DA MARCINELLE A FOGGIA: MORIRE DA SCHIAVI 60 ANNI DOPO. LAVORO A COTTIMO E CAPORALATO: QUESTO TERRITORIO E’ IMMUNE?

mercoledì 08th, agosto 2018 / 16:12
DA MARCINELLE A FOGGIA: MORIRE DA SCHIAVI 60 ANNI DOPO. LAVORO A COTTIMO E CAPORALATO: QUESTO TERRITORIO E’ IMMUNE?
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Oggi è l’8 agosto. L’otto agosto del 1956 centinaia di minatori italiani morivano sepolti nella miniera di Marcinelle, in Belgio. Per l’esattezza i morti furono 262. Una tragedia immane che ancora oggi ci ricorda un tempo non lontanissimo in cui i “barbari” senza diritti eravamo noi. Quei morti erano tutti emigranti che avevano lasciato l’Italia per andare a cercare un lavoro nel nord Europa. Morirono come topi dentro una galleria invasa dal fumo dopo un incendio…  Italiani caduti sul lavoro in un paese straniero dove lavoravano in condizioni disumane.

Una tragedia quella di Marcinelle non molto diversa, per modalità e contesto, da quella, doppia, che ha visto morire in tre giorni 16 braccianti africani sulle strade del foggiano, in Puglia. Come gli italiani di Marcinelle, anche loro sono morti sul lavoro in un paese straniero in cui erano venuti a cercare una vita migliore. Sono morti per strada, non in una galleria, ma ugualmente come topi, ammassati dentro due furgoni sgarrupati: 4 in un incidente, 12 in un altro… Furgoni guidati dai “caporali” che li portano a lavorare nei campi per la raccolta dei pomodori o di altri ortaggi, con paga di pochi euro, e poi li riportano in quelle tendopoli, baraccopoli i cui vivono a migliaia in condizioni disumane.

I due incidenti di Foggia con 16 morti hanno riacceso i riflettori, sempre spenti o piuttosto fiochi, sul fenomeno del caporalato, che in Puglia, ma non solo in Puglia, è la regola e una piaga difficile da estirpare, perché fa comodo a molti. Ed hanno riacceso i riflettori anche su una parte non secondaria dell’agricoltura italiana, dove si lavora a cottimo e sottopagati, dove la manodopera è per lo più straniera e con poche tutele. Lavoro a giornata e lavora chi si accontenta e rompe meno i coglioni.

Una legge contro il caporalato c’è, è del 2016 (Governo Renzi). Un minimo di effetto positivo lo ha avuto, ma è rimasta anche largamente disattesa, anche perché poco si è fatto per incidere su alcuni aspetti “collaterali”, ma decisivi come quello degli alloggi per i braccianti stagionali, quello del trasporto verso i campi, come una maggiore efficienza dei centri per l’impiego per la gestione della domanda e del’offerta di lavoro… In assenza di interventi in questo senso i nuovi schiavi continueranno ad alloggiare nelle baraccopoli e saranno sempre costretti a viaggiare sui furgoni sgarrupati e insicuri dei caporali, ammassati come le sardine…

Il caporalato è un meccanismo di intermediazione informale che prospera grazie all’assenza di un sistema di organizzazione del lavoro in agricoltura. Grazie all’assenza dello Stato.  Poi c’è il problema del mercato.  Se le aziende della distribuzione, anche le più note e importanti, acquistano passata di pomodoro in bottiglia (0,75 lt.) a 30-35 centesimi (dati resi noti dai sindacati) e si pensa al costo della lavorazione, della bottiglia, dell’etichetta, dei trasporti, ci si accorge che il prodotto deve essere stato pagato molto meno… Da qui la paga da fame a chi raccoglie i pomodori e l’assenza di tutele. Non è solo una questione di inquinamento del mercato da parte delle organizzazioni criminali. Che c’è, ma non spiega tutto.

Anche acquistare prodotti a basso, bassissimo costo, non solo può essere rischioso perché il prodotto potrebbe essere di scarsa qualità e poco sicuro, ma è anche un modo che alla fine favorisce lo strangolamento dei produttori agricoli e, a caduta, dei lavoratori, perché se un prodotto vine acquistato dalla distribuzione a costo inferiore al valore reale, è chiaro che qualcuno comunque la differenza l’ha pagata e la sta pagando in altro modo.

In questo territorio, tra Umbria e Toscana, la produzione agricola è diversa e inferiore rispetto alla Puglia e ad altre zone del Meridione, ma anche qui si raccolgono pomodori, peperoni, meloni e il lavoro sottopagato esiste anche qui, come esiste  il caporalato. Anche da queste parti circolano furgoni sgarrupati che raccolgono in punti stabiliti i giovani migranti, per impieghi a giornata. E forse il fenomeno non riguarda solo il lavoro agricolo. Chi gestisce e smista i migranti davanti ai supermercati per il “servizio carrello”? Qualcuno fa la cresta sui pochi euro che quei ragazzi riescono a mettere insieme, sfruttandone la solitudine e la disperazione?

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