RENZI, CIVATI, IL PD, LA SINISTRA… MEGLIO ACHILLE!

martedì 27th, gennaio 2015 / 15:21
RENZI, CIVATI, IL PD, LA SINISTRA… MEGLIO ACHILLE!
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Io sono stato comunista. Nel senso di comunista italiano. Iscritto, militante, dirigentino locale del Pci. Non per molto, per la verità: dal 1977 all’84. La stagione di Berlinguer. E degli anni di piombo più duri. I miei riferimenti culturali e politici, più che Marx, Lenin o Mao Tse Tung erano però, oltre a Berlinguer , Pasolini, Don Milani, John Lennon o il Robert Kennedy del discorso sil Pil, magari il Bianciardi de “La vita agra” o il Visconti di “Rocco e i suoi fratelli”. Che Guevara o Lumumba, magari Fidel, non certo Pol Pot o Kim Il Sung… Né Breznev o Jaruselky. Ecco, all’inizio degli anni ’90 quando Achille Occhetto, allora segretario del Pci, decise, piangendo, di cambiare nome e simbolo al partito, mi sembrò una cosa giusta, quasi doverosa, per stare al passo coi tempi. Ma anche un mezzo suicidio, perché l’operazione fu fatta quasi a tavolino… occhetto lacrime

E il povero Achille mi sembrò, allora, un uomo coraggioso, ma un segretario piccolo piccolo.

Il segretario dell’inizio della fine della sinistra italiana. Certo, allora non immaginavo (e pochi, di quelli della mia generazione penso immaginassero) quello che sarebbe successo dopo, dai Progressisti all’Ulivo, dall’Ulivo all’Unione, fino ai Ds, all’Arcobaleno, al Pd…

Oggi c’è Renzi alla guida del Governo e del maggior partito della sinistra. O sedicente tale. Perché di sinistra nel Pd ce n’è ben poca.

Il prode Occhetto, il segretario dell’inizio della fine, per anni è rimasto defilato, uno dei pochi che dopo la sconfitta non è rimasto al suo posto o sulla breccia. E questo gli fa onore. Ogni tanto però dice la sua. In modo non banale. E’ di oggi questa sua “analisi” del renzismo e della situazione attuale:

Matteo Renzi è un decisionista della parola. Alle parole aggiunge parole. È un illusionista che utilizza il vocabolario come i finanzieri d’assalto fanno con i derivati. Anzi, ora che ci penso: egli stesso è un derivato. Scommette sulla scommessa. Ma tutte le bolle speculative esplodono, è scienza della politica non profezia da mago”.

Achille Occhetto vede già la data di scadenza, come quella delle mozzarelle, sulla stagione renziana: “il tempo di una legislatura. Renzi è  stato bravo a interpretare un bisogno di uscire dall’afasia, dalla palude. È stato l’inventore talentuoso di una rivoluzione parolaia” e come presidente della Repubblica – prosegue Occhetto – “prevedo un avatar, un nome vuoto di storia e di pensiero ma formalmente ineccepibile. Un uomo o una donna che si affacciano sulla scena pubblica. Un prodotto tipico del solco nuovista”.

Da noi – analizza l’ultimo segretario Pci – la mediazione diviene dogma e si ritiene che si possa vincere soltanto se si guarda al centro, se si è d’accordo con i grandi poteri, se si è moderati. Noi abbiamo coltivato la convinzione che la sinistra potesse stare solo all’opposizione. Guardo alla Grecia e sono felice. Lì è nata la Cosa rossa, esattamente quella che proponevo in Italia. Il Pd chiuderà i battenti quando questa leadership così personalistica si schianterà sotto la mole delle sue promesse“.

Quanto alla minoranza interna al Pd, osserva  Occhetto, “Civati ha talento. Forse è un pò troppo battutaro. Non capisco invece Cuperlo: è come se si perdesse nella nebbia. Giunge a un punto, poi non so che gli capita. Degli altri ho la sensazione che svolgano onestamente il loro lavoro. Ma non li vedo arsi di passione politica. Piuttosto dei bravi professionisti a progetto che alla fine emettono fattura”.

A me, che sono stato comunista dal ’77 all’84, ai tempi di Berlinguer, Occhetto non è mai stato particolarmente simpatico, se non altro per aver cancellato il Pci, ma, oggi, ciò che dice di Renzi e dei suoi oppositori interni al Pd, mi fa apparire anche  il segretario piccolo piccolo Occhetto, come un gigante. Insomma meglio Achille dei Qui Quo Qua e delle Clarabelle di oggi. E non di poco.

Marco Lorenzoni

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