NEL DECRETO GENOVA NUOVE NORME SUI FANGHI DI DEPURAZIONE. CAMBIA LO SCENARIO PER IL PROGETTO ACEA DI CHIUSI?

mercoledì 31st, ottobre 2018 / 11:03
NEL DECRETO GENOVA NUOVE NORME SUI FANGHI DI DEPURAZIONE. CAMBIA LO SCENARIO PER IL PROGETTO ACEA DI CHIUSI?
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FANGHI SPARSI IN AGRICOLTURA, ALLARME DEI VERDI E DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA MEDICI PER L’AMBIENTE

CHIUSI – Recentemente si è tornati a parlare del “Progetto Acea” per l’area dell’ex Centro Carni di Chiusi, i seguito ad una “querelle” tra il sindaco Bettollini e l’associazione ambientalista pievese “Il Riccio”. Una querelle nata in seguito alla richiesta dell’associazione di essere coinvolta nei processi partecipativi e decisionali, ma soprattutto per l’uso di toni “perentori” e “minacce di adire a vie legali” da una parte e dall’altra. Ma il fatto nuovo, vero, intorno a quel progetto, che ancora non è stato presentato (Acea ha solo acquistato il terreno e il depuratore esistente), è a nostro avviso un altro. Ed è una norma sulla possibilità di spargere i fanghi di depurazione in agricoltura, contenuta nell’art.41 del Decreto Legge del 28 Settembre 2018, n. 219, quello relativo alle “Disposizioni urgenti per la città di Genova la sicurezza della rete nazionale delle infrastrutture e dei trasporti, gli eventi sismici del 2016 e 2017, il lavoro e le altre emergenze”. 

La misura sui fanghi ha già destato la preoccupazione  dei Verdi, di alcuni organi di stampa (il Fatto Quotidiano) e anche dell’Associazione Italiana Medici per l’Ambiente, associazione quest’ultima chiamata spesso in causa dai vari comitati e talvolta dagli stessi 5 Stelle quando in diverse parti d’Italia ci si è trovati di fronte a situazioni ambientali controverse.  I “Medici per l’Ambiente” rilevano che la norma contenuta nel Decreto Genova possa aumentale “la possibilità che vengano contaminati suoli, ecosistemi e catena alimentare, con inquinanti tossici, persistenti, bioaccumulabili, di cui alcuni classificati come cancerogeni certi per l’uomo dall’Agenzia per la Ricerca sul Cancro (IARC) e senza che siano stati adeguatamente valutati rischi per la salute umana”.

Ma andiamo con ordine:  l’inserimento dell’art.41 con decretazione d’urgenza nel “Decreto Genova” è stato motivato dalla necessità di superare lo stallo creatosi con la sentenza n° 1782 del TAR Lombardia Se. III 20 luglio 2018 che, per gli idrocarburi, imponeva limiti che la maggior parte degli impianti di depurazione non sarebbero in grado di ottemperare.

E’ noto che i fanghi di depurazione non provengono solo da acque reflue di scarichi civili in quanto il Dlgs 27 gennaio 1992, n. 99, che regola la materia, equipara anche quelli provenienti da attività produttive a quelli da insediamenti civili, la separazione dei flussi all’origine è solo raramente praticata, per cui agli impianti di depurazione arrivano reflui delle più disparate qualità e provenienze. E questo è il caso, ad esempio del Depuratore della soc. Bioecologia Srl, rilevato da Acea Ambiente e presente nell’area dell’ex Centro carni di Chiusi. L’impianto attualmente  tratta infatti circa 80 mila tonnellate/anno di reflui civili, residui industriali e percolato di discarica che arrivano da tutta la Toscana e anche da altre regioni. 

Secondo la legge (Dlgs n. 99/1992) l’utilizzo di fanghi in agricoltura, è consentito se: “non contengono sostanze tossiche e nocive e/o persistenti e/o bioaccumulabili in concentrazioni dannose per il terreno, per le colture, per gli animali, per l’uomo e per l’ambiente in generale”.  Ma adesso, “con le norme introdotte nel Decreto Genova – dice l’Associazione Medici per l’Amiente – i fanghi potranno contenere valori non trascurabili di: Arsenico, Berillio, Cromo, Cromo VI, Idrocarburi, Toluene, Selenio, Policlorobifenili (PCB), Diossine e Furani. L’Allegato 1 B del Dlgs del 1992 stabiliva caratteristiche agronomiche e limiti solo per alcuni inquinanti e per altri le Regioni hanno deliberato autonomamente. La stessa materia è regolata anche dal D.L. 152 del 2006. Come in Lombardia anche in Toscana c’è stata nel 2018 una sentenza del Tar a tale proposito. Ed è diversa.  Il Tar della Toscana ad esempio nella sentenza 887 del 19 giugno 2018, rileva che “il superamento delle CSC (concentrazioni soglia di contaminazione) è un “ragionevole indizio che il suolo possa essere contaminato“: in conseguenza di tale superamento occorrerà, pertanto, avviare le analisi necessarie a verificare l’eventuale superamento delle CSR (concentrazioni soglia di rischio). E prosegue dicendo che “i fanghi – rifiuti provenienti dalla depurazione di acque reflue – presentano concentrazioni medie delle sostanze superiori a quelle del suolo”, ma alla fine afferma che lo spandimento di un fango che rispetti la tabella allegata al decreto del 1992 non è ritenuto pregiudizievole in quanto “la miscelazione tra un fango ed il terreno che lo accoglie determina la diluizione delle sostanze presenti nel fango“.

