L’Umbria e la Crisi. La resurrezione è possibile?

sabato 22nd, settembre 2018 / 10:57
L’Umbria e la Crisi. La resurrezione è possibile?
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Un incontro denso di contenuti e molto partecipato quello che si è svolto giovedì 20 settembre alla Rocca Medievale di Città della Pieve. “L’Umbria, i Comuni, quali prospettive per superare la grave crisi? “, un tema complesso affrontato con vigore e rigore scientifico dai diversi relatori.

L’incontro, organizzato dal Centro Studi Ricerca Umbria e introdotto da Marco Bertozzi, si è aperto con la relazione di Claudio Carnieri, già presidente A.U.R. (Agenzia Umbria Ricerche) che ha illustrato l’evoluzione (o involuzione) del quadro politico-economico dell’Umbria degli ultimi dieci anni.

Un quadro non roseo ma che sicuramente fa luce su quelle che potrebbero essere le aree di intervento per un’ eventuale rinascita, e che sottolinea la necessità di un sapere basato sui dati e non su chiacchiere da social o da bar dello sport, per capirci.

Ai fini di un’analisi più accurata, Carnieri inserisce la questione Umbria in un contesto nazionale con accenni allo storico mondiale, individuando i tre punti cardine da cui il paese parte per fronteggiare la crisi: 1) rapporto economia-ricerca scientifica; 2) diversificazione della produzione ; 3) un debito pubblico che oggi è pari a 2.341 miliardi.

In merito all’ultimo punto,l’Italia non è favorita ma non se la passa egregiamente neanche ai punti 1 e 2. Modesta la capacità produttiva (è terzultima in Europa) e ancora lontana dalle medie europee la ricerca scientifica, nonostante si avvalga di menti eccellenti e competenze di tutto rispetto. All’alba della crisi, dunque, la struttura del paese Italia è parecchio debole. Farà più fatica di altri Stati a fronteggiarla.

La crisi, illustra Carnieri, inizia intorno al 2007 e picchia duro fino al 2015 circa. Nel 2016 è quando si comincia a parlare di “ripresa”. Minima, faticosa, zoppicante ma pur sempre ripresa. In questo accenno di risalita che la gente comune percepisce più come un fruscio che come una ventata, la piccola Umbria, con i suoi 800.000 abitanti, non si posiziona troppo bene.

Tra il 2000 e il 2006, il PIL aumenta del 6,1% contro una media nazionale dell’8,3% e un incremento nelle Marche del 12,3%. E però, tra il 2007 e il 2015 il PIL dell’Umbria subisce un colpo fatale con una perdita del 15,7% . Nel 2016 è a -1,3% e nel 2017 scende ancora a – 1,2%. In termini di reddito, secondo i dati del 2016, l’Umbria ha un reddito pro-capite medio di 23.900 euro, mentre ad esempio, la regione confinante della Toscana ha un reddito di 30.000; la prospera Lombardia di 36.800. Rispetto alle Marche e all’Abruzzo, sostiene Carnieri, gli imprenditori umbri hanno un valore produttivo e tecnologico basso, sono  poco inclini a lanciarsi nella  triade innovazione-tecnologia-investimento. Di fatto, aggiunge Carnieri, l’economia umbra si regge principalmente sulle attività delle trentotto multinazionali presenti nella regione. Le ditte locali producono troppo poco per vantare un peso rilevante.

La densità di popolazione non se la cava meglio. La perdita della popolazione del cuore verde dell’Italia nel 2017 arriva a -3,5%. Proprio nel 2017 si interrompe peraltro il flusso migratorio che in anni precedenti aveva favorito un aumento del 10% degli abitanti.

Che fare? Sul piatto sono piovute diverse analisi: una politica più vicina ai cittadini che rimetta i bisogni delle comunità al centro dell’operato politico, secondo Simona Fabbrizzi (Centro Pari Opportunità); lo snellimento di una burocrazia elefantiaca  che ostacola la realizzazione di progetti di costruzione o ri-costruzione. Su carta, spiega Luca Cesaretti (Consiglio dell’Ordine degli Ingegneri di Perugia), è tutto lineare. Ma se ci addentriamo nei meandri della realtà, ci troviamo di fronte ad uno stallo quasi sistematico. Se guardiamo, ad esempio, la ricostruzione nei territori  colpiti dal terremoto, la macchina burocratica è in movimento ma, di fatto, aldilà di un paio di aggiusti di crepe in abitazioni ancora in piedi, non si è mosso nulla. E neanche se ne parla più, aggiunge.

Eccellenza è la parola d’ordine di Laura Agea, europarlamentare umbra. “Non saremo mai in grado di produrre 100 pezzi al minuto come la Cina. La nostra forza è nella qualità non nella quantità”. E parlando del rapporto Europa-Italia fa anche luce sulla gestione dei fondi erogati dalla Comunità Europea. “Il dialogo avviene tra l’Europa e le Regioni. Nel programma 2014-2017 la Regione Umbria ha ricevuto oltre un miliardo di euro da distribuire nei diversi settori ritenuti più fragili, tra cui, ad esempio, l’agricoltura. Ma soltanto un terzo di quei soldi è stato utilizzato. Chiediamoci come mai”.

Insomma, i presupposti per un’operazione di ricostruzione ci sono ma bisogna passare a mio avviso anche da un’operazione di ri-definzione dei ruoli e, di conseguenza, delle relazioni tra rappresentanti politico-amministrativi, cittadini e primi cittadini. Nel linguaggio e nell’ immaginario collettivo, le Regioni sono oggi  più che mai un organo di potere e non di rappresentanza. In questo senso, le amministrazioni locali tendono ad assumere una posizione di sudditanza nel timore di perdere l’opportunità di ottenere fondi (per la qualunque), scollandosi quindi dalla realtà del territorio e venendo meno al ruolo politico di mediazione tra la comunità e la Regione.

Se da un lato emerge dunque un quadro, come dicevamo, non troppo roseo, dall’altro risulta  vivo e vegeto uno spirito di fiducia nella possibilità di rinascita. È importante però, avverte Carnieri a conclusione di serata, avere anche spirito critico; rimettere cioè le responsabilità là dove appartengono, evitando il monopolio delle colpe.

Elda Cannarsa

 

 

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