QUANDO LO SPORT DEMOLISCE LA PROPAGANDA RAZZISTA E REGALA LEZIONI DI VITA (E DI GIOCO)

lunedì 02nd, luglio 2018 / 12:56
in Sport
QUANDO LO SPORT DEMOLISCE LA PROPAGANDA RAZZISTA E REGALA LEZIONI DI VITA (E DI GIOCO)
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Lo sport scatena passioni e regala emozioni, questo si sa. Ma talvolta offre risposte immediate, incontrovertibili a questioni complesse. Immagini più eloquenti, più chiare, di qualunque discorso politico o accademico. E talvolta smonta in un secondo falsi miti e campagne mediatiche. Offre, nel bailamme dello showbiz, degli ingaggi faraonici, del battage sui belli e vincenti, anche il rovescio della medaglia: eroi all’improvviso e figure deboli o indebolite, capaci di dare comunque lezioni di stile, di vita e di gioco…

In due giorni lo sport ci ha regalato cose così. Ieri a Tarragona, ai Giochi del Mediterraneo, di atletica leggera, la staffetta italiana 4×400 femminile ha vinto la medaglia d’oro con il tempo di 3’03”54. Ma la notizia no è solo l’oro e il tempo fatto registrare. E’ che le quattro ragazze italiane si chiamano Maria Benedicta Chigbolu, Ayomide Folorunso, Raphaela Lukudo e Libania Grenot,  quest’ultima anche campionessa europea.  Sono 4 belle ragazze molto veloci. E tutte e quattro di colore. La loro foto dopo la vittoria è diventata virale, perché è stata considerata da molti un messaggio diretto al ministro Salvini e al popolo leghista che proprio ieri era riunito a Pontida, tra corna barbare, barbe e canottiere verdi e manifesti inneggianti al crocifisso e alle “radici italiane”… Quella foto racconta più e meglio di qualunque articolo di giornale o saggio, quella che è già la realtà del Paese. E che chiudere i porti ai migrantui è una cazzata oltre che una cosa disumana. Quella 4 ragazze sono italiane tanto quanto le loro coetanee che si chiamano Maria Rossi, Rita Russo, Francesca Berton o Emma Cavallotti, per citare nomi italianissimi a caso. E ai Giochi di Tarragona hanno rappresentato l’Italia, conquistando la medaglia più ambita nella propria specialità…

Sabato, invece, ai Mondiali di calcio in Russia cadevano gli Dei Messi e Cristiano Ronaldo. Il primo  per mano di un diciannovenne francese nato in Francia da genitori di origini algerine e camerunensi e il secondo di una nazionale storicamente piena di “oriundi”, per lo più di origine italiana e del suo allenatore che ha organizzato la partita perfetta.

Ecco, proprio l’immagine di quell’allenatore, è un’altra di quelle istantanee che cambiano le carte in tavola, che sgretolano i miti, che raccontano come l’intelligenza e la signorilità, spesso valgono più della forza. Si chiama Oscar Washington Tabàrez. Ha 71 anni, ha allenato anche in Italia (al Milan, al Cagliari). Dal 2006 è sulla panchina dell’Uruguay. Solo che adesso Tabàrez non è nel pieno delle forze, è affetto da una malattia grave, una neuropatia cronica che attacca il sistema motorio e lentamente paralizza gli arti. Sabato lo abbiamo visto alzarsi dalla panchina aiutandosi con una stampella per dare disposizioni ai suoi e per gioire della vittoria finale. Una compostezza disarmante quella di Tabarez, che ha fatto giocare la sua squadra all’italiana, come sempre ha giocato l’Uruguay del resto, fin dai tempi di Schiaffino e dello sgarbo al Brasile nel ’50, ma non ha avuto paura di  mostrarsi fragile in mondivisione. Anzi sembrava non curarsi affatto della sua fragilità.

Il mister della “celeste” ha mostrato al mondo che si può essere forti e vincenti anche se costretti ad una condizione di precarietà, di debolezza. E che la “garra” tipica degli uruguaiani e degli argentini, si può esprimere in tanti  modi. Anche con la “tigna” di rimanere sulla pachina della nazionale nonostante tutto, per finire un lavoro cominciato da tempo…

Quell’uomo con la stampella e la camminata ormai malferma, il suo mondiale lo ha già vinto, davanti alle telecamere di tutto il mondo. Ma non è detto che i suoi ragazzi non lo vincano davvero…  Di fuoriclasse ne ha un paio, forse tre: Suarez, Cavani e Godin. Gli altri sono giocatori normali. Molti di loro giocano in Italia, ma non solo nella Juve o nell’Inter, anche nel Genoa, nella Samp, nella Lazio… Noi, adesso sappiamo per chi tifare.

m.l.

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