“THE POST”, UN BEL FILM E LA LINEA FILOAMERICANA DI PRIMAPAGINA

lunedì 05th, febbraio 2018 / 18:14
“THE POST”, UN BEL FILM E LA LINEA FILOAMERICANA DI PRIMAPAGINA
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CHIUSI – Ci sono film che uno non può proprio mancare di vedere. Non fosse altro che per motivi “affettivi” legati al proprio percorso professionale, umano e politico. Io, per esempio, non potevo non andare a vedere “The Post” di Steven Spielberg (uscito il 1 febbraio e in programmazione in questi giorni al Clev Village). Il motivo è semplice: perché parla di giornalismo. Ma anche perché la vicenda che racconta e quel tipo di giornalismo furono la base di partenza, il “vangelo ispiratore” dell’avventura di Primapagina.  Quando pensammo, dopo alcune avventure o disavventure precedenti, di fondare primapagina nel 1990, lo facemmo avendo come faro e come obiettivo quello di riuscire nel nostro piccolo ad essere una sorta di Washington Post de noantri.  Di periferia. In un Paese diverso dall’America. Quel gruppo di temerari era fatto in gran parte di comunisti più o meno irriducibili, ma il “faro” che intendevamo seguire era la stampa americana, non certo quella sovietica. Una stampa libera, indipendente. Capace di far cadere governi e presidenti.

Certe scene di The Post mi hanno pure emozionato. Perché ho vissuto anch’io per più di 20 anni momenti di tensione e di attesa spasmodica, sotto a quelle macchine gigantesche chiamate rotative… con l’odore di inchiostro e olio da macchine che si tagliava col coltello, il carico e lo scarico dei pacchi di giornali dai furgoni. Ho vissuto anch’io momenti in cui ci si interrogava sul che fare… sul cosa avrebbe provocato o meno una certa notizia. E’ successo tante volte, pur non essendo Primapagina il Washington Post. E la decisione è sempre stata la stessa. Identica a quella che  nel film prendono il direttore del giornale Bradlee interpretato da Tom Hanks e la proprietaria cKay Graham che ha il volto di Meryl Streep.

Più di 10 volte siamo finiti (io e alcuni collaboratori) in Tribunale. Trascinati davanti al giudice per presunta diffamazione da inquinatori, malversatori, politici affaristi senza scrupoli. E ne siamo usciti sempre assolti. Talvolta anche con l’encomio della Corte per aver svolto una giusta e doverosa campagna di informazione a favore dei cittadini…  Al momento ne abbiamo due di querele in ballo. Vedremo come finirà. Siamo fiduciosi.

Il film The Post racconta una storia vera e conosciuta. Uno scandalo epocale che la stampa americana (prima il New York Times, poi il Washington Post e tutti gli altri giornali) portò alla ribalta nei primi anni ’70: documenti segreti del Pentagono che dimostravano come la Guerra del Viet Nam fu portata avanti, mandando al macello migliaia di soldati americani, sapendo che era una battaglia persa, solo per consolidare il potere dell’establishment… Da quella vicenda si sviluppò poi il Watergate (la scoperta di intercettazioni ai danni del Partito Democratico) che portò all’impeachment e alle dimissioni del presidente Richard Nixon nel ’74…

La stampa, in quell’occasione tenne la schiena dritta e giocò un ruolo fondamentale, riconosciuto dalla Corte Suprema: “L’informazione serve i governati, non chi governa”.

Ecco, dicevo all’inizio che io non potevo non andare a vedere The Post. Ma si tratta di un film che consiglierei vivamente a Fausto Scricciolo e al Pd pievese, per esempio che di recente hanno speso del tempo prezioso per replicare in maniera stizzita ad un articolo di Primapagina. Lo consiglierei a tutti i sindaci del territorio. Anche all’amico e “compagno” (spero non si offenda) Juri Bettollini e ai suoi giovani assessori, un dei quali (Andrea Micheletti) ha mosso i primi passi in pubblico proprio come redattore di Primapagina. La stampa amica non esiste, la stampa è stampa e basta. Se è amica o troppo amica non è stampa, è un’altra cosa e alla fine è controproducente. Il film lo spiega benissimo. Ci pensino ogni volta che vedono una loro “velina” pubblicata copia e incolla su tutti i quotidiani e i siti web all’unisono…

Lo consiglierei agli imprenditori della zona perché nella vicenda del Post anni ’70 (e nel film emerge chiaramente) il richiamo all’importanza dell’informazione libera e all’indipendenza e alla qualità come elementi di crescita e di profitto è un messaggio non banale. E per nulla scontato.

