saremmo arrivati.
Uno spettacolo musicale ma anche una profonda autocritica della nostra storia, della nostra cecità, la stessa che ci impedisce di conoscere e capire la verità su tanti fatti della nostra Italia, da Feltrinelli, a Pasolini , a Pantani, da Piazza Fontana alla stazione di Bologna, al caso dello stesso Tenco.
Marco Lorenzoni è riuscito a riassumere in uno spettacolo di un ora e mezza tutta la nostra Italia, un susseguirsi di eventi e cambiamenti storici dettati dalle canzoni di quattro grandi, 4 amici al bar, che speriamo si siano divertiti da lassù come noi tutti in un Mascagni praticamente gremito.
Romina Faralli (Radio Trasimeno web)
Nelle foto di Giulia Fuccelli e Carlo Sacco alcuni momenti dello spettacolo
X Marco Lorenzoni. Quelli della nostra età sapevano quasi tutto di quanto passava in quegli anni nel ventre molle dell’Italia e soprattutto il vissuto di quanto avveniva intorno non era difficile riconoscerlo e ritrovarlo in quelle parole degli autori.Sono personalmente felice del successo che ha avuto tale rappresentazione.Felice per due motivi evidentemente noti: quelli del riconoscimento della bravura e del coordinamento del complesso musicale con gli autori che hanno recitato e che con la loro sensibilità ed anche diciamolo pure ”verve”, hanno ricordato a coloro che non erano nati l’aria che tirava in Italia, che a rifletterci oggi appare quasi un aria venusiana, tale è la distanza dal bisogno di moralità di quegli anni, della mobilitazione,della sua richiesta forte, se paragonato a quello di oggi, soprattuitto delle giovani generazioni che spesso ci appaiono plagiate da comportamenti massificati e veicolati dall’establishment ma che nello stesso tempo guarda caso si sentono individualmente liberi.La discrasia su tale posizione non può non essere notata da chi tiene a riflettere.Inizialmente la cosa mi era apparsa un po’ più complessa, forse intricata, la reminiscenza non faceva apparentemente quadrare il discorso, ma via via che l’opera dopo qualche minuto prendeva forma, risultava evidente dove si sarebbe andati a parare….
La seconda ragione del successo è proprio quella della stimolazione
a pensare, secondo me ancora più importante della prima ragione. E’ proprio in quelle differenze rimarcate degli autori, dei quattro interpreti
che hanno potuto calarsi con sensibilità ma anche con estrema facilità e concisione, in quel mondo in ebollizione che avrebbe partorito poi gli anni 70 ed il loro seguito, che viene messa in risalto la saga dello sviluppo contraddittorio, degli anni del boom economico, dei suoi slanci produttivi, della sua forza e delle sue debolezze.Il confronto col tempo lascia una luce che non è fondamentalmente cambiata dopo tutti questi anni che sono passati da ” Rocco ed i suoi Fratelli, da Vincenzina, e dal quel ” treno che viene dal sud” ?.Qual’è la differenza fra quei vissuti e quelli di oggi che s’innestano sulle stesse tematiche? Dobbiamo domandarcelo, e qui si apre uno spazio a quella riflessione che l’intelligenza di chi si crea tali interrogativi è obbligata a fornire.Non dico altro, ma quei quattro amici al bar restano delle pietre miliari sia della musica creata da loro ma delle pietre miliari attualissime per chi vuol interpretare con sensibilità, intelligenza e conoscenza e guardi con spirito critico alle similitudini attuali del mondo che circonda tutti noi.E non si può fare a meno di riflettere sulle ragioni di quanto oggi si tenta di evitare e di mettere da parte non appena si annusi di parlare dei ”massimi sistemi”. Un ulteriore stimolo a far muovere il cervello. Bravi tutti, ed il mio augurio è quelo che cerchiate di veicolare tale rappresentazione in molte altre parti,anche al di fuori del nostro territorio.Il bisogno – purtroppo – non manca…..
Grazie. Proveremo a portarlo un po’ in giro, certo. Ma il successo della serata al Mascagni dimostra, forse al di là di ogni ragionevole previsione, che la gente non è tutta assuefatta al pensiero unico, che c’è voglia di ascoltare e riascoltare note quasi dimenticate, ma anche di riflettere, di fare confronti… Senza cedimenti alla nostalgia, al “come eravamo”… Il messaggio dello spettacolo non è quello. E’ un altro: è che i nostri 4 amici al bar avevano capito, 50 anni fa, come sarebbe andata a finire, dove ci saremmo cacciati… L’avevano capito e l’avevano scritto nelle loro canzoni. All’epoca forse non ci avevamo fatto caso. Oggi, con il senno di poi, appaiono quasi profetiche. Di una lucidità e lungimiranza che lasciano stupefatti. Onore ai nostri 4 amici…
Certo che il messaggio veicolato non è quello del ” come eravamo” ma si spinge più in là, al di là anche delle considerazioni profonde dei 4 amici che avevano previsto parecchie cose di dove si sarebbe andati a parare.Io l’ho sentita ed avvisata come una riflessione molto critica sul sistema dove siamo immersi ed il colloquio di Storelli e di Poliziani rende le considerazioni più veloci e le dirige verso il punto di convergenza che fa scaturire la riflessione.E’ anche lì l’indirizzo che la rappresentazione si propone di dare. Molte volte una analisi più leggera che tenga presente concetti veicolati da note musicali può risultare più efficace di una lunga disquisizione sui massimi sistemi e che molto più direttamente raggiunge lo scopo.Il rifiuto della politica non come concetto di confronto-scontro di interessi ma di come viene espletata dalle parti in causa che vediamo intorno a noi resa alla fine improduttiva a risolvere i problemi,può talvolta venir aggirato dal veicolare concetti che entrano nell’animo delle persone, che colpiscono al loro sensibilità e quindi formano il modo di pensare.Sottolineo per questo ancor di più il fatto di tale bisogno generale ad esportare con la spettacolarità e la penetrazione della musica tali riflessioni.Sono quelle spesso che riescono ad insediarsi nell’animo umano in maniera più stabile delle altre e muoverne la coscenza.
“… Però non ho mai detto che a canzoni si fan rivoluzioni si possa far poesia” (Guccini). Forse no, non si può fare, ma qualcosa anche con le canzoni si può raccontare…