La norma contenuta nel decreto Genova, però alza quelle soglie.

L’Associazione Medici per l’Ambiente ricorda che “per Cromo totale, Diossine, PCB, Selenio, Toluene i limiti indicati dall’art 41 del Decreto Genova sono superiori ai quelli indicati per la bonifica dei suoli per uso residenziale; per Diossine e Furani la concentrazione consentita nei fanghi è 25 ng/kg ss, mentre nei  suoli è 10 ng/kg ss; per i PCB è 0.8 mg/kg sostanza secca (ss), quando sono soggetti a bonifica i suoli con 0,06 mg/Kg ss ed addirittura per il Toluene il limite è 100 mg/kg ss, quando per i suoli uso residenziale è 0,5 mg/kg e per quelli industriali 50 mg/kg ss! Ricordiamo che Arsenico, Berillio, Cromo VI, Diossine PCB sono classificati dalla IARC a livello I (cancerogeni umani); per quanto riguarda gli idrocarburi C10-C40 nell’art 41 il limite è di 1000 mg/kg su “tal quale” e non su “sostanza secca”, ciò significa che se i fanghi hanno elevate percentuali di acqua si potranno raggiungere anche i 10.000 mg/kg ss della normativa della Regione Lombardia bocciata dal TAR”.

“Va segnalato – dice ancora l’A.I.M.A. – che fanghi industriali con le medesime concentrazioni di idrocarburi potrebbero essere conferiti solo in discariche speciali e non potrebbero essere utilizzati per recuperi ambientali se non dopo essere stati sottoposti a trattamenti che ne abbattano gli inquinanti,  e  si arriverebbe al paradosso che sui suoli agricoli sarebbe consentito l’utilizzo di fanghi conferibili solo in discariche per rifiuti industriali e non utilizzabili in recuperi ambientali se non dopo adeguato abbattimento degli inquinanti. Essendo consentito lo sversamento ogni 3 anni di 15 tonnellate di fanghi per ettaro di suolo agricolo – il cui spandimento difficilmente potrà essere omogeneo – non è fuori luogo ipotizzare che nel giro di pochi anni, i suoli agricoli, almeno per alcuni inquinanti persistenti e bioaccumulabili, potrebbero raggiungere livelli tali di contaminazione da renderli passibili di bonifica. I limiti individuati nell’art 41 non ci risultano supportati da adeguati studi di impatto ambientale, né da indagini sulla biodiversità, sulla percolazione nelle falde, sulla tipologia e qualità dei suoli e sulla presenza già di un “fondo” che per moltissimi inquinanti non è certo pari a zero; inoltre non sono indicati quali controlli siano previsti e secondo quali scadenze, se non per le diossine (ogni 12 mesi)”.Detto questo l’associazione Medici per l’Ambiente conclude che “l’utilizzo di fanghi in agricoltura potrebbe rappresentare un utile contributo alla fertilità dei suoli, ma appare indispensabile dotarsi di adeguati strumenti scientifici, tecnici e legislativi, imponendo la separazione dei flussi all’origine. E le procedure di depurazione devono consentire una adeguata ed efficace rimozione degli inquinanti, specie di quelli più tossici, persistenti e bioaccumulabili che dovranno essere trattati in sicurezza al fine di ridurne la presenza nell’ambiente, nelle colture e nella catena alimentare, evitandone quindi l’ulteriore passaggio dall’ambiente all’uomo. Gli inquinanti classificati come cancerogeni a livello I dovrebbero essere al di sotto della soglia di rilevabilità”.

Insomma  l’art.41 del Decreto Genova pone una serie di interrogativi e adombra scenari poco idilliaci. E secondo l’Associazione Medici per l’Ambiente è “una scorciatoia che non va nella direzione della difesa della salute e della tutela dell’ambiente e il cui prezzo ancora una volta, sarà pagato dalle generazioni future”.

Il Progetto Acea, quando è stato presentato in Consiglio Comunale sulla base delle relazione di massima allegata da Acea all’offerta di acquisto del terreno, è stato presentato proprio come una possibile soluzione per evitare lo spargimento dei fanghi di depurazione in agricoltura. Ciò che verrebbe se mai sparso sarebbe la biolignite che uscirebbe dal processo di trattamento e che sarebbe utilizzabile come ammendante, ovviamente “depurato”. Non solo: è stato anche affermato che l’impianto Acea avrebbe risposto all’esigenza inderogabile di smaltire i fanghi, dopo che la Toscana ne aveva vietato lo spargimento nei campi.

Questa nuova norma cambia effettivamente lo scenario. Ma in peggio, non in meglio. E l’allarme dei Verdi, dell’Associazione Medici per l’Ambiente e della stampa sembra confermare questa tesi.

Ci piacerebbe sapere cosa pensano di questa questione l’Amministrazione Comunale di Chiusi, il neonato Comitato ARIA (costituitosi al posto del primo comitato No Carbonizzatore), l’Associazione il Riccio, i Comuni confinanti, alcuni dei quali hanno deliberato atti relativi al progetto. E magari, anche cosa pensa Acea, se ha sempre intenzione di realizzare l’impianto che ha proposto.

Marco Lorenzoni

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