E lo consiglierei anche a chi da qualche tempo non perde occasione per affermare che Primapagina ha cambiato linea e da “controllore del potere” è diventato un “house organ del potere stesso”. Naturalmente questa è una cazzata messa in giro ad arte da chi non ha mai sopportato che esistesse primapagina, da chi ha provato, senza troppo successo, a fare concorrenza a primapagina (quanti ci hanno provato negli anni? parecchi: ricordate il Bagattino? e La Settimana? e poi Chiusinews/Chiusiblog, o La Velina Chiusina?).

Ognuno può pensarla come vuole, naturalmente, ci mancherebbe altro. Ma sentirsi dare dell’house organ del potere da gente che fa le bucce al sindaco e al potere costituito con in tasca la tessera del partito del sindaco e del potere costituito fa venire da ridere.  Fa proprio sbelicare dalle risate. Parlo dell’amico Paolo Scattoni, per esempio: che credibilità può avere – dice – un sindaco che scopre ora i rischi del depuratore di Bioecologia, dopo che per anni è stato zitto? E che credibilità può avere il promotore di un comitato che si pone contro (o quantomeno in modo problematico) rispetto ad alcune scelte del sindaco, ma ci sta insieme nello stesso partito e in quella sede non dice nulla? Via, siamo seri e lasciamo perdere.

Quanto a Primapagina, il grado di indipendenza e di credibilità non si misura con il fatto di essere “sempre contro”. Pur essendo primapagina costituzionalmente e dichiaratamente di opposizione (alle ultime elezioni il giornale e il sottoscritto personalmente abbiamo sostenuto i Podemos) un approccio laico e indipendente alle questioni può anche prevedere o non esclude casi e situazioni in cui il giornale può appoggiare o ritenere da valutare non negativamente a priori qualche decisione, atto o proposta del “potere”. O ritenere criticabile una scelta o posizione dell’opposizione. Anche quella sostenuta in campagna elettorale. E’ la stampa bellezza, verrebbe da dire. E vale in tutte le direzioni.  Non è un cambio di linea. E’ l’affermazione della linea di sempre: indipendenza e laicità di giudizio.

A qualcuno non piace? Pazienza. A me per esempio non piace (perché affisso in luogo improprio) quel manifesto della catechesi sul muro di via Marconi a Chiusi. E l’ho scritto. Al resto del mondo sì, visto che nessuno ha detto una parola. Neanche le opposizioni sempre attente e puntigliose sulle procedure e sui cavilli regolamentari…

Ammetto che il rapporto che il sottoscritto ha con Juri Bettolini o con Andrea Micheletti non è solo un rapporto di civile convivenza. Ma anche di amicizia. Ma non è diverso dal rapporto che ho sempre avuto personalmente con altri sindaci e assessori: da Laurini a Peppicelli, da Poggioni a Ciarini, da Giovagnola a Fallarino, da Primi a Carloia a Batino, da Rossi a Bussolotti, Caldesi o Di Meo. E anche Scaramelli.  E con tutti ci sono stati momenti complicati.

Solo con Ceccobao e pochissimi altri (Paccagnini a Chianciano) è stata solo guerra su tutti i fronti. Loro avevano individuato in primapagina un nemico. Anzi “il nemico” principale. E si comportavano di conseguenza. Senza esclusione di colpi.

Ora mi pare che anche altri abbiano cominciato a praticare il medesimo sport. Lo fanno piuttosto frequentemente i 5 Stelle che avendo una gestione “aziendale” da Srl ed essendo abituati a parlare solo tra di loro, non sono molto avvezzi al contraddittorio. E lo fanno altri per tentare di acquisire qualche quarto d’ora di visibilità, altrimenti più difficile da conquistare.

Non essere d’accordo naturalmente è legittimo e anche normale. Denigrare lo è un po’ meno. Soprattutto se il pulpito da cui viene la predica sta nella chiesa principale e dà direttamente sulla sacrestia.

Personalmente sono al pezzo con Primapagina da 27 anni (38 se aggiungiamo i “precedenti” con L’Agorà, il Nuovo Corriere, L’Unità ecc… ), sempre con quell’idea di giornalismo che animò prima Ben Bradlee e poi Woodward e Bernstein al Washington Post. La linea è sempre la stessa. In questo, lo confesso, sono filo americano. Due sole cose mi son sempre piaciute dell’America: la musica e l’indipendenza della stampa. Anche il cinema, ma non sempre.

P.S. Un amico all’uscita del cinema, dopo aver visto The Post mi ha chiesto come mai nell’ormai lontano 1990 decidemmo di chiamare questo giornale primapagina, prendendo a prestito il titolo di un film diverso, ovvero una storia più “cinica” e meno edificante. Semplice: perché non ci prendevamo troppo sul serio. E perché Primapagina suonava senz’altro meglio di Valdichiana Post.

Marco Lorenzoni

 

 

 

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